Nascita del personaggi (dettagli)
Titolo: Nascita del personaggi
Autore: Bonaventura Tecchi
Data: 1933-10-11
Identificatore: 1933_438
Testo:
Nascita
dei personaggi
Sul trenino di provincia, in una giornata di primo luglio, tra visi e gambe di contadini, pieni di fagotti, che scendono e salgono a ogni « fermata » sbattendo rumorosamente gli sportelli (le borgate sono così minuscole e sperdute nella gran pianura assolata che non han meritato neppure la qualifica di « stazione ») c’è un signore alto, biondo, con una bambina di dodici, tredici anni, pure bionda.
L’abitudine di ficcare gli occhi nelle faccende degli altri, la presunzione di poter penetrare per pochi tratti esterni nelle anime del prossimo e di leggervi déntro la loro « storia », mi spinge a prender posto cautamente tra i contadini, per potermi goder meglio, in tralice e quasi senza esser visto, la coppietta che m’interessa. Li seguo dal caffè principale della cittadina: un caffè lungo, ad archi e colonne, fumoso e indaffarato in sull’ora del mezzogiorno; e sùbito, in quella mezza foschia, in cui i tavolini s’intravedevano appena, mi balenò l’interesse per quest’uomo e questa bambina. Adesso, che me li osservo da vicino, godo ancora l’aria distratta, da sognatore, che egli ha nel viso, e insieme tutto il suo essere di uomo pratico, proprietario di campagna, attaccato alla terra. Alto, biondo, ben proporzionato, con i piccoli occhiali in bilico sul naso, come un professore, la chioma abbondante, tirata all’indietro e come distratta dal muover leggero del vento che ogni tanto entra dal finestrino del treno, egli guarda lontano, verso la campagna, assente e pensieroso. Di profilo, come ora mi si presenta, il naso è straordinariamente fine sotto l’ombreggiatura degli occhiali, l’angolo della bocca è di una dolcezza inaspettata in mezzo a questa gente che sputa rabbiosamente in terra a ogni momento. Adesso si alza su, e sùbito vedo l’altra parte di lui: la corporatura ampia e poderosa, che sta cosi opportunamente piantata negli stivaloni da campagna, le mani delicate, quasi bianche, da prete, ma cariche di anelli troppo grevi, e un che di trasandato, di triste in tutto il vestito, che pure è di festa. Ha aggiustato rapidamente la tendina che gli dava noia col battere del vento e, nel rimettersi a sedere, nonostante la mole del corpo, egli ha raccolto di nuovo il viso in un’aria di dignitosa tristezza o di pacata rassegnazione.
La mia fantasia lavora facilmente: scommetterei la testa che questi è un ex-seminarista... Dirne sùbito le ragioni non saprei, ma la mia intuizione è sicura, precisa, non ammette dubbi! Si tratta di uno dei piccoli proprietari di campagna di queste parti che, trenta quarant’anni fa, erano educati in seminario, condotti quasi sulla soglia del sacerdozio, e che poi una ventata di giovinezza portava via dai testi di latino e dai corridoi odorosi d’incenso e rituffava nella vita pratica degli avi. Aspetto il mio eroe al momento in cui aprirà un giornale o tirerà fuori un libro dalla tasca. Son sicuro che il contrasto tra le due vite si paleserà chiaramente!
Il giornale non è venuto fuori; ma tra i fiati grossi dei contadini e il fumo delle pipe, vedo che chi legge un libro, tutta silenziosa e delicata, è la figlia: un libro con figure e barbe di patriarchi; se non sbaglio, la Storia Sacra... La bambina ha la divisa del collegio delle monache: una Musetta quasi alla marinara, con un fiocco scuro sul petto, e un altro fiocco, assai semplice, sul cappellone di paglia. Ha letto attentamente, con l’attenzione saputa dei bambini; poi si alza, all’improvviso. È una biondina che ha le forme del corpo già un po’ rilevate, gli occhi azzurri azzurri; e nel colore della pelle, sul viso, c’è già un albòre di quella affettuosità calda, che è della donna e specialmente delle bionde. La ragazzina è andata verso il padre e, rimanendo in piedi, cosi alta e bionda, quasi l’abbraccia. Sono i primi contatti, tra padre e figlia, nel primo giorno delle vacanze, forse dopo un lungo periodo di convento. E l’uomo si ritira sùbito a quel contatto che lo sfiora, con una mossa di compiacenza e a un tempo quasi di pudore... In quel gesto di timidezza e di ritrosia io vedo un segno infallibile che ho indovinato giusto. Questi uomini, usciti dal seminario, hanno spesso un senso, timido e insieme addente, della donna.
Come sarà lei, la moglie di lui? Mi pare di vederla: grassoccia, ma con la pelle straordinariamente fine e bianca sul viso, un’affettuosità calda nelle vene; dolce e insieme autoritaria. Il mio romanzo veleggia col vento in poppa; appena qualche altro lampo e siamo a posto.
— Papà, — ha detto all’improvviso la ragazzina — non ci sono nella Storia Sacra certi uomini che non sono morti mai, che sono tutti ancora di carne e che un giorno ritorneranno?
— Chi te le ha insegnate queste
cose? — ha detto lui, con un sorriso discreto — le monache?
— Sì, ma dimmi: chi sono?
L’altro ha cercato faticosamente, nella memoria. Non trovava: e la testa mite, bionda, che adesso aveva qualche cosa della mansuetudine della pecora, pareva cercasse, assonnata, entro un mare di nebbie.
— Enoch ed Elia! — ha detto trionfalmente la bambina. E poi con un’aria scandalizzata: — Ma tu non ti ricordi niente, papà!
Ormai il « romanzo » lo so tutto: posso anche sognarmelo, ad occhi chiusi. Anzi è meglio che non guardi.
Però, ad un certo punto del viaggio, ho avuto una sorpresa, una scossa improvvisa. Il trenino correva a rompicollo giù per certe pendici di castagni e di acacie, verso un lago, quasi tutti i contadini eran discesi. Soli, in tutto il vagone, noi tre; e in quella solitudine ripulita è scoppiato all’improvviso uno sbadiglio: fragoroso, enorme, incredibile. Ho aperto gli occhi: quello sbadiglio veniva da lui! Alto, in piedi, accanto al finestrino, con tutto il petto proteso e scoppiante di salute, egli aveva come un pizzicorino delicato sulla punta del naso, e le narici ne vibravano; poi gli occhi cominciavano a rimpicciolirsi, quasi per una sofferenza troppo dolce, e le mascelle accennavano a schiudersi... Prima lentamente, con un arco leggero; poi l’arco si apriva, e a quell’apertura prendevan parte beati tutti i muscoli del viso, e il petto e la schiena, e si stendevano anche le braccia. Uno jato, un boato succedeva: enorme, incredibile, come io non avevo mai udito. Tutte le mie povere intuizioni tremavano in quella scossa come foglie di un albero sottile sotto la raffica... L’ultima parte dello sbadiglio finiva quasi in una risata; dopo la quale tutto il corpo e anche il naso, che io avevo visto cosi fine e delicato, rientravano in una specie di riposo, contento e bestiale.
Per un istinto di salvezza mi volsi verso la figlia, sperando che fosse scandalizzata. E invece anch’essa, per nulla commossa dall’avvenimento, incominciava ad avere intorno agli angoli della bocca quel movimento insidioso delle mascelle...
Allora presi una decisione: mi accostai risolutamente ai miei due eroi e attaccai discorso. Avevo notato un momento prima, sulla facciata di una stazioncina, il nome di un villaggio, illustre per scavi e rovine antiche; e benché conoscessi tutto appuntino, feci la parte del forestiero è domandai. L’altro si voltò con un moto brusco, come se fosse seccato; ma appena fu sotto il mio sguardo che lo scrutava, ebbe un cambiamento curioso. Cominciò a rispondere balbettando e abbassava gli occhi e pareva chiedesse scusa, come uno scolaro, sicché io, trionfante, l’ascoltavo... Ma come ebbe trovato un viottolo di notiziole solite e banali, l'infilò. lo volle percorrere sino in fondo, confondendo orribilmente secoli e fatti, Etruschi e Longobardi, imperterrito a ogni sciocchezza.
Non mi diedi ancora per vinto, e quando, alla prossima stazione, vidi che i due discendevano, scesi anch’io, deciso « a scoprire il fuoco sotto la cenere ». Quel moto di esitazione e di timidezza non era stato un buon segno, non dava speranza alle mie impressioni?
Padre e figlia arrancavano adesso con due grosse valigie in mezzo alla gente, uscivano dalla stazione, salivano su per una scala bassa, verso una porta; e io dietro a loro...
— Qui mangiamo noi! — fu la risposta brutale, mentre la porta stava per richiudersi, e, tra l’uscio e lo spigolo, mi ritrovai davanti, in un attimo, l’aria trasognata di quel viso, il naso fine e delicato, e la corporatura poderosa, alleati tutti, con gran decisione, a sbarrarmi il passo.
— Scusi, credevo fosse una trattoria...
Li rividi, un momento dopo, dietro una finestra bassa, che mangiavano serenamente. E il ticchettio delle forchette sui piatti e il battibecco delle cicale sugli alberi della grande pianura assolata, a mezzogiorno, mi parve irridessero la mia presunzione di voler troppo rapidamente penetrare entro il difficile varco delle anime.
Bonaventura Tecchi.
Collezione: Diorama 11.10.33
Etichette: Bonaventura Tecchi
Citazione: Bonaventura Tecchi, “Nascita del personaggi,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1248.