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Titolo: Panorama

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1933-10-25

Identificatore: 1933_464

Testo: Panorama
Occorre che gli scrittori italiani, « in qualsiasi forma d’arte e di pensiero, si manifestino veramente e profondamente interpreti del nostro tempo, che è quello della Rivoluzione Fascista ». Sono parole del Duce. Le quali tracciano inequivocabilmente il compito da svolgere alla cultura, oltre che all’arte: ed è chiaro quel che Egli ha voluto dire, nell’atto stesso che lo diceva: che questa nostra generazione di scrittori, chiamata a vivere in un tempo carico di destino, nel quale una civiltà declina e muore e un’altra s’annuncia all’orizzonte coi segni della più splendida e vitale originalità e imprimerà di sè un’epoca nella storia del mondo, questa nostra generazione di scrittori deve assumersi le responsabilità che le spettano di fronte all’avvenire, rompere i ponti con le nostalgie del passato e, senza rinnegare la tradizione, innestare sul suo tronco vetusto i giovani virgulti del pensiero e dell’arte nati nel nuovo clima.
Qui anche la cultura ha un suo còmpito, che non è più sostanzialmente accademico e teorico, ma spirituale e pratico insieme, una forma di vita e d’azione, di partecipazione e di critica; una funzione di controllo e di potenziamento delle forze morali ed artistiche della nazione in marcia. Non ci si può lasciar tirare a rimorchio e, tanto meno, non ci si può accontentare di osservare e di notare, come si diceva una volta, con storica obbiettività. L’esilio volontario dell’uomo di pensiero dalle correnti del suo tempo è una volontaria condanna. Non lamentiamoci del declino della cultura e della sterilità degli studi se di codesta cultura non facciamo strumento di vita e se l’amore degli studi non enucleiamo dai suoi malli di arida e pesante erudizione, in cui sta avvolto come in una bambagia che lo difende dai contatti della folla, per prepararlo appunto a questi contatti.
Sono vent’anni che il popolo italiano assume, di fronte alla cultura, un atteggiamento di interesse e di comprensione, purchè riconosca l’autorità e la sincerità di chi gliene discorre. Badiamo a ciò che erano, intorno al 1909-10, le condizioni degli studi in Italia, la conoscenza delle letterature moderne e dei rapporti culturali tra i popoli. Fuor dei romanzi francesi del periodo naturalista, di qualche romanzo russo ritradotto dal francese, non si conosceva nulla o quasi. Nietzsche cominciava appena a far capolino nella Biblioteca di scienze moderne del Bocca. E il gruppo della Voce, per merito soprattutto del manipolo triestino e in ispecie di Scipio Slataper, introduceva alcuni capolavori slavi e nordici ai quali non eran bastati decenni di celebrità mondiale per arrivare a noi: non si conosceva Cecov, ed era quasi un contemporaneo, e i primi sette o otto racconti tradotti dai vociani parvero una rivelazione; si conosceva Kipling di nome, e la breve monografìa del Cecchi gli spianò la strada tra noi; la gloria di Hebbel, secolare, ebbe bisogno della lampisteria triestina per accendersi, e l’emozione suscitata da Giovanni Episcopo non bastò ad accreditare la diffusione di Krotcaia, racconto dostoievschiano. In vent’anni di cammino se n’è fatto, e come. Ricordare gli inizi, a parte il debito di gratitudine contratto con alcuni movimenti, è un mezzo per giungere all’equa valutazione delle condizioni odierne. Oggi l’Italia non ha nulla da invidiare alle nazioni librescamente più attrezzate, e in fatto di scambi culturali tien testa anche all’agguerritissima Francia. Non esce libro notevole nel mondo che non venga subito trasportato nella nostra lingua, spesso anche prima che in quella francese. Si traduce forse troppo, ma in genere si traduce bene. E, a nostro modo di vedere, in questo campo le benemerenze degli editori italiani sono assai alte. Abbiamo la spregiudicatezza di dire che anche la conoscenza di opere deprimenti, come le pitture newyorchesi di Dos Passos, il discusso romanzo di Céline, o quello monocorde di Remarque, o i libri berlinesi di Doeblin e di Wassermann, è, nel clima italiano d’oggi, utile ed opportuna: serve a dimostrare come nell’attuale disordine morale politico economico che devasta il mondo e del quale le opere citate, quando non arrivano all’arte, restano notevoli documenti, l’Italia rappresenta un baluardo, una cittadella dello spirito, una riserva di forze sane e vitali sulle quali domani il mondo potrà contare per la sua ricostruzione. La sanità morale dell’Italia, il buon senso e l’equilibrio del popolo italiano sono il terreno sul quale è stato costruito, dal genio politico di Benito Mussolini, l’edificio della rinascita che s’intitola alla quarta Roma, al quale i popoli depressi nel mondo conturbato guardano come a un miracolo e alla cui luce accendono le loro estreme speranze. La causa è grande, esaltante: va servita da tutti con umiltà e con fede, agli ordini dell’Uomo che è oggi il centro di tanta commossa aspettazione. Tra le forze in rango, l’arte e la cultura non possono mancare. E s’è detto con quale volto e con quali propositi. E poichè sui compiti che spettano ai pensatori e agli scrittori non sono ammissibili equivoci, non staremo a ripetere quel che l’appello alla loro coscienza e alla loro umanità significhi. Non si chiede che siano dei propagandisti. Si chiede sémplicemente che siano uomini del loro tempo e ne sentano la grandezza.
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Del resto, il poeta vero non ha mai sdegnato l’azione, non ha fatto della poesia pura dall’alto d’una torre d’avorio. Quale poeta civile più grande di Dante? E il Petrarca della canzone a Cola vide tra le colonne rovesciate del Foro trasvolare i fantasmi della civiltà futura. Nella sua sconsolata solitudine anche il Leopardi sognò un’Italia virile; la preannunciarono l’Alfieri e il Foscolo, la prepararono gli scrittori del Risorgimento, e impressero un carattere d’autonomia e d’originalità al nostro romanticismo. Il terzetto dell’ultimo Ottocento, Carducci Pascoli D’Annunzio, iniziò i terni civili ai segreti della tecnica poetica moderna, e D'Annunzio sopravvive come segnacolo della poesia civile tradotta in azione e sacrificio. Chi scendendo dai cieli della poesia pura crede di sminuirsi e ritorce il viso disgustato dalla realtà, non è un poeta anche se chiude concetti rari in versi impeccabili. La sua non è una solitudine di privilegiato, ma una solitudine d’impotente.
Fuori dunque dalle torri e dalle chiesuole. E scendano i letterati nella strada, anche a costo di rissare. Meglio la rissa feconda che l’oratoria sterile e il mutuo incensamento che si esaurisce tra quattro gatti. La polemica può essere fruttifera se si allarga e conquista le intelligenze; la discussione è utile se le origini sono chiare e se i contendenti hanno le carte in regola nei confronti del loro tempo. Oggi le hanno tutti?
Certo i pessimisti o coloro che condannano in blocco le condizioni attuali della nostra cultura in nome di inconfessabili nostalgie per uomini e dottrine la cui funzione in sede filosofica e critica è esaurita e i cui meriti restano acquisiti alla storia d’un periodo della nostra vita culturale, non vedono, ed è giusto che non li vedano, i segni d’una vitalità che è continuazione ed evoluzione, i bocci di fiori che domani si apriranno, la presa di posizione dei giovani di fronte ai problemi dell’arte come problemi di vita, il loro senso dell’attualità che prepara il futuro. Il gran pubblico, tutti questi movimenti, sforzi, tendenze, realizzazioni, non li conosce o li conosce male.
Si è pubblicato in questi giorni a Roma un fascicolo della rivista Il Saggiatore che raccoglie una serie di testimonianze sull’inadeguatezza, oggi, della vecchia cultura e sulla necessità per le nuove generazioni di uscire dalle formole drammatiche e idealistiche e di far partecipare come un duttile strumento la cultura alla vita. Necessità d’una cultura fondata su basi realistiche: ecco l’impresa di codesta rassegna delle giovani forze intellettuali italiane. Il documento è interessante e importante e merita un serio esame: lo faremo presto.
Lorenzo Gigli.
Caricatura inglese di Aldous Huxley, il cui romanzo più recente, Brave New World, esce in questi giorni nella collezione Medusa di Mondadori, tradotto da Lorenzo Gigli.
Il lettore snob: — Questi scrittori stranieri sono straordinari! Quando riscrivono un incendio riescono perfino a farli sentire l’odore di bruciato!
(Disegno di Leo Longanesi).

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 25.10.33

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Citazione: Lorenzo Gigli, “Panorama,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1274.