ARTE NUOVA L’inchiesta del "Saggiatore" (dettagli)
Titolo: ARTE NUOVA L’inchiesta del "Saggiatore"
Autore: Ettore Romagnoli
Data: 1933-11-01
Identificatore: 1933_474
Testo:
ARTE NUOVA
L’Inchiesta del “Saggiatore„
Qualche mese fa, i giovani del Saggiatore aprirono un’inchiesta fra i non più giovani — gli esperti — per avere un’idea degli umori e le tendenze intellettuali dell’Italia d’oggi; e il risultato fu un po’ scarso e confuso. Adesso si son rivolti ai giovani e giovanissimi; e la mèsse è copiosa ed ottima. S’intende. Se vuoi sapere come si sente un galantuomo, rivolgiti a lui, e non ai laureati in medicina e chirurgia.
Gli interpellati sono moltissimi, di ogni regione d’Italia, e appartenenti a gruppi varii e remoti. Pure, fra una quantità di particolari necessariamente discordi, emergono tanti punti concordi, che se ne può sicuramente abbozzare la nuova orientazione degli spiriti giovanili in Italia. Merito, anche, della magnifica disposizione che hanno saputo dare alla ricchissima materia i redattori del Saggiatore.
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La parola d’ordine è: rottura assoluta con la vecchia cultura: da gittare nel bàratro. « La vecchia cultura — dico Armando Ghelardini — sino al Fascismo, è completamente esaurita ». E il ritornello è ripetuto da quasi tutti. E la condanna è universale, contro ogni aspetto di quella cultura. Però, quando si passa a specificare, un solo punto è fatto segno agli strali di tutti: il filosofismo; e, più specialmente, l’idealismo assoluto. « Le soluzioni idealistiche — dichiara Luciano Andeschi — sono assolutamente inadeguate. Concretezza vuol essere: che suona opposizione agli intellettualismi e agli estetismi». E ride « della generazione che ci ha immediatamente preceduti, perchè poneva alla base della propria giustificazione della vita i problemi estetici, materia dell’arte e critica letteraria ». Ezio Paci tira a palle di fuoco contro i sistemi « che permettono di giustificar tutto e tutti ». Michele Mandragora si scaglia contro chi « si attarda in vane ed infeconde teorie, che si sforzano di render conservatrice financo la parola rivoluzione ». E perfino uno che scrivendo si mostra ancora interamente impigliato nelle più vischiose tele di ragno del gergo filosoficheggiante (non per nulla si chiama Sigfrido Wolfango) non si pèrita di asserire che « la filosofia tentenna indecisa e incerta su l’orizzonte del caduto attualismo gentiliano ».
L'avversione, non ingiustificata, per l’abuso del chiacchiericcio filosofico è tale e tanta, che parecchi, pur non abdicando esplicitamente al compito di rinnovar la cultura, si rifiutano perfino alla formulazione d’un programma (Gabriele Mucchi, Roberto Weis). « Per ora — dice Arrigo Benedetti — si agisce più secondo un nuovo stato d’animo che secondo una nuova idea ». Ed Eugenio Salvano crede che « non bisogna determinarsi prima di vivere, ma trovare nell’azione stessa la risoluzione dei problemi ».
Qui, come su tutti i punti, dirò in sèguito quello che ne penso io. Per ora osservo che questo è un aspetto esagerato della formula che presto esamineremo: « immergersi nella vita ». « Formula — osserva però Berto Ricci — barbarica, buona come risposta all’insulsa calligrafia dei decadenti; ma che induce ad una specie d’attivismo letterario o calligrafismo del contenuto ». E Cristino Rho ricorda il motto scolastico: nihil volitum nisi praecognitum. Uno studioso deve avere consapevolezza distinta ed esplicita.
Tutti però sono concordi che bisogna uscire dalla famosa e stupida torre d'avorio; e che, o in senso nettamente realistico, o movendo da una accolta rivelazione, o da una compiuta unità intima (coscienza), bisogna, traverso la cultura, operare su la vita. Eccoci alla famosa formula aderenza alla vita.
Espressione speciosa e lusingatrice, ma un po’ troppo generica, che può indurre e ha indotto, come abbiamo già visto, a conclusioni e sviluppi erronei.
« Noi tentiamo — dice uno scrittore: non ritrovo il nome — una valutazione e interpretazione del mondo che trovi la sua base nella concreta esistenza delle masse ». Ed anche questo è uno dei temi favoriti. Ma quanto non è giusta l’osservazione di Corrado Petrone: « V’è oggi una perniciosa tendenza a identificare il corporativismo con il collettivismo, e a traverso gravi confusioni e imperdonabili errori fa virtualmente coincidere l’idea corporativa con le teorie comuniste ».
E gemello di questo è l’altro equivoco, che la nuova concezione dello Stato importi l’annullamento dell’individuo, e, dunque, della personalità. Egregiamente, anche qui, il Petrone: « L’individuo non scompare nello Stato: comprende appieno i supremi fini nazionali, e nell’osservarli supera ogni materialistica concezione di vita, e riesce a dare ai singoli le mosse per un’attività nobile e feconda ».
Interessante quando si esce dalle generali e si affermano ben chiari alcuni punti.
Primissimo, e che riscuote il consenso generale, ritorno alla scienza, stoltamente screditata dal movimento idealistico. Da Cristino Rho, giovine cattolico, a Guido Lami (magnifico scrittore) si afferma che le scienze, matematiche e sperimentali, devono tornare, come già furono, e massime in Italia, e per tradizione italiana, alle basi del sapere.
E poichè esse si vanno rapidamente purgando dalla boriosa infatuazione per cui pretesero di essere insieme fisica e metafisica, e di spiegare l’inconoscibile, cade la loro incompatibilità con la religione.
E, salvo qualche rara eccezione, i giovani sono orientati verso la religione. E massime verso la cattolica. E il gruppo dei cattolici (Silvio Golzio, Mario Gentile, Cristino Rho) mette in giusto rilievo il senso realistico che informa il cattolicesimo, « il quale permette di veder la realtà senza nebulosità: chiaro e preciso prodotto, come essa è, di Dio ». Parole d’oro.
E così, le poche voci dissidenti non alterano il grande accordo intorno alla tradizione. « Noi — dice Rino Longhitano — abbiamo finito col trionfare rimettendoci sul giusto terreno della tradizione, del passato, della storia, e — diciamo in una parola — della latinità ». Romanità, dice più precisamente Guido Cavallucci.
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Ma oramai devo procedere per una scorciatoia. E poiché ho toccati i punti capitali, mi limito a ricordare un movimento analogo, nella pittura, di ritorno verso la tradizione (specialmente Oreste Bogliardi). E il richiamo di Elio Talarico alle grandi idealità, tradizionali nell’arte italiana, del Vero, del Buono, del Bello. E il proposito di Icilio Petrone « di proseguire su le vie maestre del cuore umano ». E, infine, il giusto rilievo di Giannino Marescalchi sull’importanza che ha e deve avere nella nuova cultura il fattore politico.
« Attenti però — osserva Antigone Donati — che attraverso le diverse ambizioncelle la politica non diventi politicantismo ».
Perchè, come abbiamo già veduto in più casi, i giovani non adoperano l’arma della critica solamente contro il passato, ma sanno, a tempo e luogo, rivolgerla anche contro sè stessi. Ecco come Armando Ghelardini investe tutta addirittura la letteratura contemporanea. « Bisogna avere il coraggio di dire che accanto a Littoria stanno dei pessimi romanzi, allato dei transvolatori atlantici dei cattivi poeti, di fronte allo Stato corporativo una sparuta repubblica letteraria, dove, con sistemi ultra democratici, si fanno chiacchiere da parlamento sul modo come si scrive ».
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Rimando la discussione ad un prossimo articolo. Ma spero che anche la semplice esposizione invoglierà i lettori a cércare il prezioso volumetto. Fra negazioni, affermazioni, rettifiche, chiarimenti, discussioni, vi troveranno un piccolo ma succoso corpus della vita intellettuale dei giovani d’oggi.
E imprimersi in mente tutti quei nomi (quanti ho dovuto tacerne! ). Perchè molti domani saranno chiari. E qualcuno forse grande.
Ettore Romagnoli.
Collezione: Diorama 01.11.33
Etichette: Ettore Romagnoli
Citazione: Ettore Romagnoli, “ARTE NUOVA L’inchiesta del "Saggiatore",” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1284.