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Titolo: Panorama del romanzo italiano

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1933-11-08

Identificatore: 1933_484

Testo: Panorama del romanzo italiano
Le esigenze del tempo nuovo (« Accanto a Littoria stanno dei pessimi romanzi » dichiara Armando Ghelardini nella citatissima inchiesta del Saggiatore; e Romano Bilenchi: « Cerco una modernità vera e non camuffamento di vecchia robetta; e nemmeno presa a prestito dalle altre nazioni anche se hanno artisti moderni veramente grandi. Senza questa modernità italiana non saremo mai nulla e inutile sarà il nostro tempo ») hanno trovato il romanzo ad un punto fermo. Gli inviti al romanzo (Titta Rosa) e le dichiarazioni di guerra al romanzo (Papini) sono facce diverse del riconoscimento d’una situazione storicamente consolidata. È vero che nel l’Ottocento l'Italia ha dato al romanzo un capolavoro, e i Promessi Sposi stanno accanto alle grandi opere narrative europee del secolo, Rosso e nero, Guerra e pace, I fratelli Karamazov, Eugenia Grandet, Madame Bovary: al qual proposito si può osservare che il romanzo-fiume non è un’invenzione dei nostri giorni e che, chi più chi meno, i titoli citati corrispondono ad opére narrative complesse, che spesso toccano e varcano il limite delle quattrocento pagine. Ma è anche vero che la nostra tradizione letteraria, per le note cause, si orienta di più verso il « saggio » che verso il romanzo. Il « saggio », s’intende, come opera organica d’arte e di pensiero, speculazione e poesia, che va dalle prose scientifiche di Galileo alle lettere del Magalotti, al Viaggio settentrionale del Negri e al trattato Della Moneta dell’abate Galiani: esclusa dunque con ciò ogni intenzione di fare gli onori di casa al frammentismo e al calligrafismo. Dei romanzieri venuti dopo il Manzoni, bisognerebbe costituire una scala di valori e sarebbe sempre onorevole per qualsiasi letteratura. Ma si tratta di apporti personali, anche grandissimi: Verga, Fogazzaro e D’Annunzio; e poi il lombardo De Marchi, e Gerolamo Rovetta superiore alla sua fama per poco che si consideri la felicità di certe pitture milanesi in cui egli si sforzò di rappresentare i caratteri sociali d’un periodo di transizione, del tempo cioè in cui Milano si trasformava da capoluogo di regione a città moderna a tipo industriale.
Si dice, una tradizione del romanzo da noi non esiste. Certo codesti che abbiamo testè ricordato di romanzi ne hanno scritti parecchi, e alcuni memorabili, anche senza preoccuparsi di riconoscere ascendenze e di scoprire i filoni della tradizione E che, se proprio di tradizione non si vuol parlare, esista una « continuità narrativa » dimostrano gli anni che precedettero immediatamente la guerra e quelli che la seguirono sino al disordinatissimo triennio a cavaliere del ’20. Qui si perdono le tracce fin d’una mediocre onestà letteraria, ma per ritrovarle subito dopo; e da almeno un lustro si son venuti accostando al romanzo scrittori nobili e pensosi che parevano votati alla prosa letteraria e al saggio, continuatori, questi davvero, d’una tradizione gloriosa. Così, nel panorama odierno della nostra cultura, il romanzo è, letterariamente parlando in linea. Che lo sia poi anche spiritualmente non oseremmo affermarlo Un romanzo del nostro tempo (che interpreti, per intenderci, l’anno XII nelle proporzioni con cui ad esempio Rubè interpretò il passaggio dalla guerra alla pace) è ancora nei voti Evidentemente, perchè ci sia, non basta che l’autore dedichi dieci pagine a descrivere un’adunata di popolo in piazza Venezia o un capitolo all’acquedotto dell'Istria e ai lavori di bonifica dell’Agro Pontino. Vogliamo un’arte aderente al nostro tempo, e l’avremo. Ma essa nascerà all’infuori delle polemiche e delle suggestioni; gli artisti preparati a darcela non mancano. È questione d’attendere senza pessimismi e senza creare e propagare equivoci, i quali, una volta radicati nella così detta pubblica opinione, sono più dannosi d’un’epidemia.
Quando si parla di volontari isolamenti e di torri d’avorio non è per sindacare o vincolare la libertà dell’artista o per indicargli dei temi da svolgere, ma per richiamarlo a quell’assidua aderenza alla vita del suo tempo dalla quale, appunto perchè artista, non si può straniare. Il romanziere è legato alla realtà, meglio all’emozione che la realtà gli dona, secondo la formola avanzata recentemente da Francesco Mauriac (« Les héros des romans naissent du mariage que le romancier contracte avec la realité ») in un saggio sul romanziere e i suoi personaggi. Tanto vera, che a voler esemplificare e dimostrare si riscriverebbe la storia del genere, da Dafni e Cloe di Longo Sofista a Ulysses di James Joyce.
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Le condizioni attuali del romanzo in Italia non escludono, dicevamo, qualche ottimismo. Anche in questo campo l’onore e la responsabilità spettano ai giovani. Va bene che citare sempre quanto avviene fuori di casa non è piacevole, ma vedete la generazione degli scrittori nuovi in Russia che si son messi al servizio dello Stato sovietico senza riserve mentali e hanno derivato i loro temi dalle cronache della rivoluzione e della ricostruzione, e pure hanno servito, e come, la causa dell’arte: la cavalleria rossa ha nei racconti di Babel il suo epos, e il piano quinquennale (vedi Il Volga si getta nel Caspio) trova nella prosa di Boris Pilniak la sua artistica trasfigurazione. Chi ci dice che domani non potrà nascere, per esempio, il grande romanzo della nostra emigrazione interna?
Non vogliamo compilare un arido elenco di nomi. Ma le conversioni al romanzo che si succedono da alcuni anni permetterebbero di stabilire una rassegna per più d’un verso cospicua. Ci sono i veterani (absit iniuria) che lavorano sul terreno solido e coltivano la loro clientela borghese, e di qualcuno, come d’un Gotta e d’un Milanesi, va tenuto conto anche all’infuori delle ragioni pratiche, per la costante presenza nei loro libri d’un ideale onorando. Ma dopo il ’20, mentre Guido da Verona lasciava impallidire la sua stella romantica e fatale, arrivavano al romanzo scrittori come l’ex-rondista nutritissimo di studi Riccardo Bacchelli, il poeta-ingegnere Mario Viscardini, i critici Flora e Palazzi, e da Mario Sobrero al povero Fracchia parecchi degli uomini più preparati e colti della generazione della guerra. Intanto la forza nativa d’un Alvaro, l’umorismo fantastico d’uno Zavattini, la umanità d’un Savarese, la forza drammatica d’un Cicognani, rompendo la cerchia della nomea provinciale o comunque ristretta e classista, entravano a far numero nelle schiere della letteratura nazionale, accanto a Bontempelli e alla scoperta più felice di « 900 », Marcello Gallian.
Qui si potrebbe continuare il bilancio con Moravia, Campanile e Frateili; con Chiesa, Vergani, Rèpaci, Comisso, Stuparich, Moretti e Tumiati; con Pea, Tombari, Cinelli; e poi Loria, Perri, Marchi, Bartolini, Monti e Gromo. Anziani e giovani insieme, reclute e caporali. Ma, si sa, elenchi di questo genere sono sempre incompleti, e noialtri non s’ha neppure la scappatoia del cronista mondano che se la cava con la frase sacramentale « e altri di cui ci sfugge il nome ». Anche se qualche nome ci fosse sfuggito davvero, gl’interessati non crederebbero alla nostra innocenza. E poi, più dei nomi, valgono i titoli. Alcuni dei ricordati ne hanno di reali. Altri ci mantengono da anni in uno stato di benevola attesa. Sono dei giovani che non si decidono a passare il Rubicone, persuasi di restar giovani sempre. Ma il tempo fa le vendette degli abusi di fiducia e delle speranze deluse: lui, che, dicono, è galantuomo.
Lorenzo Gigli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 08.11.33

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Citazione: Lorenzo Gigli, “Panorama del romanzo italiano,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 03 dicembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1294.