Beta!
Passa al contenuto principale

Titolo: L’ultimo sconosciuto

Autore: Marcello Gallian

Data: 1933-12-20

Identificatore: 1933_538

Testo: L'ultimo sconosciuto
Giovanni, trovata la porta aperta, entrò in casa, mi salutò appena e, seduto dinanzi al tavolo di cucina, cominciò a tacere. Non s’era tolto né il soprabito né il cappello: mi dette l'impressione che fosse inseguito da qualcuno, perché spesso scrutava all'intorno, torvo. All’improvviso domandò se fossi ben sicuro d'esser so lo in casa. Ero solo, infatti, e come disoccupato in quella casa morigerata e solitaria, con mobili ed oggetti all'ordine, all’intorno, che soltanto le donne conoscevano e che io spesso mi scopro a guardare e a commentare con me stesso.
« Allora — disse Giovanni — voglio raccontarti quanto m’è accaduto: se agli uomini non fosse stata concessa la parola, io sarei oggi un uomo morto. Ma ti assicuro che quando avrò parlato, la questione rimarrà allo stesso modo misteriosa e insolubile. Io mi reco, di solito, quando non ho che fare, a Bagni di Tivoli. È una contrada, questa, a pochi chilometri da Tivoli, sospesa a mezza strada nella campagna, come luogo di rifornimento e di tappa, ma celebre a ragione delle acque solforose che spontaneamente la terra manda fuori a sorgenti calde. Il luogo m’attira in certo suo fascino che non so spiegare: spesso metto due fili d’erba dentro quell’acqua torba che scorre e manda attorno un tremendo odore di inferno e dopo qualche minuto i fili son pietrificati, ridotti a duri bastoni. Interi cespugli esistono all’intorno, cosi, resi a spugne pesanti che a tratti mi ricordano la configurazione della Luna e dei regni morti. Prendo due o tre di quelle pietre arabescate e squallide e mi porto a riposare dentro una bottega serena, che una donna anziana gestisce. Nella bottega ho conosciuto un uomo: mi colpirono subito di lui il volto bruciato e impreciso, certi occhi inqualificabili, capelli ravviati da un pettine rozzo, ed un costume sciatto e comune, dal quale esulava ogni idea di stoffa o tela o lana. Certi suoi gesti lenti e fiacchi davano la misura d’un uomo qualunque, di quell'uomo ovvero intorno al quale tutti i poeti amano folleggiare e le donne perdersi. Ordinò vino e mele con uno strano accento italiano, sformato e titubante: quella sedia dove sedeva sembrava una qualunque sedia del mondo, sotto il suo corpo, e Bagni acquistò subito la fisonomia d’un rione sperduto in qualche angolo della terra: si poteva dire di Bagni ciò che s’usa dire d’un qualunque porto della Cina o d’un qualunque luogo d’Argentina. Se ne stava tutto solo e immobile e distratto; io provai
subito un malessere insolito, come la perdita d’ogni orizzonte, della storia e della geografia e soprattutto del tempo: tornando, mi sembrava che avrei trovato chissà quale città, tutte le città fuor che la mia.
Un pretesto qualunque mi dette modo di attaccar discorso. L'unico modo che mi compete per liberarmi da un malessere insano e ingiustificato è l’aggredire. Ma, caso strano, il discorso a lungo andare prese la piega d’un interrogatorio: non so come, certo è che a volte mi sentivo giudice, a volte bambino meravigliato e incredulo.
— Siete nuovo di questi luoghi?
— Nuovo. Vado a Tivoli.
Indifferente mi rispondeva e distratto.
— Quale professione è la vostra?
— Credo di non aver professione. Potrei dire d’essere un viaggiatore accanito.
— Ho capito, — feci; — un giramondo, un incontentabile o uno sperduto?
— Magari. O niente — e toccava con le dita i massi di pietra sulfurea che io avevo deposto sul suo tavolò così come avrebbe toccato un rinoceronte o una donna. Placato, assente e paziente nel tempo stesso, nulla riesciva ad attirarlo e a fissarlo. Presi confidenza con lui con una rabbia nascosta che non saprei spiegare. Gli feci vedere con moto spontaneo la mia carta d’identità a che lui non avesse a credere di qualche mia misteriosa professione: mi parve sorridesse.
— Ho il passaporto anch’io — rispose, e me lo mostrò con un gesto che voleva intendere: che vale, alla fine, un passaporto? Era un libretto pulito, tenuto dentro una guaina di pelle e portava cento timbri diversi, firme strane, geroglifici superficiali e frettolosi, stampi e segni di confine Nel portafogli eran parecchi biglietti di banca — era un uomo ricco, per certo — e sul passaporto eran scritti nome e cognome, statura, capelli, bocca, età: lo guardai: i dati corrispondevano a verità senza dubbio, ma il suo viso, la sua bocca, il suo corpo, la sua statura perfino tradivano quelle misure e quei colori e quelle forme umane descritti da un qualunque impiegato ai passaporti: non che mutasse di minuto in minuto, ma i suoi tratti erano imprecisi, non fissati, forse stravolti e deludevano ogni precisione. Lo strano individuo, lo confesso, mi dava noia ed amore assieme, lo odiavo un poco e mi interessava, con quel disagio che provo sempre quando capito dinanzi ad un fatto di cronaca nera spicciola: del resto, il mondo non è forse un fatto di cronaca nera? Caparbio, domandavo, senza aver l’aria di investigare: figli? Nessuno. Moglie? Mai avuta: la terra è gremita di donne che attendono i loro uomini. Mi rispondeva, cortese: credeva d’esser nato a Lubecca, ma i genitori, seppure ne aveva avuti, s’eran spostati subito a Porto Said e qui eran spariti: quel nome e cognome, forse, ch'eran segnati sul passaporto non eran nemmeno i suoi. Càpita. Nessun allarme in lui, nessuna stravaganza: rispondeva cortese e sicuro, con quel viso pallido, con quegli occhi ingiustificati.
— Quando morrò, non lascio nessuno. Nessuno conosco in questi luoghi, ma potrei dire che, anche in altri, nemmeno mi conoscono. Vivo da me, molto solo.
— Vivete per voi stesso, insomma? — osai.
— Se così è stato deciso: ma se potessi, mi cederei volentieri.
— Già questa cessione potrebbe essere un’opera buona, — dissi.
— Se credete: io non ne sono troppo convinto.
Capii subito che mancava di legami o che forse li aveva sempre evitati: passava inosservato e forse ci teneva: uno dei pochi che girano il mondo e non lo sanno, uno di quelli che un bel giorno s’accorgono d’avere un corpo, non sanno dove metterlo o depositarlo e se lo tengono, ridotti come sono alle pure cognizioni materiali e scolastiche: le gambe servono a camminare, gli occhi a guardare, la bocca a mangiare, parlare e forse baciare. Si guardava spesso le mani, ne metteva in mostra una, aperta, e la osservava soprappensiero quasi non la conoscesse, poi, con la stessa mano, prendeva il bicchiere e lo lasciava o forse era il bicchiere che saliva a lui e discendeva. Inconsapevolmente disprezzava quel suo corpo tanto necessario agli altri, reso inutile: sembrava un morto. Ecco, all’improvviso, io ebbi questa sensazione, che davanti non avessi un uomo, ma un morto. Meglio: un non nato, che si fosse trovato cresciuto per miracolo ».
Giovanni tacque, gli tremavano le mani, era torvo in viso, e in tutta la persona, poi riprese:
— E ancora, un truffatore. Non che m’ingannasse, no, son certo che era sincero: ma un truffatore di se stesso e degli altri soprattutto, che non si credeva un prodotto umano, reale, da sfruttare: un tale che era diventato ricco, fra gli uomini, pel sol fatto che aveva un corpo e non se lo meritava. Se tu riuscissi ad immaginartelo nel mezzo d’una folla che cammina, ecco, in quel punto, è un vuoto dove altri precipitano: o meglio, un ostacolo che vieti il cammino agli altri inseguitori. Lui spezzava ogni legame, ogni parentela ogni commercio, evitava le anagrafi i libretti póstali, le tasse, sì, anche le tasse d’uomo, respirava e non pagava la sua aria, beveva l’acqua che non era sua, che non gli spettava: una specie di selvaggio primitivo e fortunato.
Pagammo, dunque, anzi lasciammo il denaro sul tavolo, se ben mi ricordo e uscimmo. La contrada, a quell’ora, era deserta. Vi sono di tali improvvisi deserti, nella campagna, subito colmati. Sebbene ci fossimo salutati di già, lui rimaneva al mio fianco, assente e lontano, quasi non gli riuscisse di sottrarsi all’aria che io aprivo col petto: il vento veniva di fianco, da destra, e lui era alla sinistra, protetto. Prendemmo una viottola, sorpassammo le sorgenti e i canali, ci fermammo in un luogo, dove, ai nostri piedi, si apriva una fossa profonda e scabra. Devo dirti ciò che avvenne? Io non so, ora, non ricordo bene... ma nessuno ci aveva visto assieme, lui uno sconosciuto, un girovago, un giramondo, inerme e inutile, privo di contratti umani. Ebbene, in quel momento, io sentii che ero pronto ad ucciderlo: una rivolta era in me, che abbisognava di uno sfogo, una specie di desiderio di vendetta mi assalì, cosi forte, così intensa, cosi cieca, vedi, confesso, a vedermi dinanzi, ora, quel pezzo di vita comoda e libera, ed io ben catalogato, con nome e cognome, soggetto alle leggi degli uomini, leggi che io stesso avevo abbracciato con foga... che certo alzai le mani e mi parve di avervi tramezzo, ormai, il collo dell’altro. — Tacque, si tolse il cappello, si inchinò a legarsi una scarpa, che mi parve un pretesto: era fortemente eccitato.
— Ora, non m’importa di lui, vada al diavolo, ma di me, di me solo m’importa. Per un attimo, io sono stato assassino: ricordo bene: da rutto il mio essere, dalla mia stessa conformazione umana, mi veniva là necessità del delitto. Credi forse ad una ribellione? E credi forse che il mio sarebbe stato, alla fine, un delitto?
— Io non credo, risposi: nei tuoi panni, io, io stesso...
— Anche tu hai provato, talvolta?...
— Sono ancora molti gli sconosciuti — risposi.
— Ecco, e poi... son venuto in casa tua, correndo... Chissà dove sarà ora quel morto in piedi. L’ho risparmiato, ma son certo che se avessi dato fondo al mio desiderio nessuno si sarebbe accorto, mai... Uno sfruttatore qualunque della creazione...
Rimanemmo, lungo tempo, l’amico mio ed io, in silenzio. I bambini che entravano ci tolsero per sempre da quella meditazione.
— Caro Giovanni, — gridarono — sei venuto in casa?
— Non hai pensato di offrir le sigarette al nostro Giovannino? E il caffè?
— Il caffè, noi lo compriamo dal droghiere accanto alla piazza, che si chiama Isidoro Folini — fece il più piccolo.
Marcello Gallian.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 20.12.33

Etichette:

Citazione: Marcello Gallian, “L’ultimo sconosciuto,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1348.