L’ assegnazione del settimo Premio Bagutta (dettagli)
Titolo: L’ assegnazione del settimo Premio Bagutta
Autore: non firmato (Lorenzo Gigli), Vellani Marchi
Data: 1934-01-31
Identificatore: 1934_94
Testo:
L’assegnazione del settimo Premio Bagutta
Raul Radice vincitore - A coronamento della tumultuosa serata viene istituito un nuovo Premio annuale giornalistico intitolato al nome di Otello Cavara e subito assegnato a Massimo Lelj
Milano, 30 gennaio, notte
La vecchia osteria di Bagutta, celebrata da un capo all’altro del mondo (i carrozzoni della Cook ci sbarcano forestieri ammirati, ai postini basta leggere « Bagutta-Italia » per recapitare lettere e telegrammi), e minacciata di demolizione. Si allargano intorno i guasti che rinnovano il centro cittadino, tutta la quinta di strada antistante alla trattoria è caduta, e la facciata si rallegra stupefatta a un sole sconosciuto da quando è nata. Ma « Bagutta è immortale », e Novello in un grande cartellone affisso stasera nella saletta accanto a quella del premio — la saletta che traboccò poi di spettatori vociferanti, litigiosi, tifosi — lo ha affermato disegnando le pareti scoperchiate della storica saletta, e ad una tavola ancora imbandita i giudici gesticolanti, i soli superstiti, nel mezzo di un nuovissimo corso della rinnovata Milano. Ad ogni modo questa visione non vuole essere catastrofica: il sor Pepori ha messo l'occhio sopra altri locali nella stessa strada più a monte per quando sarà l’ora; e intanto stasera Bagutta celebra il suo settimo premio con decorazioni novissime e spettacolose alle pareti, opera disinteressata ed insolente dei pittori Novello, Vellani-Marchi, Tabet e Resentera.
Aria di battaglia
La sala del premio propriamente detta ha conservato il suo aspetto tradizionale, come la si vede nel disegno di Vellani-Marchi; solo qua e là sono stale rinfrescate le pitture, sono state rifatte le mammelle della lupa simbolica che allatta tutti gli altri premi letterari d’Italia, e in carattere lapidario si leggono i motti antichi e nuovi: Bagutta cavat lapidem; Bagutta ce n’è una sola (Bacchelli); Tira più un premio Bagutta che un paio di Accademie. Anche quest’anno una lapide di carta celebra i nomi dei mecenati che hanno regalato somme ingenti al premio; e degli scultori e pittori che hanno offerto opere loro per le aste che rimpinguano le casse del premio. In fondo — che i giudici non ci sentano — questo premio Bagutta è un po’ il premio che la pittura e la scultura, danno alla letteratura...
Già alle otto le due salette, quella dei giudici e della stampa, e la vicina del pubblico, sono gremite; degli undici giudici, ne sono presenti nove: Bonelli, Steffenini, Vellani Marchi, Bocchelli, Orio Vergani, Monelli, Scarpa, Franci, Bucci. C’è aria di battaglia. Persone che si dicono informalissime affermano che i giudici sono divisi in due parliti irreducibili e non si sono messi d'accordo nelle riunioni preliminari. Sono ora seduti alla loro tavola con una falsa aria disinvolta. Si vedono parlottare. Scoppiano le prime baruffe subito sedale da Vergani che ha un'aria fra lo ieratico e il patetico. Fra il pubblico oltre ai pittori e agli artisti più noti di Milano, Monti, Carpi, Novello, Saglietti, Dudreville, Sironi, Mazzolani, Tosi, Martini, Messina, ecc. (questi nómi si danno solo per campionario), si vede Leo Longanesi venuto a fare ammenda del suo Goliardi di quarant’anni con cui vituperò i giudici tre anni fa, l’accademico Bontempelli, scrittori, banchieri., avvocati, ingegneri, aviatori. La tavola della stampa potrebbe essere trasportala pari pari, modestia a parte, in un consesso internazionale, tanto è onusta di bei nomi. Affiorano tra la folla alcuni vincitori del passato: Titta Uosa, Rocca, Rèpaci.
I dialoghi fra i giudici diventano rapidamente battibecchi. La saletta del pubblico accanto accompagnerà tutta la discussione con un rombo continuo e ineguale di mare tempestoso. Anche di là i partiti sono divisi; e scoppiano le scommesse.
Qualche giudice si abbandona alla deplorevole usanza di fare freddure sui nomi dei candidati; e Vergani richiama energicamente alla serietà. « Mazzucconi non può avere il premio — grida uno dei giudici. — Corriamo il rischio che il pubblico dica Mazzucconi a noi ». Alla tavola della stampa si accetta la sfida e si rimbecca che se i giudici dessero il premio a Manicomio tascabile di Cerio, premierebbero se stessi. Ma un giudice toscano ha preso le freddure sul serio e si lancia in un panegirico del libro di Mazzucconi a cui tutti i giudici si associano. Quanto a dargli il premio sarà un’altra cosa. Quest'anno i libri che sono stati in predicato per il premio sono mollissimi; sono troppici afferma il solito giudice (un urlo di indignazione) alludendo al libro Tropici di V. G. Bossi.
Nomi e opere in discussione
Finalmente si procede ad una prima votazione nella quale i giudici si limitano ad esprimere i voti per un candidato che sta loto particolarmente a cuore. Si fanno così i seguenti nomi sui quali si impegnerà in seguilo la discussione: Rodolfo Mazzucconi: Una vita sbagliata; Eugenio Barisoni: Bella vita vagabonda; Massimo Lelj: Stagioni al Silente; G. Colucci: Pozzo rubino; Radius: Amici di mezzanotte; Giovanni Descalzo: Sotto coperta; Sergio Solmi: Fine di stagione; Raul Radice: Vita comica di Corinna; Alessandro Tandurra: Tre mesi al di là del Piave. Ogni nome è annunziato da Vergani a gran voce ed accompagnato dà commenti, brevissime critiche, lampi di giudizi; alcuni dei quali suscitano le proteste dei giudici interessati.
— Se fate dello spirito sul mio candidato — grida Bottelli — esigo che se ne faccia anche sugli altri.
È obbedito.
Suscita infatti grande meraviglia che Scarpa voti per Descalzo, ma un giudice fa osservare che la cosa è naturalissima: si ponga mente al nome del proponente ed a quello del proposto.
Una seconda votazione ed una terza non servono a chiarire la situazione. Si arriva sino a due voti per Massimo Lelj), ed a tre voti per Giovanni Descalzó; il bel libro marinaro di Descalzo è lodato da parecchi giudici e ad ogni modo anche se non riuscirà ad ottenere il premio il giovane scrittore genovese autodidatta ha avuto nella discussione un meritato riconoscimento, come un meritato riconoscimento è quello per la medaglia d’oro Tandurra che nel suo libro Tre mesi al di là del Piave ha narrato con ingenua efficacia di stile le sue drammatiche avventure di ufficiale italiano lanciatosi col paracadute nel territorio nemico al di là del Piave a fare servizio di informazioni.
Il voto definitivo
A mano a mano che la serata procede, i giudici si riscaldano. Questa volta c'è veramente odor di polvere. Ma ormai due nomi sono affiorati dalla discussione: quello di Radice per la Vita comica di Corinna e quello di Massimo Lelj) per le Stagioni al Sirente, libro descrittivo, elegante, pieno di delicate rievocazioni della vita dei contadini dell’Appennino.
Il pittore Vellani è rosso ed eccitato. Il pittore Bucci è eccitato e rosso più di lui. Fra questi due cultori dell’arte delicata del pennello e dei colori la discussione diventa un battibecco in cui risuonano i nomi di Dante Alighieri, Matisse, Spadini, Cardarelli. Pinco-pallino. Gli altri giudici parteggiano un po' come pacieri ed un po’ come aizzatori. Eccita gli animi un continuo lampeggiare di mitragliatrici, voglio dire i continui scatti al magnesio dei fotografi che si sono asserragliati fra le tavole. Il pittore Steffenini parteggia per il Barisoni. Si duole ad un certo punto che questo gagliardo cacciatore non sia intervenuto con la sua doppietta a sgominare i suoi avversari.
Finalmente il voto definitivo viene proclamato: vincitore del settimo premio Bagutta è Raul Radice per il libro La vita comica di Corinna con sei voti. Tre voti di minoranza risultano a favore di Massimo Lelj.
Radice, chiamata da cento telefonate, arriva poco dopo. Radice è trentenne, avvocato, di occhi malinconici, di lunghissima statura, si che tocca con il capo il soffitto; i suoi ammiratori, che sono moltissimi tra la folla, gli si avviticchiano alle gambe, montano sulle seggiole per abbracciarlo, lo subissano di applausi. La designazione è piaciuta veramente a tutti; il libro è un grazioso romanzo che piacerà anche, una volta tanto, al gran pubblico.
Ma a questo punto c'è una sorpresa, Vellani si alza ed ottenuto il silenzio comunica che le casse di Bagutta sono così pingui di denaro che è possibile creare, seduta stante, un nuovo Premio intitolato al nome del compianto collega Otello Cavara di cui in questi giorni si è data a Vicenza l’opera « La Principessa lontana » e di cui è così vivo il ricordo nel cuore di tutti i colleghi. L'annunzio è accollo con Un lunghissimo applauso.
Vincitore del Premio Cavava è stato proclamato Massimo Lelj per il libro Stagioni al Sirente. Passato l'entusiasmo il collega Giuseppe Franco Rossi, mutilato di guerra, fende la calca con le sue stampelle, si avvicina alla tavola dei giudici, chiede di parlare ed annunzia che il Premio Otello Cavara, per istantanea deliberazione dei giornalisti presenti, sarà reso annuale per sottoscrizioni fra i giornalisti ed assegnato ogni anno, nella stessa data del Premio Bagutta, per voto dei giornalisti presenti al Premio e dei giudici di Bagutta, ad un’opera di carattere giornalistico o di un giornalista secondo le modalità da definire in seguito.
La proposta è accolta da acclamazioni fragorose. Il tumulto è enorme. Le cento persone racchiuse nelle due salette minacciano di fare crollare le pareti assai prima del termine fissato dal piano regolatore. Ristabilita un po' di calma, terminate le consuete cerimonie di acclamazioni ai vincitori, ai mecenati ed a coloro che hanno inviato adesioni telegrafiche al Premio, finalmente i giudici possono tranquillamente vuotare i loro bicchieri di Chianti, fare onore alla grappa di Bassano, liberamente profusa.
Il settimo Premio Bagutta è morto. Viva l'ottavo Premio Bagutta.
Immediatamente Orio Vergani mette all'asta tra il pubblico agitatissimo quadri ed opere di scultura offerti dagli artisti presenti e le opere raggiungono altezze vertiginose; in pochi minuti il fabbisogno per il prossimo Premio è già coperto.
Raul Radice
Furono i giudici del Premio Viareggio a indicarlo due o tre anni fa all’attenzione del pubblico. Aveva pubblicato da poco un romanzo di non molte pagine, dal titolo compromettente: L'educazione sentimentale. Ma il Radice era ricorso a Flaubert con propositi che tornavano subito chiari in obbedienza alla sottile vena ironica che tonificava il suo sostanzioso tessuto narrativo. Il racconto, pur rimandando i riflessi d’un mondo in disordine e registrandone l’aridità sentimentale e l'egoismo cieco, non era negativo: il pessimismo del Radice era in funzione d’un atto di fede nella vita, il quale si rivelava per molti segni, per alcuni caldi toni di simpatia umana, per il risalto dato ai caratteri generosi o candidi in contrapposto ai caratteri morbidi e calcolatori. Senso delle proporzioni, pudore artistico, semplicità di stile eran le doti che distinguevano il libro dello scrittore ignoto fino al giorno prima e che lasciavano bene sperare di lui. Il Radice ha tenuto, infatti, la promessa. La sua sensibilità si è temprata e affinata nell’esercizio della critica, i suoi contatti col mondo culturale contemporaneo hanno sviluppato il suo gusto dell'interpretazione di epoche e di caratteri, e nel secondo romanzo, pubblicato a puntate nella Nuova Antologia e poi raccolto in volume dall’editore Ceschina (Vita comica di Corinna), ha proiettato una vicenda sentimentale, un « intrigo » nel senso per così dire tradizionale della parola sopra uno sfondo d’un colore assai aito, in obbedienza al suo impulso di rievocatore d’ambienti e di costumi illeggiadriti da una maliziosa punta di revisione tutta moderna. In questa gustosa « contaminazione » tra il vecchio o il nuovo è da riscontrare uno degli atteggiamenti più felici dell’animus e della scrittura del Radice, che sa creare un’atmosfera rococò o romantica e bagnarvi i suoi personaggi senza per questo svincolarli dalle esigenze d’una realtà che è anche nostra. C’e un poco in lui un esperto di punte secche emancipato dall’archeologia e dal monumentale, un acquafortista di coso vive e dinamiche. Corinna è, in complesso, quel che si dice un bel libro, calibrato e sostenuto, divertente senz’essere frivolo, scritto bene senza pretese. Adesso Raul Radice, milanese, appunta sulle pagine d’un quotidiano della sua città episodi di cronaca letteraria e si tiene al corrente dei movimenti mondiali. Anche in questa veste la sua umanità è spontanea, il suo tono cordiale.
Un angolo della celebre saletta dei Baguttiani
(Disegno di Vellani Marchi)
Raul Radice
Collezione: Diorama 31.01.34
Etichette: disegno, Vellani Marchi
Citazione: non firmato (Lorenzo Gigli) e Vellani Marchi, “L’ assegnazione del settimo Premio Bagutta,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1459.