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Titolo: Stupore

Autore: Elio Talarico

Data: 1934-02-21

Identificatore: 1934_149

Testo: Stupore
Fräulein Elisabeth era priva d’immaginazione e non sapeva osservare la vita. In un malinconico pomeriggio autunnale, durante la passeggiata quotidiana con Elisa e Maurizio, la piccola istitutrice grassottella e serena fece un’altra delle sue sbagliate scoperte psicologiche.
— Cosi cattivi, tutti i bambini; una malvagità felice di se stessa; un volere, per forza, far del male: e gli uomini, ecco, vengono su scontenti, astiosi, pieni di invidia e ognuno pensa, invece, che sarebbe tanto meglio vivere sempre in pace. — C’era, per il lungo viale che portava alla villa Borghese, un’aria (e come un sapore dolciastro nell’aria) di natura morta e il novembre imminente si rifletteva sui volti con prepotenza mentre i sedili venivano già abbandonati dai freddolosi vecchi in ozio e dalle borghesi donnette sfaccendate.
— Qui, Maurizio, qui: non farmi inquietare, sii buono.
Il fanciullo la guardò sorridendo, con una smorfia scanzonata e crudele: poi fece un rapido segno alla sorellina perché lo raggiungesse. « Comunicazioni importanti ».
Elisabetta s’abbandonò ancora una volta alla dolcezza del non pensare: camminava guardando avanti ma senza vedere la strada, ogni tanto doveva scuotersi dal torpore incantevole per non sbattere contro il tronco di un ippocastano o lo spigolo di una casa: prosegui a zig-zag, come un’ubriaca, ma quasi beata, felice.
— No, io ho paura — protestava la piccola Elisa, dopo aver complottato qualche tempo con Maurizio.
La Fräulein ebbe una specie di brivido eccessivo:
— Che cosa prepareranno quei due? Maurizio è terribile: sei anni appena, ma intelligenza da vendere; sveglio, superbo, dispettoso, scettico, indolente, pièno di volontà: tutti i vizi e i difetti di un uomo vero contenuti in germe dentro quell’armonioso corpicino d’atleta dai ricci biondi; e un sorriso da dominatore.
Elisa è più furba, forse, che intelligente: è più piccola, d’altronde, ma conosce tante di quelle smorfiette per accattivarsi le simpatie e tante di quelle intonazioni di voce per ottenere tutto quello che vuole!
E oggi saranno avvelenati contro di me; ma che colpa ne ho io, dopo tutto, se quell'isterica della madre se ne occupa tanto poco e, quando se ne occupa, è solamente per metterli in castigo? —
Un teatrino ambulante con Pulcinella e l’avvocato Sbèrgoli («Napoli antica ») attirava in uno spiazzo vicino grande folla di bimbi e di domestiche.
— Fräulein, ci fermiamo un minuto?
Senza volerlo precisamente Elisabetta rispose:
— No, è tardi : non possiamo perdere tempo — meravigliandosi per prima lei stessa della sua inutile vendettuzza infantile.
Passò uno squadrone di metropolitani a cavallo, spezzando col ritmo del trottò serrato la quiete del luogo e dell’ora.
— Senti — diceva ancora Maurizio, eccitato nell’ordire tranelli — noi mettiamo quello che ti ho detto sulla porta della sua camera, in equilibrio: e così quando entra quella brutta strega di Fräulein, patapumfete...
—... si rompe la testa! — continuò Elisa, ridendo a gola piena. L’idea incominciava a divertirla.
* * *
Al ritorno dalla villa, dopo i giuochi a volte violenti e svogliati dei fanciulli, Elisabetta si trovò davanti a un ingorgo del traffico, proprio sulla linea in curva del tram periferico.
— Che cosa è successo? Andiamo a vedere — fece subito Maurizio, incuriosito, mentre la sorella gli sgusciava di mano correndo.
— Qui, Elisa: aspettami.
La Fräulein si spazientiva oramai per un nonnulla.
— Aspettatemi, diavoli!
Il cielo, nell’ora del tramonto, era limpido e irreale: come un colore inventato, appena smotto per il riflesso del sole stanco e neanche più tiepido: gli alberi incominciavano ad angolarsi di ombre fuligginose e le persone avevano perduto le fisionomie asprigne di qualche ora prima; sempre così accade in quel momento di sosta della giornata, quando ancora non si accendono le luci artificiali.
— Andiamo a casa, via.
Nella voce di Elisabetta risuonava qualche nota falsa e sgradevole; un passante, pur nella fretta e nell’ansia di farsi largo tra la folla a curiosare, si voltò inquieto a rimirare la bionda bambinaia senza controllo.
Maurizio scorse l’ombra di un carabiniere: poi la scena si schiari al suo sguardo cùpido e attento, fu come se la folla si fosse aperta davanti al suo desiderio di vedere almeno qualche cosa.
— Corrono come dannati — brontolò una donnetta di mezza età avvolgendosi attorno al collo una logora sciarpa di lana nera.
— Ma come è stato?
Qualcuno si voltò a dare spiegazioni, con l’aria fatua dei bene informati: ‘
— Voleva sorpassare il tram fermo, dalla sinistra: s’è trovato davanti quell’anima di macchinone, ed ecco fatto.
Come in litigio o, meglio, come stanche di una lotta impari e assurda, due automobili giacevano fianco a fianco, schiacciate l’una contro l’altra: per terra frantumi di cristallo e qualche goccia di sangue, che la polvere andava assorbendo e scolorendo in grigio sporco.
— S’è fatto male? — chiese Elisabetta.
Le risero in faccia.
— Altro che male! la signorina, oh! quella niente: un po’ di paura: ma il giovanotto... col petto contro il volante... stecchito.
Elisa cominciò a piangere, Maurizio strinse i denti per non abbandonarsi: in quel momento sopraggiunse una guardia.
— Via, via, circolare: che cosa fate qui? via, subito.
Elisabetta si trascinò dietro come una furia i bambini agghiacciati: la femminuccia aveva smesso di piangere ma i suoi occhi erano sempre lustri, arrossati, pieni di paura: Maurizio avrebbe voluto vedere il morto ma non disse niente.
— Abbiamo fatto tardi.
Maurizio fantasticava: un morto!
Ma esistono, dunque, davvero i morti? e che cosa sono? Perché il nonno, allora, diceva sempre in simili circostanze: « Niente, niente, divagati, ai bambini non bisogna far conoscere certe tristezze »? Un morto, e sulla strada, all’improvviso, quando meno te l’aspetti, per una stupida imprudenza che mille volte è andata liscia come un olio — cercava d’immaginarsi l’aspetto del morto: vestito — certo — vestito di scuro, immobile, e quel sangue — Dio mio! — quel sangue che macchia la terra, quel sangue troppo rosso.
— Maurizio, armes Kind, che cosa hai? Ti senti male?
Il bambino s’era appoggiato a un albero ed era pallido come un cadavere.
— Lo stomaco — disse, e gli sembrava davvero che la terra fosse in sussulto, che tutti avessero facce strane e sconvolte, che la Fräulein ed Elisa fossero ambedue pallide, pallide, ma da non potersi neanche immaginare.
— Ehi! qui.
Si trovarono in un’auto pubblica, sfatti, meravigliati, con la febbre indosso.
* * *
S’era fatto buio, era tardi e la mamma, forse, già stava in pensiero: malgrado ciò non si poteva arrivare davanti la casa in taxi, a rischio di méttere inutili paure.
— Fermiamoci qui, a quest’angolo.
Incominciò, subito dopo, una corsa pazza e ridicola: con i bambini non si sa mai come regolarsi: o si lasciano correre e il nostro passo è allora troppo lento, oppure anche noi ci mettiamo a trotterellare e le sproporzioni aumentano in modo fantastico.
Elisabetta affannava: Maurizio provò la solita stretta al cuore, quella di tutti i tramonti; rientrare in casa, finire i compiti per il giorno dopo, immalinconirsi davanti a un vecchio giuocattolo oramai disarticolato.
— Guten Abend, Lilly!
E, dopo aver salutato la sorellina minuscola e fragile come una bambola, correre dalla mamma che li accoglie sorridente e luminosa nel bel volto di donna italiana.
— Vi siete divertiti, piccoli?
Ma Elisa tirava per un braccio Maurizio, circospetta.
— Ho preparato tutto — disse in un soffio.
— Che cosa hai preparato?
Si trovavano adesso nella camera di giuochi, come tutte le sere.
— Lo scherzo.
— Quale scherzo?
Maurizio era triste e stupito.
— Ma lo scherzo a Fräulein, sciocchino!
Il fanciullo si trasse in disparte, come contaminato da una mano viscida e indesiderabile: il suo sguardo si fece più attento, più serio, la sua voce divenne più umana e meno stridente.
— No, Elisa — disse poco dopo, con una serietà inconcepibile — non siamo mica dei bambini noi!
Fräulein, che entrava in quél momento e che udì la frase di Maurizio, scoppiò in una grande risata.
Povera Elisabetta che non capisce i fanciulli e — dopo lo stupore di uno schiaro improvviso — non riesce a comprendere nemmeno i piccoli precòci fatti uomini dal dolore e dalla bontà!
Elio Talarico.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 21.02.34

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Citazione: Elio Talarico, “Stupore,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1514.