Il custode (dettagli)
Titolo: Il custode
Autore: Adriano Grego
Data: 1934-04-11
Identificatore: 1934_174
Testo:
Il custode
Per due ore l’enorme stadio affollato pareva diviso dal mondo. Un gigantesco alveare ellittico. Ogni uomo aveva il suo posto nelle gradinate di cemento e tutti insieme, protesi sulla geometrica prateria, trovavano un ritmo corale. Ai due estremi dello stadio erano i focolai sonori, poi la marea delle voci si propagava in cerchio, si alzava, si estingueva. A volte un nuovo boato inseguiva il precedente, soverchiandolo. A volte tutto pareva si assopisse; ma anche allora la moltitudine stava sugli spalti in agguato con attitudine bellicosa. Trentamila uomini insieme prendevano, su tanto scandire di passate ore sedentarie, la loro onesta rivincita.
* * *
Sgombrata faticosamente l’arena da quella moltitudine, che la fine del gioco agonistico subito rendeva pigra e lentissima, restavano sul terreno i cuscini di carta, i fogli di giornali, e sulle gradinate le orme fangose delle scarpe. Allora i pochi ragazzi di servizio percorrevano tomo a torno le tribune e le gradinate, facendo razzia di quei relitti.
Poi, quando la sommaria pulizia era compiuta, quando dagli spogliatoi i giocatori, i massaggiatori, gli aiutanti di squadra, i guardalinee erano usciti, Giovanni, il custode, compiva l’ultimo giro, per accertarsi che le porte, le. cancellate, i portoni delle tribune fossero chiusi. Allora rimaneva sul campo, a poco a poco sommerso dal buio, solo e padrone.
* * *
Gli tornavano alla memoria certe fasi curiose della partita, le rivedeva lentamente, quasi in un’atmosfera di confidenza, le ricordava con tutti gli scatti e le intuizioni e gli incomprensibili errori dei suoi prediletti. Camminando, ora si piegava da un lato, ora si ergeva sul collo, ora cacciava in avanti il petto come aveva fatto il terzino per respingere il pallone al diciannovesimo minuto del secondo tempo. Era la più bislacca danza solitaria che mai si fosse veduta. Ma Giovanni era solo, e anche le case vicine affacciate sullo stadio erano tornate deserte. Qualche lume, qua e là, giallognolo e sperso. Le linee biaccose del campo avevano perduto ogni chiarore e si confondevano col bruno della terra.
* * *
Come tutte le domeniche, la moglie di Giovanni era uscita coi ragazzi. Meglio cosi. Si può scendere in casa, nella piccola casupola di pietra, situata a sinistra dello stadio, fuori del recinto. Ci si può gettare sul letto ad attendere l’ora di cena.
Da quanti anni Giovanili ha la custodia del campo? Dieci anni, forse. Ma ogni vòlta che c’è stata partita, Giovanni si è sentite le gambe diventare di stoppa, come se la fatica degli undici uomini l’avesse scontata lui solo. « C’è poco da dire: quel centro avanti è un mummione. A che cosa pensa, io non lo so. Non ha scatto, non ha volontà! E poi, quando gli soffiano il pallone si morde i polsi. Asino! E non ha che vent’anni! A vent’anni, io...».
Tutte le volte che pensava a se stesso a quell’età, Giovanni sentiva le tempie che gli martellavano. Se chiudeva gli occhi, si vedeva ancora su! campo col fazzoletto bianco intorno alla fronte, le ginocchia nude, il parastinchi ben saldò sotto i calzettoni di lana, la faccia libera al vento. « Hop! Lascia ». Una finta e Giovanni scartava l’avversario. Un passaggio orizzontale, una corsa in avanti per raccogliere di nuovo il pallone e poi diretto contro la porta nemica. Ancora una schermaglia e poi un bolide di sinistro a mezza altezza. Che bolide, quello! Il portiere è caduto, i compagni gli allacciano il collo, la folla è tutta in piedi che grida. Anche i segnalinee agitano la bandiera. Anche il presidente di lontano lo saluta. Goal! Goal! « Il più bel centro avanti dei nostri tempi! Che scatto quel ragazzo! È una fortuna per la squadra ».
Giovanni sorride da solo. Quella fantasia che gli si para dinanzi agli occhi è così evidente e cosi vera, che sembra proprio un ricordo. Passaggio orizzontale, corsa in avanti, scarto del terzino e saetta. Come se fosse vero!
Chissà! Forse, se non avesse dovuto recarsi in Francia col padre, se avesse potuto continuare a giocare, — ogni mattina corsa e salto alla corda, esercizi alle parallele, esercizio di tiro — forse le cose sarebbero andato diversamente. Ci vuole la pazienza per diventare degli assi. E poi, anche la pazienza non basta. Anche da giovane, quand’era solo, faceva dèi sogni di grandezza; di notte si rigirava nel letto. Una fìnta, un passaggio e bum, una cannonata da spezzare la rete. Invece, quando poi si è sul campo, è tutto diverso. Se l’avversario ti ruba il tempo, tu resti li istupidito a guardarlo correre... si sente il mormorio della folla... il guardalinee che ti dice quando gli passi vicino: « Non combini niente, oggi. Passa, invece di far l’egoista ».
Tante cose, tante cose che bisogna conoscere da vicino...
Ora è quasi l’ora di cena e i ragazzi non sono venuti a casa. Se Giovanni fosse un grande giocatore, i ragazzi sarebbero li intorno a lui, gli toccherebbero le gambe, inviterebbero a casa i loro amici. « Il mio papà ha fatto due goal ieri. Se se ne andasse lui, addio la squadra ».
Invece i ragazzi non sono ancora a casa. « Domani se si alzano tardi per la scuola, parola mia d’onore, che li aggiusto con due sberloni ». * * *
— Dove sei stato? — ha chiesto Giovanni al maggiore.
— Sulla spianata a giocare.
La moglie ha brontolato per dieci minuti perchè il ragazzo si è scalcagnato le scarpe come al solito. Parla ancora per un pezzo, colla pentola in mano. Dice che le scarpe costano care e maledetto chi ha inventato quel gioco da teppisti, ed è per quello che il maestro dice che c’è poco profitto « e la colpa è tua che non sai metterli a posto, questi ragazzi che a me non mi dànno più retta ».
— Va bene: ora falla finita.
Allora la moglie dice che è sempre lei che ha torto, sempre lei e si siede su una seggiola e si capisce che ha voglia di piangere.
Va bene. Ora bisogna consolarla. Una mano sulla spalla per far capire alla donna che non ha voglia di litigare e che va bene, il torto è metà per uno.
Poi si mangia, si discorre, si ride e Giovanni chiede al ragazzo se gioca sempre da terzino e gli spiega che quando s’incomincia bisogna fare di tutto. Poi, più tardi, si può diventare terzini o ali o portieri. Ma prima bisogna imparare. E soprattutto pazienza, ci vuole...
Ma già, i ragazzi non ascoltano mai. Magari li avesse ascoltati lui, i consigli di quelli che gli insegnavano! * * *
Quando il sonno tarda a venire e ci si rivolta nel letto e non si ha voglia nemmeno di accendere la luce, allora Giovanni incomincia a pensare al suo ragazzo che potrebbe, se volesse, diventare un gran giocatore. Un passaggio, una schivata, un altro passaggio e poi un bolide in rete. La gente direbbe: « Chi l’avrebbe pensato? Il Mario, il figlio del custode, fa il suo debutto in « Nazionale ». Parte domani per Budapest ».
Allora lui chiederebbe licenza al presidente e partirebbe per accompagnare il figliolo. E alla moglie: «Ehi! brontolona! ti ricordi quando sgridavi il Mario perché si rompeva le scarpe alla spianata? ».
Adriano Grego.
Collezione: Diorama 11.04.34
Etichette: Adriano Grego
Citazione: Adriano Grego, “Il custode,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1539.