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Titolo: Difesa del romanzo "collettivo"

Autore: Valentino Bompiani

Data: 1934-04-11

Identificatore: 1934_176

Testo: Difesa del romanzo "collettivo"
(Risposta a Massimo Bontempelli)
Massimo Bontempelli nel suo articolo « Verismo è disfattismo » (Gazzetta del Popolo, 21 marzo), che rispondeva al mio « Invito editoriale al romanzo collettivo », mi ha fatto l’elogio di aver io badato — « nobile errore per un editore » — « meno al pubblico che ai letterati »; e questo elogio, di cui debbo tuttavia ringraziarlo, gli ha consentito di trasferire il commento alle mie osservazioni dal campo editoriale al campo estetico, sul quale, parlando d’altro, mi ha tranquillamente ucciso.
Le cose che Bontempelli scrive, noi le conoscevamo già. Le avevamo lette in un suo articolo («Romanzo apocalittico », Gazzetta del Popolo) e nella prefazione al « Fàbian » del Kästner. Allora le avevo trovate singolari, ma in questa occasione mi sembrano gratuite. Chi potrebbe contestare che il liberissimo Orlando non sia «documento vivo dell’epoca sua», o che, come dice Moravia, Julien Sorel o Fabrizio non personifichino le guerre napoleoniche, « meglio assai delle vuote epopee di Victor Hugo »? Ma qui c’è un equivoco comune a tutte le discussioni del genere ed è bene intendersi una volta tanto. Da quando si discute d'arte attuale, di letteratura aderente al tempo, sempre si finisce o nel vicolo cieco delle citazioni somme, o nei cieli dell’Estetica Pura, e tra le grida di Tabù! Tabù!, la discussione evapora, con quel pratico risultato che s’immagina.
Io ho parlato da editore, dal mio tavolo d’editore, dal mio modesto osservatorio editoriale, e desidero restare attaccato alla terra, per scorger subito i germogli, se spunteranno. Ho reso conto di una realtà presente per dire che proprio mentre qui si discute del se e del come, una letteratura aderente al tempo, non ordinata dall’alto ma espressa dall’humus, è già in atto ed è quella più diffusa e più discussa. Ho scritto che a giudicar d’istinto, come è lecito a un editore, si sarebbe detto che « il romanzo di domani non sarà più biografico nè psicologico, ma piuttosto sociale o corale», prima di tutto perchè « pare assurdo che taluno possa oggi considerare se stesso isolatamente » (Bontempelli lo aveva già scritto. Qui dunque siamo d’accordo), in secondo luogo perchè « appare sempre più urgente che qualcuno ci spieghi quel che accade in noi in rapporto a quel che accade intorno a noi ». La sostanza del mio scritto è tutta in quel rapporto, che Bontempelli nella sua risposta ignora, e da me indicato come un insieme di fatti emotivi sui quali richiamare l’attenzione degli scrittori. La previsione nasceva non già dai discorsi dei letterati, nè dalle mode dei caffè, bensì dalle preferenze del pubblico, potrei dire dalle statistiche di vendita, cifre non sempre volgari.
Tutto il resto era esemplificazione, era tentativo di comprovare dal lato interno, esoterico se si vuole, ciò che dall’esterno si richiede, mostrando come verso tali rapporti una massa di letteratura straniera si sia già spontaneamente diretta; era argomento letterario proposto agli scrittori per vincere il possibile timore intellettualistico che il trarre materia d’arte da siffatti rapporti possa costituire un vincolo alle prerogative dello spirito. (Taluno avrà notato che non erano ricordati gli scrittori sovietici, perchè nelle loro opere non sempre e non sole le mire artistiche costituiscono il motivo determinante nella scelta dei soggetti).
Che poi i Doeblin e i Dos Passos, i Kästner e i Celine rappresentino un mondo in sfacelo, una « verminaia », che le loro opere siano grandi o mediocri, alla nostra discussione non importa, perchè non la riguarda. Il mondo che essi rappresentano è il loro, le opere che hanno scritte ci sono servite come materiale sperimentale per indicare (devo ancora citarmi) « persino nella tecnica... l’avvio verso forme aperte e nuove al fine di prender contatto con quanto più mondo, con quanta più vita si può, nel minor tempo. Come accade nella vita ». Vorrei ora domandare a Massimo Bontempelli se egli crede che considerando il nostro mondo « solare », sia pure con la stessa ansia del reale, si avrebbe necessariamente la rappresentazione di un « formicaio », di un « mondo di coleotteri ». Io parlo del reale; perchè Bontempelli trascrive verismo? Per avversare una tendenza egli la identifica con i sottoprodotti, e non s’avvede, nel fervore polemico, a quale « equivoco » davvero « velenoso » possa dar luogo la confusione.
« Quelli che per tema di offendere la realtà ti danno le cose nude e crude, e così come appariscono all’idiota, non hanno il sentimento e l’intelligenza della natura... Oggi, a forza di guardar nell’uomo la bestia, talora dimentichiamo l’uomo ». Questo scriveva De Sanctis già cinquantun anni fa. Ma anche che « il grande artista, oblia sè nelle cose... e in questo accordo tra le cose e l’artista è la più alta idealità dell’espressione ».
Questa situazione non toglie nulla, siamo d’accordo, al senso della personalità: si vuole che la personalità non sia considerata isolatamente, si vuole che il « mero descrittivo e lo pseudo-intimismo » siano abbandonati per tentativi nuovi; si vuole che il « fatto personale, che fu tanta parte della nostra letteratura» (Raul Radice: Ambrosiano) sia sostituito con fatti personali in rapporto ai fatti collettivi; si vuole evitare, per dirla ancora col De Sanctis, che « riempiendo la mente di non-so-che, di non-so-come, di concetti mal definiti, di forme mal limitate e sotto il nome d’ideale appagandosi dell’indefinito e dell'astratto, i più eletti ingegni cadano in un certo vagabondaggio per il quale i pensieri scappano in qua e in là in tutte le direzioni, senza trovar mai il centro ove fissarsi ».
Questo il pubblico chiede, e non soltanto il pubblico italiano, con sue indicazioni costanti. Mai come oggi la letteratura italiana è stata considerata dagli editori stranieri, i quali cercano da noi proprio quelle opere ricostruttive che solamente nella nuova atmosfera italiana si pensa possano nascere. E noi, Bontempelli, che cosa offriamo? Che cosa possiamo rispondere? Non mi si attribuisca uno sciocco e falso giudizio sommario sull’arte narrativa italiana. Dico che l’Italia ha scrittori degni di risonanza mondiale e che una schiera di giovani vivi e intelligenti e spregiudicati sarebbero pronti per accompagnare con l’arte la conquista politica. Spetta a Voi, Maestri e Capiscuola, di istradarli e di guidarli verso quella « fioritura dello spirito » che il Capo ha preannunziato.
Al mio « triangolo romanziero » Bontempelli ne sostituisce uno suo, che ha agli angoli delia base, da una parte Verga e dall’altra Nievo. Non c’è niente da dire, se non che conviene metter la figura col vertice in basso e scriverci Manzoni, perchè, così ridotto a figura geometrica, questo è l’albero genealogico della narrativa italiana tracciato da Luigi Pirandello (Fortnightly Rewiew, London, April 1934: « Tendencies of the modern novel »). Il commento che segue può riservarci qualche sorpresa: (Traduco letteralmente; il Maestro perdoni se non riconosce il suo stile) « Giovanni Verga... non è romantico, nè psicologico e neppure idealistico... ci mostra un mondo di umili, che è istintivamente religioso, ma non consolato dalla fede. E l’arte del Verga è priva di ogni ornamento letterario, di ogni allettamento spirituale e umoristico — è, per cosi dire, anti-artistica; cruda e nuda, pura rappresentazione di cose ». Seguendo questo « autentico filone della nostra letteratura narrativa » si trovano, « naturalmente con le differenze che derivano dalla varietà delle diverse stature e qualità d’arte, ... Grazia Deledda, Bruno Cicognani, Federigo Tozzi, Rosso di San Secondo, Mario Puccini, Corrado Alvaro e Alberto Moravia ».
Verga, Nievo, Tozzi... Conviene meditare su questa discendenza.
Che se poi ci si avvia lungo l’altro filone indicato dal Pirandello, alla ricerca dei discendenti dal Carducci, si arriva a « Borgese, Papini e Bontempelli ».
Sullo « svolgimento della letteratura nazionale » Carducci scriveva: « Il moto politico necessariamente commosse gli ingegni e le facoltà artistiche, indirizzando questi nel campo della vita effettiva, quelle alla cultura specialmente civile ». E concludeva: « L’Italia ha... ufi principio di civiltà proprio ed antico; e, quando sarà tempo che questo sormonti agli altri principi i quali dettero una prima e nuova civiltà al resto dell’Europa, allora anche l’Italia avrà una letteratura ».
Il tempo è venuto.
Valentino Bompiani.
Ricorre il 125° anniversario della nascita di Gogol. Questo ritratto del grande scrittore russo fu eseguito dal pittore Ivanov durante un viaggio in Italia.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 11.04.34

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Citazione: Valentino Bompiani, “Difesa del romanzo "collettivo",” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1541.