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Titolo: Invito al "romanzo collettivo"

Autore: Massimo Bontempelli, Leo Longanesi

Data: 1934-04-18

Identificatore: 1934_185

Testo: Invito al "romanzo collettivo"
(Bontempelli replica a Bompiani)
Valentino Bompiani risponde (Gazzetta del Popolo dell’11 aprile) alla risposta che io avevo data (Gazzetta del Popolo del 21 marzo) al suo « Invito editoriale al romanzo colletti-co » (Gazzetta del Popolo del 7 marzo). Lui non è soddisfatto della mia risposta; io invece sono soddisfattissimo della sua. Forse questo accade perchè io ho miglior carattere, e più agevole; forse anche perchè Bompiani ha cura, nel contradirmi, di circondare tutto il suo dire di una atmosfera critica assai più chiara di quella di cui aveva avvolto il celebre Invito. Voglio dire, che per me il fondo della questione non era il romanzo collettivo o non collettivo, il fondo della questione era ch’io non voglio si faccia propaganda a un certo tipo d’arte narrativa, che fuori d’Italia è in voga: l’arte narrativa cioè intesa come studio analitico e strettamente veristico dell’uomo medio del tempo nostro. Bompiani ha messo chiari i punti sulle i, ha detto chiaro che a fondamento di quel gusto ha da stare l’affermazione che al nostro tempo la fantasia perisce, e che l’opera narrativa ha da essere più opera di medico che non di poeta. Queste erano le cose che a me parevano scandalose. E può essere che Bompiani abbia ragione quando lui dice che questa è la tendenza generale del gusto del pubblico nostro e io abbia torto quando dico che il pubblico nostro amerebbe tutt’altro. Ma nessuno ha potuto contestarmi che questo è gusto e tendenza da umanità malata e disfatta, e che da questa tendenza noi dovremmo con ogni forza tentare di distogliere il pubblico e gli scrittori. Quella di Bompiani non era una pura e semplice « osservazione dal campo editoriale », come lui dice ora; essa era, fin dal titolo, un « invito ». Le « esemplificazioni » chiarivano e aggravavano. La faccenda che noi in Italia dovessimo riconoscere Proust e Joyce a base del romanzo moderno, e intravedere che forse al vertice ci va Dos Passos, venivano come un nuovo incentivo alla mia ribellione.
Ora che Valentino Bompiani ripiega qualche sartia, che riporta il discorso sulle cose generali — romanzo collettivo nel senso di romanzo corale, l’uomo in rapporto con una totalità (e che mai altro è stato il romanzo, da Omero a Verga? ) — ora che mi ammette che nelle nostre genealogie debbano aver luogo i nomi di Verga e Nievo, ora posso benissimo essere d’accordo con lui.
Tuttavia, perchè genealogizzare? Bompiani mi cita qualche frase d’un recente saggio di Pirandello, della Fortnightly Rewiew, ove sarebbe tracciato un albero genealogico della narrativa italiana. Non conosco l’articolo, nè per ora ho modo di procurarmelo, e poi di procurarmi qualcuno che me lo traduca. Le frasi che Bompiani cita, così staccate dal contesto, non sono facilmente comprensibili. Nè bastano a distogliermi dalla mia vecchia persuasione che tali « filoni » genealogici riescono sempre artificiosi e inutili. Essi han quasi sempre origine da somiglianze esteriori, da affinità del tutto coloristiche. E non servono mai a illuminare un autore. Un autore tanto meglio lo si intende quanto più lo si isola dagli altri autori. Per capire (cito qualcuno dei nomi citati da Pirandello e riportati da Bompiani) Tozzi o Papini, Borgese o Alvaro, ecc., ed efficacemente disporli in gruppi (ma perchè disporli in gruppi? ), e per riconoscerne la vera origine, dobbiamo scrutare, non qualche autore venuto prima di essi, sia Verga, sia Carducci; ma quali siano le loro fonti di vita e di sentire quali son manifestate nell’opera. Mi spiego? Andiamo, da tanti anni, tutti d’accordo, invocando un’arte « aderente al tempo » (sì, tutti d’accordo, il dissidio grave è sul modo d’interpretare tale aderenza): questo vorrebbe dire che tutti d’accordo presumiamo che la vera fonte, il vero seme, la vera matrice da cui germina uno scrittore, sia qualche cosa della vita e del tempo che sta intorno a lui, non già questo o quello degli scrittori alquanto precedenti. Un vero scrittore non nasce mai da un altro scrittore. Quel che in un vero scrittore può parere originato da uno scrittore precedente, è l’elemento peggiore di lui.
Allora — tu mi dirai — non può esistere una storia letteraria? — Precisamente, non può esistere. Storia è ricerca di continuità intima. Da un filosofo a un altro filosofo v’è continuità intima: un filosofo nasce dalla filosofìa che lo precede. Un atteggiamento della vita sociale ne genera un altro, e questo un terzo, all’infinito. Ed ecco esiste la storia politica, ecco esiste la storia della filosofia. Nell’arte, è tutt’un’altra faccenda. Le continuità sono di mode, di atteggiamenti esteriori, non dell’intimo. L’artista, e massime lo scrittore, nasce ogni volta tutto dalle cose che lo hanno incitato a scrivere, non dagli scritti catalogati nelle storie letterarie. Perciò ho detto che uno scrittore vero tanto meglio lo si intende, quanto più lo si isola dagli altri autori, e metterlo invece a confronto con il suo mondo reale, cioè col suo mondo ideale.
Questa è, rispetto allo scritto di Bompiani, in parte una divagazione, utilissima a ogni modo. Chiudo questo spunto di polemica con molta soddisfazione nel vedere che ci si trova abbastanza d’accordo, visto che non mi hai più parlato di « medici », e mi hai di buona voglia lasciato spazzare via Dos Passos e C. dalle triangolazioni e sostituirci Verga.
Questo era l’importante.
Massimo Bontempelli.
L’editore: « Lei deve scrivermi un romanzo all'inglese, che agiti problemi sessuali, un libro, s'intende, scritto con la verve francese; un libro moderno insomma, col gusto d'oggi. L'azione deve svolgersi in Italia per attrarre il nostro pubblico ».
(Disegno di Leo Longanesi).

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 18.04.34

Citazione: Massimo Bontempelli e Leo Longanesi, “Invito al "romanzo collettivo",” Diorama Letterario, ultimo accesso il 23 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1550.