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Titolo: La tenzone del romanzo collettivo

Autore: Giovanni Comisso, Ferenc Körmendi

Data: 1934-05-16

Identificatore: 1934_229

Testo: La tenzone del romanzo collettivo
Un nuovo apporto notevole alla polemica sul « romanzo collettivo » è recato oggi da Giovanni Comisso, che espone, sull’essenza del romanzo, alcune considerazioni interessanti e suscettibili di discussione. Un largo interesse, data la notorietà mondiale dell'autore di Un’avventura a Budapest, susciteranno anche le idee sul romanzo di Ferenc Körmendi.
Essenza del romanzo
Nella discussione sul romanzo sostenuta dagli amici Bompiani, Bontempelli e Moravia non è stato mai trattato dell’essenza originale del romanzo, elemento che mi pare principe per poter convenientemente parlare di come dovrebbe essere oggi il romanzo. Il romanzo, fenomeno letterario assolutamente moderno, coincide col sorgere della borghesia. Questo rivela che radici profonde legano questo genere letterario alle ragioni politiche e sociali del terzo stato. Borghesia significa: possibilità di critica, di polemica, di partecipazione direttiva nell'amministrazione statale di una categoria sociale che si è venuta formando sulle moderne capacità industriali e commerciali, verso la fine del settecento tra l’aristocrazia attonita e il popolo analfabeta. Questa borghesia che da quel tempo volle partecipare alla faccenda dello Stato, volle anche avere ed ebbe spontaneamente un’arma letteraria che le permettesse di corroborare i suoi intenti nel campo sociale, morale e ideale, anche contro se stessa: per migliorarsi. Il contenuto del romanzo è dunque critico, polemico starei per dire: parlamentare. Si guardi il romanzo francese che funziona da caposcuola.
Per i romanzieri russi l’essenza originaria del romanzo è più evidente, più scoperta ed è inutile parlarne. Tutti polemizzano con la società dominante e tanto più fortemente in quanto la borghesia aveva più necessità di lotta. Il romanzo in Italia, dove la borghesia aveva altri substrati, si concretizza in Manzoni nel contenuto polemico religioso e in Nievo nel contenuto polemico di liberazione dallo straniero. La scarsità del romanzo in Italia ha causa dalla scarsità polemica della nostra borghesia. Difatti il problema politico di indipendenza nazionale da quando sorse realmente, dopo le prime campagne napoleoniche, si svolse con rapide e felici realizzazioni che ottimisticamente facevano presagire l’avvenire, ed il problema religioso non ebbe che un carattere di difesa dalla propaganda scismatica e volteriana che avevano potuto intaccare soltanto certa parte intellettuale della nostra razza, la quale, per essere la depositaria del cattolicesimo, è difficile che possa avere interiori problemi in proposito.
Vediamo ora, dati i tempi nuovi, quale è la situazione del romanzo. Nonostante che il popolo sia divenuto alfabeta e che la macchina, strumento di guadagno attraverso l'industria e il commercio, stia sfuggendo al monopolio della casa borghese, la borghesia non è ancora morta. I tempi attuali sono poco rosei per essa, la società sta per subire un nuovo impasto, difficile è sapere cosa riserba l’avvenire: vivrà la borghesia? Subirà essa una profonda trasformazione e rimarrà dominante? o verrà assorbita dal popolo elevato, perfezionato e cosciente? Noi viviamo nel mezzo del temporale e non possiamo vederne le conseguenze. Ogni paese se non ha fatto, prepara la sua rivoluzione antiborghese, ma troppo profonde sono le radici di vita di questa casta e non si può dire che le rivoluzioni già da dieci anni iniziate siano finite.
La stessa rivoluzione russa, che fu inizialmente la più tremenda verso la borghesia, ha finito col riammettere un vivere borghese, avendo ricostituito una classe dominante (burocrazia-polizia-esercito). In Russia si sono riaperti i collegi per i figli degli ufficiali e per quelli degli impiegati, e gli operai a teatro lasciano le poltrone e i palchi per le famiglie del direttore della posta o del gruppo di restaurants di Stato: sono sintomi della borghesia che rispunta, e che il popolo riprende la sua ineluttabile posizione di inferiorità. Questo è certo: che se la borghesia dovesse scomparire, scomparirebbe anche il romanzo, che è estremamente relativo ad essa. E se il popolo dovesse rimpiazzarla nel dominare, anche se diventato più evoluto del popolo dell’Ottocento, non sarà certamente il romanzo il suo genere letterario, presupponendo questo un’intelligenza e un gusto d’arte non estensibili all’infinito della folla. Per il popolo, se trionferà, il suo genere letterario potrà essere il cinematografo, o il teatro. Leggere un romanzo non è attitudine da operaio, da contadino, da marinaio o da soldato, mentre lo è per il borghese, come mezzo per evolvere, migliorare e scoprire se stesso.
Giovanni Comisso.
Verismo e psicologia
Il romanzo specchio della vita? Sì! e quando dò questa risposta mi par di sentire già l’osservazione secondo cui la tendenza del romanzo moderno dovrebbe allora essere il verismo, quella forma letteraria ormai sorpassata, rappresentante di corrente artistica unilaterale perdutasi in un vicolo cieco, dopo aver provocato aspre polemiche letterarie. Già sento l’obiezione: il verismo ha operato, smarrendosi nei minuziosi particolari della vita umana, senza dare una visione esatta della grandiosità e monumentalità di quel complesso che si chiama vita. Il verismo per l’appunto falsò la verità proprio quando pretendeva di essere sincero. La cura del particolare meticolosa e precisa fino all’esagerazione, sviò l’attenzione dalla causa motrice degli avvenimenti, degli uomini e delle cose.
Riconosco tutto questo molto volentieri, persuaso del valore di tali obiezioni. Ma aggiungo che la tendenza verista della letteratura della metà e della fine del secolo passato seguì una via sbagliata soltanto nell’indirizzo e nella forma; ma che la concezione fondamentale non era errata: dalla congerie dei materiali radunati, il verismo non seppe trarre e modellare la statua artisticamente compiuta soltanto perchè fra gli strumenti da esso posseduti ne mancava uno: la psicologia.
Il romanzo psicologico non è un nuovo genere letterario, come non lo era neppure duello verista. Ma fino a poco tempo addietro entrambi erano soltanto esperimenti. Il romanzo psicologico del secolo scorso schivava timidamente là realtà, accentuava i motivi spirituali dell'individuo e quanto più seguiva il suo eroe attraverso le vie più impensate tanto più, con indiscutibile sicurezza, motivava quelle avventure con le disposizioni spirituali dei protagonisti, ignorando che queste non si producono come un fatto autonomo, come fenomeni semplici indipendenti e specifici, ma sono prodotti in parte da influenze esterne e in parte sono conseguenze di fattori psichici. Tutt’altro aspetto assumono le cose se non ci accontentiamo, ad esempio, della seguente diagnosi: l’eroe in questo o in quest’altro momento si è trovato nella situazione narrata, perchè era d’animo fine o brutale. Cerchiamo di considerare la situazione anzidetta come un fatto compiuto, come una conseguenza inevitabile e cerchiamo di dimostrare le cause che hanno contribuito alla formazione dell’animo del nostro eroe, vale a dire cerchiamo non il come, ma il perchè.
Il romanzo verista, quindi, ha rivolto soverchia attenzione all’ambiente e agli avvenimenti esterni senza averne cercato il rapporto con i motivi psichici. Il vecchio romanzo psicologico prendeva notizia delle sole situazioni spirituali, senza tentare di cercarne la relazione coll’ambiente, con gli avvenimenti interni e esterni, e soprattutto con quegli antecedenti che preparano ogni corrente spirituale, escludendo da essa il casuale e l’inaspettato.
Quello che ora ho detto non vuole essere un giudizio senza appello, ma soltanto la constatazione di un aspetto della vita intellettuale dell’epoca; il romanzo psicologico moderno non è Ferenc Körmendi
moda passeggera; ma, in quanto nasce dal connubio delle due tendenze predette e corrisponde allo spirito del tempo, si è diffuso in tale misura da ascendere a genere letterario necessario e preferito.
Lo scopo e il senso di ogni progresso storico consiste nella creazione di una nuova tappa, che è di tanto migliore della precedente, in quanto trae la morale di quel progresso. Da questo punto di vista, il romanzo psicologico moderno è veramente una sintesi, perchè assume le conseguenze del fatto, che non soltanto è hello ciò che nelle forme e nel contenuto colpisce per la sua novità; ma anche perchè riconosce esser in relazione indissolubile con lo spirito del proprio tempo ogni genere letterario che sia veramente arte; ritiene ingenua la negazione di questo fatto, che ha per base metodi e risultati ormai cristallizzati; ed infine perchè applica, naturalmente in una forma consona allo spirito dell’epoca, tutto ciò che nel progresso precedente del romanzo è diventato valore storico. Ha assunto da Swift le considerazioni inerenti alle necessità della critica sociale; da Balzac la descrizione brillante del proprio tempo, procedente dall’esterno verso l’interno, dalla massa verso l’individuo; dal romanticismo lo svolgimento delle azioni; da Dostojevski la psicologia movente dall’interno verso resterno, dall’anima dell’individuo verso la psicologia della massa; dal verismo, l’interesse verso l’esteriorità oggettive e verso l’ambiente; dai neoromantici la fede nel destino individuale dell’uomo; dalla letteratura a tendenze sociali, la ricerca psicologica, l’azione e il destino collettivo. Ha assunto, ripeto, ma non a mente fredda, non nel senso di un plagio calcolato. Il romanzo psicologico moderno ha assunto tutto ciò vivendolo nella forma migliore e più completa, come una fede artistica simile a quella dei grandi romanzieri del passato; ma in proporzione anche maggiore, in quanto dopo ogni progresso storico, sociale e civile, l'uomo vive la vita in modo più intenso e unilaterale.
Ora, lo scopo ideale e morale del romanzo psicologico moderno, è di contribuire, nei limiti del suo contenuto, al miglioramento della vita umana. Il suo metodo consiste nell'aiutare l’individuo a conoscere il proprio io; nell’indicare, con l’ausilio della realtà e della psicologia, con tutta franchezza, senza compromessi e talora brutalmente e senza pietà, il vero volto dell’epoca, in rapporto all’individuo in essa vivente.
Ferenc Körmendi.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 16.05.34

Citazione: Giovanni Comisso e Ferenc Körmendi, “La tenzone del romanzo collettivo,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1594.