Le spalle curve (dettagli)
Titolo: Le spalle curve
Autore: Arnaldo Frateili
Data: 1934-05-23
Identificatore: 1934_236
Testo:
Le spalle curve
Maledette campane. Non finivano più di suonare, come se tutti dovessero andare in chiesa perché era domenica. Egli aveva di che ringraziare Iddio: ne aveva avuto un bell’aiuto alla sua esistenza di lavoratore, tutta spesa per un’azienda che se n’andava alla malora. Fosse stato per sua colpa; ma era una colpa essersi fidato d’un amministratore che lo aveva tradito? Cosa allegra, la vita. Odiò la domenica, il silenzio della fabbrica, il riposo dei suoi operai nelle loro case. Si riposino pure, ne avranno ancora per un pezzo. Sarà per loro sempre domenica, quando domani la cartiera avrà dichiarato fallimento.
Quell’idea che non c’era più via di scampo, che avrebbe trascinato la famiglia e la fabbrica nella propria rovina, gli fece formicolare i piedi come se li avesse messi sull’orlo di un abisso. Ma poi provò un’amara pace, e quasi desiderò che tutto quello che doveva accadere fosse già accaduto. Aveva passato l’intera notte nell’ufficio, curvo sui libri di contabilità, e si sentiva tremendamente stanco.
Spense la luce ch’era rimasta accesa ancora a mattino alto, e andò sulla porta dell’ufficio per spiare la venuta di suo figlio. C’era un cielo grigio e basso, di scirocco, e ricominciava una pioggia rada dopo quella a scrosci caduta nella notte. Nel grigiore il vecchio edificio della fabbrica pareva più misero, vicino a quello nuovo tanto più bello e vasto benché non ancora compiuto, tutto grandi sale per il moderno macchinario che avrebbe fatto della Cartiera Giordani la più importante della regione. Davanti, il terreno era sconvolto dalle ruote dei carri, pieno di pozze e di cumuli di materiale da costruzione. Pietro Giordani senti crollare in quel fango i suoi sogni d’industriale animoso, « sogni di megalomane » diceva sua moglie. Adesso tutto sarebbe rimasto così, stroncato dal fallimento.
Il ritardo del figlio accrebbe la sua prostrazione. Gli aveva telefonato da più d’un’ora perché gli portasse da casa il contratto con la ditta costruttrice: scadenze paurose a cui non avrebbe potuto far fronte, col suo denaro già tutto divorato dalla nuova fabbrica, e il credito sfruttato fino all’osso dall’amico coi suoi imbrogli. Dalla commozione della voce paterna Gianni avrebbe dovuto capire che si trattava di cosa urgente; invece aveva fatto delle difficoltà, che era occupato dallo studio del pianoforte, e adesso tardava a venire, sempre egoista. Dalla famiglia non aveva mai avuto alcuna vera soddisfazione. La moglie buona e affettuosa, ma d’una natura che freddava tutti i suoi entusiasmi, gretta quant’egli era aperto di mente, e adesso confinata in un fondo di letto; tre ragazzi timidi e mediocri, di poca salute, razza materna; solo quel figlio più grande d’una intelligenza superiore, ed egli lo amava teneramente, ma Gianni non pensava che a sé. Valeva la pena d’essere arrivato a quarantacinque anni lottando, superando ogni ostacolo, privandosi con gioia d’ogni piacere, sempre fiducioso nell’avvenire, credendo sempre alla sua buona stella?
Gianni apparve finalmente sul cancello, e venne avanti brontolando tra il fango e le pozzanghere. Entrato nell’ufficio gettò in silenzio alcune carte sul tavolo, restando a testa bassa come quand’era di malumore e pareva che gli pesasse addosso il mondo. « È tutto mio padre — pensò Giordani. — Ha lo stesso carattere del nonno, lo stesso avvilirsi per ogni contrarietà. E tutto gli è andato sempre bene, e non sa ancora che siamo alla rovina ». Aveva fatto venire suo figlio proprio per dirgli questo, ma ora non ne aveva più il coraggio.
— Dopo che hai telefonato, è arrivato il nonno — disse Gianni, muovendosi per andarsene.
— Mio padre? Perché? — domandò Giordani, sorpreso.
— Non so. Ho capito solo che la mamma gli aveva telegrafato ieri di venire, perché tu ti trovavi in difficoltà. Dice che l’aspetti, verrà qui tra poco.
Come aveva pensato a questo, sua moglie? Pareva guardare le cose della casa come un’estranea, da che era malata. Suo padre, poi, da molti anni non s’era più mosso dal paese dove aveva fatto il medico, in Alta Italia. Giordani andava a trovare i genitori per un paio di giorni, nell’estate. In quei giorni li vedeva come persone ormai distaccate dalla sua vita, e quest’anno se n’era perfino dimenticato. Ne provò un rimorso improvviso. Ed ecco che suo figlio già si conduceva con lui com’egli s’era condotto con suo padre. Gli domandava forse quali erano queste difficoltà cosi gravi da far smuovere il nonno? Niente. Se ne stava lì a testa bassa, assente e quasi nemico. Allora Giordani s’incattivì, gli spiegò brutalmente la situazione, che era finito per lui il benestare, che adesso anche lui avrebbe dovuto fare i conti con la vita, trovarsi un impiego, altro che la musica, e dicendo così gli, pareva di liberarsi, aveva il cuore pieno d'una soddisfazione amara.
Gianni fu punto da quella cattiveria, ma non si ribellò come faceva tante volte. Rimase, avvilito, e mormorò soltanto:
— Anche la miseria. L'ho detto sempre che sono disgraziato.
In un’altra occasione Pietro Giordani avrebbe rimproverato aspramente il figlio di quel modo di parlare che per lui era una bestemmia, gli avrebbe magari dato uno schiaffo. Ora invece si sentì cadere sul cuore anche, quell’altro avvilimento, per lui tanto più doloroso del proprio. Rileggeva il contratto con la ditta costruttrice: una rata di centomila lire da pagare tra cinque giorni. Dove prenderle, Dio mio? Ecco, si ricordava di Dio e l’invocava, perché si trovava nella tristezza e non poteva più contare sulle proprie forze: la viltà degli uomini. Le campane continuavano a suonare, la pioggia infittita crepitava sulle pozzanghere. Non udì il passo di suo padre che crocchiò sulla ghiaia del giardino, e s’accorse di lui solo quando vide la sua figura alta e un po’ curva disegnarsi nel riquadro della porta. Gli mancò la forza d’andare a incontrarlo, e gli fece un saluto con la mano, guardandolo desolato in silenzio, come a dire: « Ecco in che stato mi trovi ».
Il padre invece pareva allegro, fresco, come se non fosse affatto stanco del viaggio coi suoi settantacinque anni, e all’arrivo avesse avuto tutte buone notizie.
— Clelia non sta affatto male, come pensano i vostri medici novellini di città — diceva il vecchio con la voce che s’era fatta più profonda e distesa. — È solo un male nervoso, di quelli che una volta si combattevano col buon mangiare e la tranquillità. Falla alzare, e mandala da noi in campagna. La tua ultima lettera m’aveva spaventato, e per questo sono venuto.
Prese le carte che il figlio stava leggendo, e le scorse con aria apparentemente distratta.
— Ho visto entrando l’edificio della nuova fabbrica — riprese. — Bellissimo. So che hai ordinato anche un nuovo macchinario. Tra qualche mese sarà tutto in ordine, e potrai inondare di carta il mercato. A proposito: tua moglie mi ha detto che ti trovi in qualche difficoltà momentanea. Non ti preoccupare. Ci sono io, che ho qualche cosa da parte. Duecentomila ti bastano? Non ho di più, ma le metto volentieri nell’azienda. E poi sono cosi vecchio, che non avranno il tempo di fruttarmi.
Vecchio: pareva molto meno vecchio adesso di quando aveva l’età di Pietro, ed era sempre inquieto e turbato come se nella vita ci stesse a disagio. Ora aveva una fronte liscia e come rasserenata, forse da una pace interna, forse dal chiaro riflesso dei capelli bianchi. La carne rosea delle guance, un po’ cascante ma più piena, aveva disteso le due rughe ai lati della bocca. Era sempre curvo, ma non più perché abbandonasse le spalle; proprio le spalle s’erano ingrossate nel riposo dell’età. Pietro guardava suo padre, non avendolo più guardato con attenzione da tanti anni. Sentiva una voglia di riprendersi, di lottare ancora, di non farsi giudicare da suo padre come egli lo aveva giudicato tanti anni fa, quand’era contento di trovarsi un altro carattere, tanto quello del padre gli faceva rabbia. Era come una luce che gli riempisse l’anima, che prima gli era sembrata un atomo miserabile perduto nello spazio. Forse la vita consisteva nel riempire d’una simile luce quell’atomo, perché avesse un valore: una luce che ognuno vede coi suoi occhi interni.
— Bene — concluse il vecchio, alzandosi. — Parleremo d’affari a casa, mi dirai quanto t’occorre per far fronte ai tuoi primi impegni. Adesso devo andare alla Messa. C’è una chiesa, da queste parti?
— È qui dietro. Gianni, accompagna il nonno — disse Pietro al figlio.
— Però, se vieni anche tu, mi farai piacere — fece il vecchio, sulla porta.
S’avviarono, in silenzio. Giordani vedeva le teste del padre e del figlio procedere un po’ curve, per difendersi dallo sgocciolio della pioggia che il vento spingeva sotto l’ombrello. Egli camminava alto e diritto, con le spalle buttate all’indietro. Si risentiva nel pieno della sua forza.
Arnaldo Frateili.
Collezione: Diorama 23.05.34
Etichette: Arnaldo Frateili
Citazione: Arnaldo Frateili, “Le spalle curve,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 03 dicembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1601.