Le massime e i caratteri (dettagli)
Titolo: Le massime e i caratteri
Autore: Angelo Gatti
Data: 1934-05-30
Identificatore: 1934_247
Testo:
"Le massime e i caratteri"
Sta per uscire, presso Mondadori, il primo volume de « Le massime e i caratteri » del nostro illustre collaboratore Angelo Gatti. Pubblichiamo la prefazione del libro e tre massime bastanti a dare un'idea della novità dell'opera e della novità dell’ispirazione: questa del Gatti non è morale per superuomini, ma morale per tutti; il suo è un libro di vita piena e fremente, che vuol rispecchiare gli uomini e il tempo. Le tre massime che riproduciamo appartengono al primo capitolo (Della inorale e dei moralisti). Gli altri sette capitoli del volume s’intitolano: Degli uomini - Delle donne -Dei giovani - Degli uomini grandi e dei preminenti - Degli animatori e dei conduttori d’uomini - Dell’amore e degli amanti - Dell’arte e degli artisti.
« Tutto è detto, e siamo nati troppo tardi, poichè da più di settemila anni ci sono uomini che pensano», ha messo al principio del suo libro Jean de la Bruyère, il più grande pittore di caratteri che conosciamo, dando così rilievo d'epigrafe alla sentenza. Per di più, i libri che studiano l’uomo non sembrano confacenti agli Italiani. In quasi settecento anni non ne scrissero uno; e Leonardo, il Guicciardini, il Gozzi, il Leopardi, il Manzoni, il Tommaseo, il Graf, per rammentare solamente i maggiori, che pure dettarono massime o dipinsero caratteri, non ebbero disegno prestabilito nell’indagine, e piuttosto dispersero l’osservazione che non l’appuntassero ad una mèta. Eppure ecco qui il primo libro italiano di massime e di caratteri.
Tu giudicherai, lettore, se questo è il libro dovuto al popolo, e adeguato al tempo. Non ti ripugni la scarnita, e quasi l’aridità del soggetto, che è l’uomo; la materia è tutta viva e fremente. Vedrai balzar fuori dalle pagine, che parlano soltanto di lui, uno di quei ritratti all’antica, da cui era tolto ogni paese e ogni altro animale, e il personaggio ti veniva animosamente incontro, solo, dallo sfondo nero, con il suo gran viso scavato dall'anima tormentata e tormentatrice, come per dirti: « Eccomi: capiscimi e amami». Guarda bene quest’uomo solitario e nudo, artefice e padrone della propria sorte; se anche, a parte a parte, ti svelerà la sua grande miseria, ti darà, tutto insieme, coraggio e speranza meravigliosi.
Intanto considera con benevolenza l’insolito personaggio che ti viene innanzi: il moralista.
È un uomo singolare, un ingenuo e un curioso, come chiunque ha cose nuove da dire e non da fare. Per dimostrare agli uomini come sono congegnati, deve molte volte graffiarsi e ferirsi le mani; ma non sente il dolore proprio e non s’inquieta dell’altrui, anzi crede che gli scorticati debbano divertirsi quanto lo scorticatore. Nessuno meglio di lui dissocia l’amore dalla stima: egli può amare svisceratamente, e affondare con fermi occhi il coltello nella piaga, perchè il marciume ne sprizzi fuori. Quasi sempre di poche parole, un po’ distratto, un po’ solitario, è di fondo malinconico, anche se la malinconia si manifesta, come spesso accade, con l’ironia o il sarcasmo: i malinconici sono acuti osservatori, e la tristezza, all’opposto di quanto si reputa, illumina l’intelletto. Se il suo stato è mediocre, rischia col suo compito di viver male: ma ad ognuno il proprio destino. Egli ha scelta la parte ingrata della storia degli uomini, lasciando la grande e fulgida allo storico, suo fratello fortunato. Mentre quest’ultimo rievoca la maestà del sovrano, il genio dell’uomo politico, il valore dell'esercito, la operosità e la potenza della nazione; e, vedendo sotto una valida guida costituirsi saldamente un impero; le arti, le industrie, il commercio fiorire; gli stranieri diventare riverenti o sottomessi, celebra gli attori e il tempo; il moralista nota se anche la giustizia, la tolleranza, il buon costume, la pietà sono stati osservati; poiché l’uomo riesce più facilmente ad esser grande nelle cose grandi, che buono e utile nelle comuni. La corruzione e il dissolvimento della famiglia, l’ambizione dei giovani, la cupidigia degli adulti, l’indifferenza dei vecchi paiono al moralista fatti altrettanto importanti quanto i politici, i militari o gli economici; e se apprezza la nobiltà e la fortuna delle grandi imprese, misura con eguale equanimità la fatica e il dolore della piccola gente che le compie. Così, sembra essere molte volte il censore o il nemico dei contemporanei, mentre non è se non il rammentatore lieto od accorato dei loro pensieri e dei loro fatti; ma, soltanto rammentandoli, indica da che parte è il bene e da che parte il male, che cosa si deve e che cosa non si deve fare; sicchè sembra un giudice.
Circa il suo lavoro, il moralista sa che, non ostante ogni cura, egli può aver stimato proprio ciò che è d’altri, e creduto pensiero un ricordo: nuovo in Italia, egli è vecchio nel mondo. Se le parole che ripeterà sono d’altri scrittori, chiede loro scusa fino da adesso: ognuno ha diritto di veder rispettato il proprio bene. Tutto quello che avrà preso al popolo, invece, sarà ben preso: in queste pagine, anch’egli, come i suoi predecessori, è altiero di restituire fedelmente agli uomini ciò che essi gli hanno prestato.
* Ecco un libro di massime e di caratteri in cui, per natura, passione e brevità necessaria a questo genere d’opere, io non riuscirò a dir bene ciò che penso, e il lettore, per natura, passione, interesse o pigrizia, sforzerà o adatterà secondo gli conviene ciò che legge: molte volte, per conseguenza, le parole per me vorranno dire una cosa, e per lui un’altra. Accetti il lettore il libro come è scritto, con buona fede, e corregga i miei difetti ed errori. In quanto al resto, se, consentendo o dissentendo, egli sarà indotto ogni volta a guardar dentro di sè, perchè egli è il soggetto dei suoi ragionamenti e delle sue commozioni, il libro avrà conseguito l’intento.
* Ci vuole ad un moralista, che cerchi la verità pacata e universale, una forza d’intelligenza e di carattere che i tanto ammirati moralisti dionisiaci, di qualunque parte siano, il più delle volte non hanno. Il popolo dovrebbe persuadersi che il giudizio giusto e la parola esatta richiedono la stessa rapidità d’intuizione, lo stesso fervore di commozione, la stessa vivacità d’espressione; in poche parole la stessa novità ed energia d’ingegno e d’animo, dei giudizi e delle parole esagerate e tumultuose. E, per di più, se il moralista non è proprio Pascal, rispecchiano meglio la verità.
* Per me, dichiaro di non sapere che farmi della morale per uomini singolari o per superuomini; della morale che dedica i suoi libri allo studio raffinato di alcuni privilegiati, e sdegna i più. Le parole di quei libri possono essere sonore, le immagini lucenti, i personaggi piacevoli, ma gli autori non tanto sono moralisti quanto artisti: cercano il raro, il bello, a costo anche del deforme o del mostruoso, e sdegnano il medio, il quotidiano, l’utile. Voglio la morale per tutti, che considera l’uomo come me, o quello che incontro per istrada o che sta nella casa accanto alla mia; l’uomo che non ha nè ingegno nè animo smisurato, ma, insieme con gli altri, adempie ogni giorno la grandissima impresa di vivere, e, così mediocre com’è, affronta e soffre, se non risolve, i problemi essenziali, sicché diventa augusto: perchè io sono folla, popolo, tutti.
Angelo Gatti.
Angelo Gatti
Collezione: Diorama 30.05.34
Etichette: Angelo Gatti
Citazione: Angelo Gatti, “Le massime e i caratteri,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1612.