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Titolo: Libri della settimana

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1934-06-13

Identificatore: 1934_270

Testo: Libri della settimana
Tutto un romanzo
« La valanga », « La sosta », « La terra di Dio ». È l'indice breve del romanzo di Orazio Pedrazzi. edito dal Mondadori. Tre tappe nella storia di tre esistenze, nella vita dei tre protagonisti: Vlasta, Paolo Nomade, Walter. E se il còmpito del libro in genere e del romanzo in particolare è di dare qualche gioia al lettore (che potrebbe anche essere di malinconia e di lacrime — l'incongruenza è soltanto verbale —), di arricchirne lo spirito, di muoverne la fantasia e i sogni si che all’ultima riga dell'ultima pagina debba rimpiangere d’aver finito di sognare, questo del Pedrazzi è un bel libro. Se per contro (e i teorici in materia non mancano) le qualità del romanzo nostro (millenovecentotrentaquattro, anno XII, con quel po’ po’ di esempi venutici di fuori tutti quanti) dobbiamo cercarle nella noia quintessenziale, nel tritume avvilente della inconfessabile esistenza giornaliera dell'uomo qualunque oppure nella rivelazione particolareggiata del fatto scandalistico (in cui devi sentire tutta la obiettiva compiacenza dello scrittore), il libro del Pedrazzi è mancato. La sua saldezza morale, la schiettezza delle sue radicate opinioni politiche e sociali, la limpida stia sostanza d'italiano cattolico, e la cultura l’esperienza la conoscenza di uomini e paesi vastissime sono gli argini duri entro cui a volta a volta egli muove e costringe la materia sempre ricca ma non sempre nè chiara né pieghevole della sua storia. Perché sarebbe riuscito facile a lui pure l’indugiare sulle complicazioni erotico-psicologiche di Vlasta, con non poco diletto di chi nei libri cerca pimenti e stimoli alla propria annacquata sensualità.
Vlasta, nome frusciante di donna boema, torna nel libro con significato e sapore diversi a seconda dei tempi, che come ho detto sono tre, in ascesa, anche se l’ultima stazione della infelice sarà poca terra affiorante d'improvviso come una chimera dalle morte profondità del Mare Morto, e poi risommersa.
* * *
Stazione prima. Praga dopo la guerra. L'impero è crollalo. Gli ultimi Absburgo dormono nei sepolcreti dimenticati o vanno esuli per il mondo. Gli slavi pensano che il tempo sia giunto d’essere finalmente padroni in terra slava. Periodo di transizione febbrile, di ricerca, di odi latenti, mortificati da secoli, che urgono. Da una parte i padroni di oggi, dall'altra gli usurpatori di ieri. Vincitori e vinti. Vlasta appartiene ai primi, Walter agli altri. Fra i due, Paolo Nomade (segretario alla Legazione italiana di Praga) si potrebbe definire un elemento equilibratore. Fra l’ussita fanatica e il rappresentante del crollato mondo austro-germànico, nel groppo tenebroso delle passioni divincolantisi senza ritegno, la saggezza toscana, italiana, latina del suo temperamento ha un significato che a nessuno può sfuggire: è simbolo.
Vlasta, figlia della ricchissima borghesia e per questo appunto tenuta sdegnosamente distante dalle caste nobiliari, alle quali apparteneva ai bei tempi Walter Marek, natura indocile, superba, tutta fascino coraggioso, era nata male con quel marchio di borghése che la umiliava. Aveva conosciuto Walter ancora ragazza, ne era stata presa, soggiogata, e s’era fitta in capo di dominarlo ad onta delle distanze e della gelida indifferenza di lui. Se non che un nobile austriaco con la tempra del nostro è osso duro, troppo duro anche pei denti d’una belva come Vlasta. Non serviranno due matrimoni d'accatto; non la guerra (nella cui scia di dolori avrebbero potuto trovar posto senza scandalo un po’ di debolezza, di pietà, di oblio, di amore più forte dello stesso Onore con l'O maiuscola); non la pace tormentata e convulsa con tutto il suo strascico di valori rovesciati, nulla. Walter rimarne inaccessibile e chiuso pari al suo castello di Usti nel silenzio degli alberi secolari.
Quando appare sulla scena Paolo Nomade, legato a Marek d’amicizia più che fraterna, in Vlasta la volontà di vendetta è già istinto di distruzione, furore, urlo mentre la resistenza dell’altro s’è chiusa nell’impassibilità della. rupe. Ella conquista Paolo (il solo che potrebbe forse avere « le chiavi del cuor di Federico ») e ne è conquistata. Assistiamo allo scoppio d’un amore tempestoso e totale, in cui tutto il resto sarebbe travolto e dimenticato se il destino non intervenisse di schianto. Nomade, promosso Console generale, deve lasciare Praga per Gerusalemme, e allora Vlasta, che aveva sentito nell'italiano l'anima capace di placarla, difende il protirio amore con violenza barbarica. Implora, scongiura, minaccia; alla fine ricatta. Se Paolo l’abbandona, ella si vendicherà su Walter. Ha le armi per farlo. Il nuovo governo sta infatti espropriando tutti i beni dei vecchi padroni, ai quali appartiene il nobilissimo Marek. Ella ha modo d'entrare nella faccenda, di forzare la mano agl'incaricati: acquisterà lo storico castello di listi per sé, sradicherà Walter dal focolare e dalla terra dei suoi padri, ne farà un affamato. Come se parlasse al muro: Paolo Nomade sa per tradizione che i diritti del dolore, per quanto grandi, vengon sempre dopo il dovere, e non piega. Walter, al corrente d'ogni cosa, accetta la sfida. Si giunge cosi all'ultima notte in cui assistiamo all’incendio del castello di Usti provocato da Walter stesso pur che Vlasta non l’abbia. Dirà magniloquente il protagonista: «... un rottame che segue nel gorgo, con qualche anno di ritardo, la grande nave degli imperatori. Affonda colla sua bandiera al vento, nei gorghi della storia ».
Stazione seconda. Nomade è in Italia, nella sua casa in Versilia. Dolce rifugio la patria! Lo cullano il sorriso della madre e la grazia modesta ma primaverile d’una fanciulla amica. Idillio. Senti che l'anima guarirà e che sulle rovine lasciate da Vlasta cestisce una promessa inattesa. Vlasta è in Cina, ugualmente distante nella realtà e nel ricordo. Walter, esule senza casa senza patria, cercherà di crearsi una esistenza nuova. Pagine serene, illuminate per trasparenza di luce mattutina.
Stazione terza. Il mistero ha le sue vie e le sa Dio. I tre, sul cui capo vegliava un'unica stella, si ritrovano in Palestina. Marek quale incaricato d’una missione archeologica americana, e Vlasta come penitente. Il gran mondo percorso non le ha dato la pace che sperava: la visione di Usti in fiamme e il pensiero di Walter l'hanno accompagnata sempre: il rimorso l’ha spinta verso Nomade nella terra di Gesù alla ricerca dell'altro. Così Vlasta l'ussita entra in Gerusalemme che è la settimana di Pasqua. Trascorre una notte nell'Orto degli Ulivi, sola con le stelle e le preghiere sospirose dei fedeli senza nome; s’è bagnata nel sole del Carmelo, ha colto il sorriso del cielo curvo sul Tabor. Paolo dovrebbe condurla al Mar Morto dove Walter lavora fra insidie d'ogni genere, e lo farà...
E poi? Qualcosa in merito ho detto più sopra; ma essendo questo un romanzo, tutto un romanzo, la cronaca può ben chiudere con un punto interrogativo. Per la risposta definitiva il libro è là e s’intitola « Terra di Dio ».
* * *
Orazio Pedrazzi, già inviato speciale della « Gazzetta del Popolo » in tutto il mondo, e poi Console generale a Gerusalemme, Ministro plenipotenziario a Praga, ora Ambasciatore di S. M. il Re d'Italia a Santiago del Cile, ha potuto scrivere un romanzo in cui temperamenti, paesi, problemi politici, storia, costumi, tradizioni, leggende si fondono in unità. Con la materia del suo libro un impiegato ai romanzi ne avrebbe dati alle stampe quattro, magari una serie o un ciclo come usa dire. Nello stile facile, fluente, chiaro, che ricorda la sua stupenda eloquenza, senti lo scrittore di razza. Egli sa raccontare, la qual cosa è, anche se non sembra, rarissima. Sa colorire con pochi tocchi il personaggio secondario, dare risalto agli scorci, passare la storia a traverso la morsa della sintesi, comporre i protagonisti in atteggiamenti vasti e risentiti (sotto tale aspetto Vlasta e Walter sono indimenticabili). Ma ciò che più senti in lui è la schiettezza del pensiero, il nerbo dell’idea informatrice, la qualità, del metallo uomo insomma, le quali doti fanno di Pedrazzi un educatore soprattutto.
Orazio Pedrazzi
Eugenio Bertuetti.
Vicki Baum
Di Vichi Baum, l’autrice di Grand-Hôtel, esce nelle edizioni della Libraire Stock un altro romanzo tradotto da Eugenio Besteaux: Ulle (Paris, 1934 - Franchi 15). Chi sia il Besteaux occorre appena ricordare ai lettori italiani, chè la sua attività è legata a una fervida e pratica opera di propaganda per la nostra letteratura in Francia. Pubblicando la versione del nuovo romanzo della scrittrice viennese, il Bestaux fornisce un’ottima prova della sua conoscenza della lingua tedesca e della sua abilità di traduttore. Il romanzo, infatti, non è facile così nel senso letterale come in quello psicologico. È fuori dagli schemi un poco feuilletonisti e gialli di Grand Hôtel per aderire a una sensibilità più temprata e raffinata, a un senso ironico della vita moderna che talvolta assurge a significazioni grottesche e crudeli. Protagonista del romanzo è il nano Ulle, la cui vita è raccontata con quell'abilità di mestiere che conosciamo a Vicki Baum insieme con un tipico humour tra tenero e atroce. La rievocazione dell’infanzia di Ulle nella sua famiglia e presso i saltimbanchi è la parte migliore del romanzo. Poi vediamo Ulle progredire, diventar celebre, gustar la vita intellettuale ed elegante, giungere all'amore. Segue l’inevitabile delusione, e con la delusione la lezione della saggezza che ha le sue radici nella vita difficile e nella pena degli umili. Uno dei pregi del romanzo di Vicki Baum sta appunto nella conoscenza di questa pena reale e nel fatto che la scrittrice, da un fondo di cordialità umana, sa far sgorgare la gamma delle forze vive.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 13.06.34

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Libri della settimana,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1635.