La cambiale (dettagli)
Titolo: La cambiale
Autore: Riccardo Marchi
Data: 1934-07-18
Identificatore: 1934_306
Testo:
La cambiale
Da un po’ di tempo la nostra vita è divenuta difficile, tuttavia qualche limitazione non ci pesa: non siamo, io e mia moglie, di gusti complicati; ci basta, la sera, starcene in casa, guardarci negli occhi tacendo come si faceva nei primi tempi e ascoltare gli stridi disperati delle rondini intorno al nostro balcone che non sappiamo spiegarci come mai non imparino ad amarsi in silenzio, le rondini. Attutite fra di noi tante incomprensioni, la convivenza abbiamo imparato a non considerarla più scipita e incolore; qualche volta, anzi, senza dirlo, ci consideriamo felici.
Ora, io socchiudo pigramente gli occhi; non mi accorgo quasi che lei mi stringe la mano; non vedo le macchie lilla dei glicini accesi qua e là nella stanza con la industre cura ch'ella mette a fabbricare la nostra felicità; questo dolce torpore primaverile mi vince fino quasi a farmi svanire nel sonno... quand’ecco mi si accende davanti, come una tabella di colori accecanti, una serie di nomi e numeri in colonna: il calendario olandese con le piccole oasi rosse delle feste civili e delle domeniche consacrate al riposo.
Lei non sente, sembra, il mio turbamento. E intanto dietro il calendario appare, come nei sogni, un numero grande, di quattro cifre, che palpita come certe lampade elettriche: le cifre si accavallano, formano una piramide — quella più alta al vertice — si distendono... Ah! È una cifra nitida questa, non immaginaria: duemilatrecento. Ci sta davanti come il pensiero di una infamia incombente; siamo gente onesta e pacifica noi, eppure questo l’abbiamo commesso: abbiamo firmato una cambiale di questa cifra. C’è, da un mese, una grave incrinatura nella nostra vita ed io, durante tutto il pomeriggio — glicini, rondini, aria infocata, sensi accesi: primavera — l’avevo dimenticata. Vi abbiamo apposto entrambi la firma: la mia netta rabbiosa, la sua fine trepida più di quella che appose nel registro civile il giorno del matrimonio. Per duemilatrecento miserabili lire Lui ha voluto ch’ella rimanesse garante con le quattro cosucce che possiede. E lei ha firmato contenta di correre il mio stesso rischio e di cader nell’abisso dove potrei precipitare.
Ora, come tutte le volte che mi scopre in preda a quell’incubo, mi sorride e brilla nei suoi occhi la femminile fierezza di starmi vicina nel pericolo, col piacere di proteggermi, anche se neppur lei sa in qual modo riusciremo a cavarcela fuorché vendendo i quattro mobili che mi ha portato in dote. E come potremmo, dopo, vivere nella casa vuota dove non riuscirei a udire altra voce fuorché quella del mio rimorso? Inutile illuderci: quella cifra, che rappresenta un debito da me sconsideratamente contratto, sta per divenire più grande dei nostri stessi sentimenti e soverchiare definitivamente la nostra vita. Eppure, in questo pomeriggio, né io né lei abbiamo il coraggio di parlarne: ci dissimuliamo a vicenda il pericolo; andiamo come due bambini taciturni tenendoci per mano lungo la strada in fondo alla quale nereggia la prospettiva di un incerto domani.
Poi, come se il trillo di un campanello abbia fatto sussultare l’anima stessa della casa, di scatto, colpiti evidentemente dallo stesso pensiero, ci volgiamo verso la porta... Ma non ti sembra...? No, non lo dico, poiché sono certo che lei stessa vede quello che io vedo in questo momento: Lui, nel vano della porta. Da dove è entrato? Di che s’impiccia prima della scadenza? Che mi rimprovera fin da orar In (ondo non lo avevo cercato, si profferi da sé. Eppure un amico non piove dal cielo nei momenti difficili. Quella cifra non può averla sborsata per poche diecine di lire di interesse o per puro affetto ma, piuttosto, per un’usura più grande... Ecco, egli forse cova qualche mira ambigua, qualche ignobile disegno, forse un’incrinatura più vasta e irrimediabile. Lo avremo fra i piedi per tutta la vita, Lui.
Che dovrò fare io, inerme, solo con la mia vergogna di fronte a lei per cacciarlo? Non voglio assolutamente che mia moglie si accorga del mio tremito e scopra la debolezza dell’uomo che ha sposato da pochi mesi contro la volontà paterna al cospetto di Lui così agguerrito ed audace, sordido e sorridente, che si appresta a tenere con qualche giuoco sottile i fili della nostra vita.
Mi distolgono invece da quella visione molesta due rondini entrate a precipizio nella stanza. Tanto cielo non bastava alla loro corsa amorosa che son cadute in questa trappola e vi stridono pazze e sbattono contro i muri senza riuscire a sfuggirvi. Mia moglie, dopo il primo spavento, emette gridi di gioia: segno fortunatamente che non si era accorta dell’intruso. Corriamo allora avanti e indietro per cacciarle e, nella foga, tutto l'ordine della stanza si scompiglia; cade il calendario olandese, s’infrange per terra un vaso coi glicini senza che si abbia il tempo di provarne rammarico. Via, via le piccole intruse coi loro gridi spietati il cui stridere felice m’infastidiva come il suono degli organetti quando miagolano sotto la finestra e si ha l’anima triste.
Eccole finalmente di nuovo libere nel cielo che il tramonto sta venando di rosso. E mia moglie si siede affranta. « Se ne sono andate... », bisbiglia. « Se n’è andato... », rispondo tendendo i pugni verso la porta. Ma lei, che mostra di non avermi capito, è pallidissima, con due ampie cerchiaie agli Occhi, trasfigurata, diversa, ed io fino a questo momento non mi sono accorto che l’incubo sotto il quale viviamo l’ha trasformata talmente.
— Sai, — dice invece con un filo di voce — ho da qualche giorno un certo malessere, nausee, capogiri... Ne avevo dubitato fino a poco fa. Ora sono certa: avremo un figlio, caro...
Un figlio, un figlio; la gola mi si stringe; non so che dire, che fare. — Credo — aggiunge lei — che papà questa volta si concilierà con noi e mi darà la dote. Potremo cavarci da ogni impiccio finalmente...
Che dice mia moglie? Che importa la dote? Che valore hanno gl’impicci, quell’orribile cifra, il ceffo importuno di Lui?
Un figlio, un figlio... Lei mi sfiora la fronte con la mano come per plasmare la mia anima e renderla virile, e far di me l’uomo che occorre, ora. Diversamente come faremmo a procedere nella lunga strada con la creatura che sta per venire?
Riccardo Marchi.
Collezione: Diorama 18.07.34
Etichette: Riccardo Marchi
Citazione: Riccardo Marchi, “La cambiale,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 16 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1671.