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Titolo: Non sono di questa parrocchia

Autore: Silvio D'Amico

Data: 1934-08-22

Identificatore: 1934_351

Testo: NELLA SCIA DEL PREMIO VIAREGGIO
"Non sono di questa parrocchia"
Stupisce che la Giuria del Premio Viareggio, coronando le opere d’alcuni buoni scrittori nostri, per giustificare la ragionevole esclusione dalla gara d’altri scrittori più noti o più anziani abbia creduto di ricorrere al motivo che i loro libri erano « raccolte di scritti apparisi in giornali o in riviste », mentr’essa ha inteso tener conto soltanto di « opere organiche ».
Dire che il fatto stupisce non è dire che sia del tutto nuovo. Anche tempo addietro, nel concorso bandito da un giornale, per premiare il miglior libro scritto nell’annata da un giornalista, una giuria composta di giornalisti escluse (nella sua relazione, benché il bando della gara non avesse fatto nessuna restrizione in proposito) i libri composti d’articoli già pubblicati in altra sede. Anzi spinse lo scrupolo sino a metter fuori della porta, tra cotesti libri, uno ch’era evidentemente concepito e svolto per un assunto preciso, e diviso non in articoli bensì in capitoli logicamente connessi l’uno all’altro: un libro per il quale non sarebbe valsa l’affermazione che, vedi caso, proprio nella Gazzetta di lunedì scorso Bergeret faceva rispondendo a un lettore: « Solo in gioventù mi son lasciato andare a pubblicare un libro messo assieme con articoli di giornale; e lo rinnego. Spero di resistere alla tentazione di ricaderci. Un articolo è un articolo, non è un capitolo di libro ». Ma l’autore del libro escluso aveva avuto il torto di riprendere e rielaborare, nel volume, pensieri e giudizi già da lui sparsamente espressi su questo o su quel periodico: donde la scomunica.
Non sappiamo se tutto ciò sia un risultato della guerra al cosiddetto frammentismo. Se così fosse, noi che pure abbiamo scagliato, in quella zuffa, il nostro »assetto, ci troveremmo a doverci pentire una volta di più del comico modo con cui a questo mondo i più onesti intenti vengono svisati e capovolti. Pericoli dell’interpretazione alla lettera, a cui fatalmente s’arresta il semplicismo dei più. Non altrimenti, quando tutti invocavamo un’arte ispirata a una fede, ci fu risposto: letteratura di propaganda. E quando abbiamo auspicato la fine del. teatrino per gli snobs, hanno creduto di darci ragione proponendo sul serio: portiamo il teatro allo stadio. Adesso che si chiede l’opera organica, architettonica, eccetera, si è concluso: dunque, via i libri fatti con roba già stampata nel giornale.
Ancora una volta, siamo in presenza d’un equivoco. E l’equivoco è in quel « dunque ». L’equivoco è nell’inatteso contrasto che anche i giudici di Viareggio sembrano porre irriducibilmente fra « opere organiche » e « raccolte di articoli ».
Pure essendo giornalisti anche noi, almeno per il fatto di trovarci iscritti all’albo, non ci scandalizziamo menomamente che si tenga in mediocre stima tanto giornalismo: al contrario, pensiamo che non se ne sia ancora detto male abbastanza, speriamo e aspettiamo che se ne dica molto di più. Ma poi? Poi se è vero che tanti giornalisti sono, per necessità di cose, improvvisatori, frammentari, sporadici, viventi solo della vita dell’attimo che commentano e perciò condannati spiritualmente a morire con l'attimo successivo, è altrettanto vero che ce ne sono altri i quali — sia perchè materialmente lavorano in circostanze meno frettolose, sia perchè anche « improvvisando » lo fanno al lume di principi ben saldi, d’una ben chiara visione del loro mondo, e insomma d’una loro indubitabile personalità o eticità — quando scrivono una serie di articoli non scrivono altro che i capitoli d’un unico, organico libro.
Che criterio meccanico, esteriore e formalistico sarebbe mai questo, per cui ciò che è già apparso in un periodico, o anche ciò che è stato via via generato da una serie d’occasioni più o meno contingenti e cronistiche, è di conseguenza da ritenersi frammentario e, orrore, « giornalistico », mentre ciò ch’è stato pensato solo per il volume offre la presunzione juris et de jure d’essere un’opera « organica »? A ragionar così, San Paolo e Sant’Agostino diventerebbero di colpo giornalisti e frammentisti; mentre gli autori di certi drammi e di certi romanzi che c’intendiamo sarebbero, ohè, architetti e scrittori. L’organicità d’una opera, ma davvero c’è bisogno di dirle certe cose?, non risiede nel fatto di non essere stata pubblicata a puntate, e nemmeno nel fatto di non essere stata concepita e suggerita da eventi apparentemente spiccioli, della vita o dell’arte. L’organicità di un’opera è nel suo spirito.
Ci sono stati e ci sono giornalisti brillantissimi — rinunciamo alle citazioni, troppo ingenerose verso i morti, e troppo pericolose per i vivi — i cui articoli, letti nel giornale all’ora buona, hanno fatto furore, e trasportati in volume non resistono, cascano a pezzi. Ma anche ci sono stati e ci sono, e specie in Italia, scrittori autentici, che più ragioni (spesso, di natura economica) hanno indotto e inducono a pubblicare in anticipo i loro scritti, pezzo per pezzo, su riviste e quotidiani, talvolta anche cogliendo questo o quel pretesto; benché si tratti di scritti 1 quali non rivelano mai così bene le loro virtù, e prima fra esse la desiderata unità, come quando son poi raccolti in volume.
Altre volte proprio uno dei giudici di Viareggio, Bontempelli, e proprio uno degli esclusi dal giudizio, Baldini, hanno illustrato ciò che sia, oggi, l’articolo cosiddetto di terza pagina; e come questo, nei casi migliori, sia una nuova e vera forma letteraria, propria del tempo nostro, e specialmente del nostro Paese. Ora chi mai, da una gara di poeti, avrebbe escluso un libro, mettiamo, di sonetti, o in genere di liriche magari d’occasione, solo perchè coteste liriche erano già state pubblicate sparsamente qua e là? e perchè bisognerebbe escludere, da una gara di scrittori, un libro fatto di « articoli »? Guardate dapprima, o giudici, quel che siano cotesti articoli; considerate se si tratti soltanto di articoli, ovvero di « momenti » d’un’unità superiore, organica, architettonica, o come volete chiamarla, e se insomma essi facciano o non facciano «un libro »; e poi decidete.
Ma a cacciar via senza appello, diciamo così, gli articolisti, si corre il rischio di cacciar via i nove decimi dei migliori scrittori d’oggi. O da Ojetti a Papini, da Soffici a Emilio Cecchi, da Barilli al citato Baldini, che cosa sono oggi la maggior parte dei libri più vivi, e anche stilisticamente più ammirati, se non « raccolte d’articoli »? E ci sbagliamo, o in altre gare del genere, anche a Viareggio, non si sono premiati libri fatti appunto a cotesto modo?
Un singolare scrittore francese del secolo scorso, Hello, che conseguì la più giusta fama con volumi costituiti precisamente da articoli di giornale, nel pubblicarne uno avvertiva che gli sarebbe stato facile dare, a que’ suoi scritti, un’apparenza sistematica, sopprimendo qualche accenno a certi dati occasionali, e riordinandoli con titoli compiacenti; ma che non aveva voluto farlo appunto per mantenere, all’opera sua, il suo carattere giornalistico, sicuro ch’esso non le avrebbe nuociuto ma giovato. Perchè dovremmo vergognarci, noi del Novecento, d’essere altrettanto spregiudicati?
Famoso quanto vecchio è l’aneddoto di quel viaggiatore che, capitato in una chiesa, vi trovò una folla tutta in lacrime, intenta alla parola d’un commoventissimo predicatore; salvo un tale che se ne stava immobile e serio, ma senza piangere, accanto alla soglia. « E lei, signore » gli chiese il viaggiatore incuriosito « perchè non piange? ». Rispose sottovoce colui: « Non sono di questa parrocchia ». Se un libro « fatto di articoli » è buono e vivo e fresco e interessante e commovente, perchè non se n’hanno da interessare e commuovere gli eccellenti giudici viareggini? Perchè sono d’un’altra parrocchia?
Silvio d'Amico

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 22.08.34

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Citazione: Silvio D'Amico, “Non sono di questa parrocchia,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1716.