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Titolo: Letture: Il Premio Pallanza, La noce di cocco

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1934-10-03

Identificatore: 1934_406

Testo: Letture
Il "premio Pallanza"
I giudici del premio Pallanza hanno dato domenica scorsa la palma ai quattordici racconti che Renzo Pezzani ha raccolto in volume col titolo Credere (Società Editrice Internazionale, Torino, 1934 - L. 5). Il Pezzani, nato a Parma, valoroso combattente della grande guerra, vive e lavora a Torino. I temi della sua poesia (La rondine sotto l’arco, L’usignolo nel claustro) derivano da una visione pura e serena dell'esistenza in cui il dolore i accettato come forza rinnovatrice e come profonda esperienza umana. La filosofia latina e cristiana del Pezzani si riveste di lievi musiche alate e d’una forma poetica quanto mai esperta e moderna pur adattandosi agli schemi tradizionali: il suo crepuscolarismo, notato da taluni, è soltanto esteriore, apparente; la sostanza della sua lirica è forte e virile, e risponde agli imperativi d’una coscienza vigile e d'un sentimento pieno della vita. Si ritrovano nei quattordici racconti di Credere le qualità migliori del Pezzani disposate al gioco d'una fantasia estrosa e giovane guidata dall’autocritica ai porti luminosi dell'arte. Il dominio della materia è quasi sempre esemplare come la sincerità del racconto e la sua fluida vena.
Casi di povera gente, i più, narrati con la pietà pudica che si richiede, e consolati dalla sottaciuta potenza della fede. In codeste allegorie c'è sempre una pena che si scopre e una benedizione che discende senza farsi notare. Implicita la moralità d’ogni racconto nella stessa sua sostanza e stesura. Se si può muovere rimprovero al Pezzani è quello d'aver ridotto alla massima semplicità gli elementi delle sue favole e allegorie, d'averli quasi « elementarizzati » al di là del necessario. Anche questa può essere, in qualche caso, rettorica a rovescio, e non della migliore. Ma l'appunto tocca appena qualche momento letterario della narrazione, non ne investe la materia che è sostanzialmente ricca di pensiero e di sentimento anche là dove è più dimessa.
Il libro del Pezzani ha perciò una sua unità spirituale e lirica che fa dei quattordici racconti un blocco senza soluzioni ideali. Ci sono personaggi, avventure e paesi che non si dimenticano: il primo racconto, Terra, è pieno d’un pianto che Qualcuno raccoglierà; nell’ultimo, Grani, cuori di ghiaccio si sciolgono. Tra l’uno e l’altro si distende il canto fermo della speranza; ed è quello che dà al libro il suo tono.
Renzo Pezzani.
La noce di cocco
Il primo premio letterario Viareggio rivelò, nel 1931, Corrado Tumiati al gran pubblico. Ma già da alcuni mesi i « ricordi di manicomio » che sotto il titolo di Tetti rossi egli andava pubblicando in una rivista fiorentina, si erano imposti all'attenzione della gente di gusto che riconosceva nel giovane medico ferrarese un ingegno ormai maturo e ricco d’esperienza, uno scrittore temprato al quotidiano contatto della sofferenza altrui e generoso di consapevole e non esibita pietà. Donde il tono sereno, ma d'una serenità superiore, del libro; e il sentimento delle forze della vita positive e negative che correva sotto la sorvegliatissima scrittura del Tumiati. Il quale veniva ad accrescere la schiera dei medici scrittori che, se non è così densa e illustre come nella tradizione francese, ha però un buon posto anche al sole delle nostre lettere. E se oggi preso tra le mani il secondo libro di Corrado Tumiati (La noce di cocco - Ed. Treves, Milano, 1934 - L. 8) lo accostiamo a quel primo, ecco che le nuove meditazioni si colorano dei riflessi di quell'altra lettura, rinnovano il ricordo e l'emozione di certi intimi colloqui col dolore umano e delle caratteristiche reazioni del medico-artista di fronte al dolorosi panorami offertigli ogni giorno dalla vita e dalla professione. Non che nel nuovo volume il Tumiati s’indugi ancora sul tema iniziale. Ma anche codesto è un diario, un albo di ricordi delle sue giornate. Sono venticinque prose disposte in triplice partizione così distinta: insidie, figure, illusioni. Ma vedete sin dalla contropagina della prima partizione come il Tumiati si raffiguri simile a colui il quale « per povertà giugne l'ultimo alla fiera, e, non potendo d'altro fornirsi, piglia tutte cose già da altri viste, e non accettate, ma rifiutate per la loro poca valetudine », il che significa, secondo il dettato d'un francese moderno che il Tumiati fa seguire alla citazione arcaica, che bisogna abituarsi a cercare il vero nelle cose più piccole a scanso d'essere ingannati nelle grandi. Il suo « vero » il Tumiati lo cerca infatti negli aspetti e nelle vicende più semplici e dimesse. Le necessità stesse della sua professione lo mettono ogni giorno a contatta con la folla anonima nel cui prisma si rifrange lo spettro del dolore assumendo le colorazioni più diverse. Ma non v’è in lui l’abito del collezionista di documenti umani o del moralista; sibbene la coscienza virile della crudeltà della vita e insieme una buona riserva di reagente secondo la formola della bontà e della comprensione. D’una bontà, è superfluo avvertire, non istintiva, ma ragionala, acquistata, professata come un dovere. Le prose del Tumiati acquistano così un tono cordiale, anche se soffuse di malinconia o apparentemente ammantate di riserbo, che costituisce l'incanto del libro; del quale converrebbe qui citare, ad esemplificazione della sostanza ideale e dello stile del Tumiati. parecchie pagine dove dietro l’osservatore e il diarista si affaccia il poeta. Un poeta che conosce la virtù dell’azione e professa, ad onta di tutto una fede illuminata nella vita. E riesce ad esprimere le sue « verità » con modi tanto più penetranti quanto più semplici e schivi.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 03.10.34

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Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Letture: Il Premio Pallanza,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1771.