Beta!
Passa al contenuto principale

Titolo: Il fatto di cronaca nella storia letteraria: "Rinnovinmo l’aria chiusa"

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1934-10-31

Identificatore: 1934_447

Testo: Il fatto di cronaca nella storia letteraria
" Rinnoviamo l’aria chiusa "
Un caso clamoroso di mistificazione letteraria fu quello del conte Domenico Gnoli, poeta, detta cosiddetta « scuola romana », classico senz’essere freddo, provvisto anzi di una schietta e vivace personalità. Egli era prossimo atta settantina quando, quasi per vendicarsi del successo ch’era ingiustamente mancato atte sue prime paesie (1871) e atte sue Odi Tiberine (1874), pensò di giocare alla critica e al pubblico un tiro birbone: mandò fuori un volume di versi sotto altro nome, e circondandosi di mistero e stuzzicando la curiosità detta gente intorno all’ignoto e certo giovanissimo autore che si rivelava di colpo poeta, montò la macchina di quel « caso Giulio Orsini » che ha fatto scorrere, nei primi anni del secolo, tanto inchiostro.
La mistificazione letteraria non l’ha inventata Domenico Gnoli: ci sono precedenti; e basterà ricordare per tutti quello di Olindo Guerrini trasformatosi nel patito e pallido Lorenzo Stecchetti. Ma il tiro del Guerrini era d'altra natura: era la beffa d’uno spirito allegro e schiettamente vicino atta natura, una finzione romantica tutta per ridere. Nasceva invece con Giulio Orsini, dalla larva di Domenico Gnoli, un altro poeta, tutto freschezza e modernità, in cui si riconosceva « il brivido nuovo ». Ci fu, intorno al ’70, la poesia di Domenico Gnoli. Ci fu, dopo il 1900, quella di Giulio Orsini: due mondi, due cicli. Due diverse sensibilità. Infine, due poeti.
Il vezzo di assumere pseudonimi era, in Domenico Gnoli, antico. I suoi primi Versi, pubblicati nel ’71 dal Galeati di Imola, portavano il nome di Dario Gaddi. Poi uscirono, col nome reale, le Odi Tiberine e più tardi ancora (1898), presso Zanichelli, due volumi di Vecchie e nuove Odi Tiberine; mentre si profilava all’orizzonte l’apparizione poetica d'una certa Gina d’Arco che cantava i suoi dispiaceri amorosi. Gina d’Arco era sempre Domenico Gnoli, il quale, essendo nato nel 1838, oggi sarebbe vicino a toccare il secolo. Aveva varcato la sessantina quando cominciò a far circolare il nome di Giulio Orsini, prima con un fascicoletto di quartine in versi liberi intitolate Preludio e presentate come saggio d’un futuro poema (1900); del quale poema un anno dopo usci un altro saggio maggiore col titolo Orpheus. E poi, nel 1903, gli editori Roux e Viarengo mandavano fuori il volume. Fra terra ed astri comprendente l'intero Orpheus in cinque canti e una serie di liriche.
Netta prefazione il poeta si presentava come uno studente che aveva lasciato da poco i banchi dell’Università. « Condiscepoli amici, diceva, ci troveremo mai più raccolti insieme? Quasi non lo desidero, perchè, a così breve distanza di tempo, temo ci troveremo già troppo diversi da quel che eravamo ». E proseguiva con una esposizione del suo credo poetico, affermando ch’era tempo di svecchiare le usate forme e di richiamare la critica alla sua funzione, « ricercare in primo luogo, libera da ogni formola di chiesetta, se la poesia scritta riveli una poesia interna commovitrice di fibre secrete dell'anima; e poi, se questa abbia trovato nell’immagine, nella parola, nell'armonia, la conveniente espressione ». Concludeva: « Lasciatemi affidare al vento gli spasimi d’una giovinezza ricca di rigogliose energie, non paga alla stia della breve giornata, e divincolantesi tra le spire d’una filosofia sconsolata, brancolante nel buio del gran mistero... ». E apriva la raccolta con la famosa invocazione:
Giace anemica la Musa sul giaciglio de’ vecchi metri: a noi, giovani, apriamo i vetri, rinnoviamo l’aria chiusa!
Fu un coro unanime di lodi. La critica si entusiasmò per il poeta giovane d’anima e d’arte, e lo levò alle stelle. « Giulio Orsini è un vero e profondo poeta » scriveva in quei giorni Giovanni Papini, alle sue prime armi, nel Regno. E critici autorevolissimi come il Chiarini, il Mazzoni, Arturo Graf, Dino Mantovani, Domenico Oliva non lesinavano gli. elogi. Il Mazzoni si domandava se nei versi dell'Orsini non ci fosse del Victor Hugo; il Chiarini trovava nell’Orpheus una nota intieramente nuova; e il Mantovani concludeva: « Giulio Orsini è un vero poeta moderno », dopo aver affermato ch’era tempo di scrivere per disteso « il nome di questo poeta giovane, il più originale forse di quanti son venuti su negli ultimi anni ». Il quale poeta giovane « è ritroso. Nessuno lo conosce ancora. Dicono che sia veneto, che abbia titolo di marchese, che viva a Roma e abbia viaggiato in Europa, in Asia e in Africa. Poco più si ricava dal libro di poesie... ».
Insamma, ci cascarono tutti, anche i critici più gravi. E intanto, man mano che giornali e riviste pubblicavano gli articoli e le recensioni è si discorreva apertamente detta « rivelazione » del nuovo poeta, la curiosità del pubblico andava accendendosi. I cronisti si misero ih. caccia del poeta per avere notizie e interviste, ma nessuno riusciva a trovarlo. Le riviste maggiori lo invitavano a collaborare; e l’Orsini rispondeva ora da Roma, ora da Venezia, ora dalla Germania, mandava in giro carte da visita con una corona nobiliare, ma non si faceva vedere. Se lo cercavano a Venezia era a Roma, se a Roma era partito quella mattina stessa per il nord... In breve il mistero Orsini divenne ossessionante. Saltarono naturalmente fuori i bene informali che dicevano di conoscerlo e d’avergli parlato, e qualcuno sparse la voce che l’Orsini viveva bensì a Roma, ma ritiratissimo, per via d'una deformità fisica che lo induceva a celarsi. Quando non se ne potè più, un giornale romano che aveva la specialità dei referendum ne aprì uno sul « poeta ignoto ».
Le risposte piovvero. Centinaia e centinaia di persone vollero dire la loro. Vennero fuori le notizie più sensazionali e le proposte più strampalate. Ma anche l'inchiesta sul « mistero del poeta » che si trascinava da quasi un anno stava per chiùdersi senza frutto, quando lo stesso giornale, avendo intanto condotto per conto suo serrate ricerche, scopri finalmente che sotto il nome di Giulio Orsini, il preteso giovanissimo vate, si celava un uomo di sessantasei anni, il conte Domenico Gnoli, direttore detta Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele. Il Gnoli dapprima negò recisamente; ma ormai l’identità era scoperta.
Ire e scandalo. I critici che avevano esaltato la freschezza giovanile della poesia dell’Orsini masticarono male e taluno fece amare riflessioni sopra una arte letteraria che può consistere tutta in una finzione. Molta gente cominciò a canzonare i critici così bellamente presi in giro. Dice il Mantovani: «... e allora, con inestimabile mortificazione dei critici, compreso il sottoscritto, che avevano benignamente incoraggiato codesto giovinotto di così bette speranze, e con grandissimo stupore dell'universale, si venne a sapere che Giulio Orsini non era altro che una poetica finzione di Domenico Gnoli, persona prossima atta settantina ». Ma oltre le beffe, i dispetti e le meraviglie sopravvisse nell’animo di tutti un sentimento di dubbio: come mai era possibile che un uomo di quasi settant'anni mutasse età, spirito e stile e riuscisse a foggiarsi pienamente una personalità letteraria nuova diversa affatto dalla sua propria? Di questo sentimento si rese specialmente interprete il Mantovani nette recensioni dei successivi libri dell’Orsini, come Jacovella (1905) e la raccolta dette Poesie edite e inedite (1907) che comprende anche una scelta dette Odi Tiberine e liriche pubblicate sotto i diversi pseudonimi già citati. (A completare queste notizie bibliografiche aggiungeremo che Domenico Gnoli mori nel primo anno detta guerra, e che suo figlio, Tomaso Gnoli, curò nel 1923 l'edizione postuma dei Canti del Palatino scritti tra il 1910 e il ’14, seguiti da un gruppo di liriche intitolato Nuove solitudini per analogia col gruppo Solitudini di Fra terra ed astri).
Quel tale sentimento di dubbio di cui parlava il Mantovani non cade ma si rafforza alla lettura delle liriche successive e del volume che contiene le vecchie e le nuove. Poeta di quattro anime, fu Domenico Gnoli. Concludeva il Mantovani: « Se pseudonimo è Dario Gaddi, tali non sono Gina d'Arco e Giulio Orsini; sono, l’ultimo massimamente, vere e proprie persone poetiche, esistenti per se medesime, ciascuna con caratteri propri, differenti da quelli che si notano nell'opera di Domenico Gnoli ». E più oltre: « Il poeta di tanta modernità non è Domenico Gnoli. Ha ragione lui: è l’altro, è Giulio Orsini, e ha diritto di restare, ideale persona vivente, con questo solo nome ».
Domenico Gnoli al tempo delle «Odi Tiberine ».
Domenico Gnoli aveva 65 anni quando pubblicò col nome di Giulio Orsini « Fra terra ed astri », che fu creduto il libro d’un giovanissimo poeta.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 31.10.34

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Il fatto di cronaca nella storia letteraria: "Rinnovinmo l’aria chiusa",” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1812.