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Titolo: Il fatto di cronaca nella storia letteraria: Gli "amici pedanti" contro il barbaro dominio

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1934-11-14

Identificatore: 1934_469

Testo: Il fatto di cronaca nella storia letteraria
Gli "amici pedanti"
contro il barbaro dominio
Precedenti del « barbaro dominio ». In uria lettera di Giosuè Carducci, scritta nel 1853 e pubblicata postuma nel 1907, si legge: «Maledetto l’infamissimo secolo in cui nacqui, intedescato infrancesato inglesante biblico orientalista, tutto fuorché italiano ». E qui, soggiungeva il Carducci appoggiandosi ad una vigorosa esclamazione, bisogna essere italiani. Confidente di codesto sfogo era Torquato Gargani: il quale sfogo può considerarsi l’anticipazione del programma di studi e d’azione che di lì a tre anni avrebbe stretto insieme il gruppo degli « amici pedanti ». Fu appunto il Gargani a battezzarlo così: e il Carducci aderì con entusiasmo. Fecero parte del gruppo, con loro due, Giuseppe Chiarini e il Targioni-Tozzetti; carducciani avanti lettera, amici del fervido tempo della giovinezza di colui che doveva poi essere il maestro di tutti. Gli altri amici, tra i quali Enrico Nencioni e il Donati, pur vivendo in comunione di studi e di affetti coi primi quattro, non possono considerarsi membri del gruppo. Achille Pellizzari, nella sua biografia del Chiarini (1912), avverte che la prima presa di contatto degli « amici » si deve far risalire al 1855. E il Chiarini a sua volta, nelle memorie della vita del Carducci (1907), racconta come lo vide un giorno che l’andò a trovare, in compagnia del Nencioni, in Borgognissanti. « Ci venne incontro in maniche di camicia; ci demmo subito del tu come s’usa fra giovani, si cominciò a parlare di letteratura, si parlò del Leopardi, del Giordani; io gli chiesi qualche cosa di suo, egli mi trascrisse lì per lì sopra un grande foglio di carta gli ultimi due sonetti da lui composti, quello che comincia Poi che mal questa sonnacchiosa etade e l’altro Ai sepolcri dei grandi italiani in Santa Croce; dopo di che ci lasciammo, ed io me ne tornai lieto e contento come se portassi meco un tesoro ».
L’amicizia del Carducci e del Chiarini durò poi, si sa, tutta la vita. Allora i due infiammatissimi giovani non vedevano altra salute fuor del paganesimo e del classicismo e avrebbero voluto farsi leggere Omero fin sul letto di morte. Disputavano a lungo col Nencioni che si opponeva alla loro giovanile intemperanza classicheggiante e amava e leggeva gli stranieri, più i romantici dei classici, ed era, per giunta, manzoniano. E queste dispute non mancarono di produrre benefici effetti, temperando d’ogni parte gli eccessi che v’erano.
Gli altri due piloni della combriccola erano, come si è detto, il Targioni-Tozzetti e il Gargani. Di costui ha scolpito un ritratto il Carducci nelle Risorse di San Miniato: « Era un fiorentino puro; e pareva una figura etrusca scappata via da un’urna di Volterra o di Chiusi, con la persona tutta ad angoli, ma senza pancia, e con due occhi di fuoco ». Classico fortificato con una cresima leopardiana e giordaniana, si trovò ad essere il più radicale di tutti, il Marat degli amici pedanti, e spingeva la sua intransigenza fino ad italianizzare i nomi degli scrittori stranieri scrivendo e stampando Castelbriante per Chateaubriand, Lamartina per Lamartine, Birono invece di Byron e Scelli invece di Shelley.
I quattro giovani letterati si riunivano spesso a discutere dei comuni ideali, d’accordo nel mettere sopra tutti Dante e il Petrarca fra gli antichi, l’Alfieri il Parini il Monti il Foscolo il Leopardi e il Giordani fra i moderni. Del Giordani si venivano allora ristampando le opere a cura di Antonio Gussalli, e il Chiarini, dopo averne fatta un’ampia recensione, scrisse al Gussalli una lettera a nome degli « amici pedanti » per ringraziarlo della sua fatica e per prenderne occasione a ribadire le comuni idee. Le quali, poche settimane avanti, avevano avuto il loro codice nel famoso libretto: « Di Braccio Bracci e degli altri poeti nostri odiernissimi, diceria di G. T. Gargani, a spese degli amici pedanti ».
Codesto Braccio Bracci non era un personaggio di fantasia; era un giovane livornese che aveva pubblicato una raccoltona di liriche col romantico titolo di Fiori e spine, presentata dal Guerrazzi con una lettera in cui il giovane poeta era definito un « uccello destinato a gran volo »; il Guerrazzi consigliava inoltre al suo protetto di studiare la poesia dei polacchi, dei russi, degli scandinavi e, come scriveva lui, degli alamanni. Era troppo. Gli amici pedanti si sentirono feriti nei profondo della loro coscienza letteraria e civile e insorsero con la Diceria dianzi citata: la scrisse il Gargani col pieno consenso degli altri, passando dalla stroncatura feroce della poesia braccesca ad un’offensiva in piena regola contro tutta la letteratura romantica del tempo che « rinnegava la bella tradizione italiana fatta di classicismo, di equilibrio, di buon senso e di indipendenza ». Sono parole di Carlo Pellegrini il quale ripubblicò nel 1915 la Diceria nel primo volumetto della « Biblioteca rara » dell’editore Perrella, collana di testi e documenti di letteratura d’arte e di storia diretta da Achille Pellizzari.
Fra i più infervorati dell’impresa fu il Carducci il quale scrivendo al Chiarini parlava dell’onore che agli amici pedanti sarebbe venuto per aver protestato francamente, giovani e soli, « contro la irruzione straniera armata nel paese ». Dove si vede chiaramente affermata, osserva il Pellegrini, la convinzione degli amici pedanti che la servitù letteraria è una delle cause anche di quella politica.
Per la pubblicazione della Diceria, gli amici si quotarono per qualche paolo a testa. L’opuscolo fece scandalo, e alcuni degli stessi intimi del gruppetto classicista non nascosero il loro dissenso: così il Nencioni che si affrettò a far pubblicamente atto di omaggio al Manzoni. Altri ne discusse aspramente, altri rie rise. Ci fu chi definì l’opuscolo un « guazzabuglio irriverente e dissennato »; e chi, come Ferdinando Martini, scelse la via della presa di bavero, definendo, come fece sulla Lente, la Diceria del Gargani « la su’ diceria » con allusióne alio scarso senso di pulizia personale del bollente polemista.
La battaglia non fece che rinsaldare vieppiù la solidarietà degli amici rafforzandone i sentimenti e gl’ideali. Così che di lì a poco, per dimostrare che il Gargani non era solo nella lotta, decisero di pubblicare un altro libretto scritto con la collaborazione di tutti: e ne venne la Giunta alta derrata che anche nel titolo manifesta la voluta toscanità del linguaggio. Il quale titolo si distende poi per altri tre o quattro righi: « Ai poeti nostri odiernissimi e lor difensori gli Amici Pedanti ». Avvertivano essi che « in questo loro libro intendono parlare di opinioni e di opere letterarie soltanto, per nulla di uomini ».
Alla « Giunta », dicevamo, collaborarono tutti gli amici; ma autore principale degli scritti fu il Carducci sotto lo pseudonimo di Positivo degli Opponenti: sono suoi il preambolo, i sonetti e i due discorsi che commentano il secondo sonetto. La materia è distribuita così: preambolo di Positivo; sonettessa prima in persona di Salvator Rosa alla musa odiernissima; sonettessa seconda in persona di Benedetto Menzini ai poeti nostri odiernissimi; sonetto ai filologi fiorentini; due discorsi sulla moralità e italianità de’ poeti nostri odiernissimi; nota ai discorsi; risposta ai giornalisti fiorentini (è del Gargani) commentata dal Targioni e dal Chiarini; sonetto ai grandi italiani sepolti in Santa Croce (del Carducci). È anche del Carducci un sonetto pubblicato sulla facciata posteriore della copertina della Giunta, sonetto che, stampato a grossi caratteri su un manifesto e attaccato sulle cantonate, avrebbe dovuto annunziare l’uscita della Giunta.
Anche questa seconda manifestazione dei « pedanti » ebbe clamorose conseguenze: tra i demolitori più aspri si schierò Pietro Fanfani; lodi e incoraggiamenti vennero invece dal Gussalli. Sedate le nuove polemiche gli amici compirono l’ultimo atto della loro vita comune pubblicando il periodico Poliziano che durò dal gennaio al giugno 1859. Poi si dispersero, e poco tempo dopo (1862) moriva il Gargani. La sua memoria è consacrata nel Congedo di Levia Gravia e in quella invocazione delle Risorse di San Miniato dove il Carducci si rivolge all’amico della sua giovinezza: «... a te certo non spiace ch’io rinnovelli ancora per un poco le memorie delle nostre belle estati fiorentine ».
Il Pellegrini, che ristampò la Diceria, curo anche la ristampa della Giunta sempre per la Biblioteca rara del Perrella, avvertendo giustamente che i due libretti hanno un valore singolare in quanto c’illuminano chiaramente su un punto importante della evoluzione intellettuale del Carducci: nei due discorsi carducciani nella Giunta si notano già per quanto vaghe e confuse certe idee che avranno poi la loro piena e pratica applicazione nei discorsi « Dello svolgimento della Letteratura nazionale » dei quali quei due primi vanno considerati come i precedenti; e soprattutto vi si rivela già formata la convinzione che dal solo classicismo potessero derivare le più genuine correnti della nostra vita e della nostra arte, « che in esso soltanto fosse per noi italiani la sorgente più pura di ogni nobile fede e di ogni puro amore per l’arte e per la patria ».
DI BRACCIO BRACCI

E DEGLI ALTRI
POETI NOSTRI ODIERNISSIMI
DICERIA
DI
G. T. GARGANI
A SPESE DEGLI AMICI PEDANTI
FIRENZE 1856
Frontespizio dell’edizione originale della « Diceria » del Gargani.
Tre « amici pedanti »: Torquato Gargani, Giosuè Carducci, Giuseppe Chiarini (da una fotografia del 1856).

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 14.11.34

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Il fatto di cronaca nella storia letteraria: Gli "amici pedanti" contro il barbaro dominio,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1834.