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Titolo: L’Italia negli scrittori tedeschi d’oggi

Autore: Bonaventura Tecchi

Data: 1935-01-23

Identificatore: 1935_69

Testo: L’Italia negli scrittori tedeschi d’oggi
Una delle caratteristiche più appariscenti della letteratura tedesca contemporanea, soprattutto narrativa, è, come si sa, l’adesione al tempo presente, al clima storico politico sociale, in cui l’opera ogni giorno nasce. I vantaggi e gli svantaggi, pratici e artistici, di una tale posizione, sono stati più volte dibattuti, anche in recenti polemiche. E non è il caso di tornarci su. Credo però sia difficile negare che, vista nel complesso, valutata nella quantità più che nella qualità e non considerando alcuni veri artisti, di fama indiscussa, credo sia diffìcile negare che la letteratura tedesca offra da qualche anno un caratteristico spettacolo: l’aderenza strettissima alla vita del momento, il fremito delle passioni a carattere sociale economico politico, non sono stati, come dovrebbero essere, la linfa, alle volte tanto più profonda ed efficace quanto meno scoperta, dell’arte, ma hanno spesso dato efflorescenze multiple e vistose, han creato un rumore, un tumulto passeggeri. Così fu al tempo dell'« espressionismo » del dopoguerra, in gran parte mistico e universaleggiante; così fu nel periodo della neue Sachlichkeit, quasi sempre socialdemocratica e spesso bolscevizzante.
Letteratura e politica
Nessuna meraviglia che oggi, dopo la rivoluzione di Hitler, la fiamma nazionalistica e patriottica, del resto mai spenta nell’anima germanica, ridestatasi con sùbito vigore, affochi gran parte delle pagine tedesche, e che l’idea razzista vi fiammeggi: quasi sempre violenta e « radicale », qualche volta con vibrazioni più calme. Nulla di nuovo: la letteratura tedesca prosegue allo stesso modo, sebbene in direzione diversa, il suo cammino, fiancheggiando in strettissimo e palese contatto gli avvenimenti della politica. (È doveroso però osservare a questo punto che non tutti gli scrittori tedeschi han seguito Hitler e che anzi molti di essi, e fra i più famosi, sono emigrati in Paesi limitrofi: in Cecoslovacchia, in Svizzera, in Francia, in Olanda, dove hanno trovato editori e librai, giornali e riviste fedeli, e un pubblico ancor oggi assai numeroso).
Da queste premesse discendono, almeno per la letteratura ufficiale germanica e, più da vicino, pel nostro discorso: l’Italia negli scrittori tedeschi d’oggi, alcune conseguenze. Primo: numerosissime pubblicazioni a carattere politico sociale economico apparvero in Germania sul Fascismo (specialmente nella prima fase dell'hitlerismo, quando si videro più i contatti che le differenze col movimento italiano): produzione importante, fatta in gran parte con intelligenza, con serietà di studi e di documenti. Secondo: l’idea razzista, portata al pathos caratteristico dei tedeschi, è alla fin fine isolante, concentra, almeno nei primi momenti dell’enunciazione teorica, quasi tutta l’attenzione sul proprio popolo, sui problemi di casa propria. Non deve far dunque meraviglia se, in questo periodo ultimissimo, i libri tedeschi più propriamente letterari — romanzi, novelle, poesie — i quali parlino dell’Italia, sono pochi. Terzo: quando l’occhio dello scrittore « razzista » si posa sulle cose altrui, è troppo facile che queste si colorino in una maniera speciale...
Ubbie teutoniche
Di questo terzo aspetto è caratteristico esempio un libro di Kasimir Edschmid: Das Südreich (Zsolnay Verlag), che porta la qualifica di romanzo, ma che è semplicemente il diario di un viaggio, compiuto dall’autore nell’Italia meridionale e nella Sicilia. Già il titolo: Impero oppure Stato (Reich), naturalmente tedesco, del Sud, indica qualche cosa. Il libro dello Edschmid vorrebbe riattaccarsi, e del resto lo dice espressamente nelle prime pagine, allo spirito di quel Volk ohne Raum di Hans Grimm, che oggi è. considerato come uno dei testi sacri della nuova Germania; ma il volume del Grimm parlava delle ex-colonie tedesche in Africa, mentre lo Edschmid parla dell’Italia, sia pure dell’Italia del Medio Evo, di quando, da Alarico a Totila, da Roberto il Guiscardo a Federico II, diversi popoli di razza germanica, visigoti e ostrogoti, longobardi, normanni e svevi, crearono nell’Italia (o meglio, diciamo noi, «tentarono di creare») un Reich germanico. Sì, a onor del vero, lo Edschmid lascia presto il paragone col libro di Hans Grimm e confessa a un certo punto che egli non crede al ripetersi della storia, cioè che il destino riporti la Germania a colonizzare, manu armata, l’Italia, la « missione tedesca nel mondo », di cui molto si parla nel libro, si vuol far capire, sebbene non chiaramente, che dovrà esser soprattutto di natura spirituale, nè è precisato verso quale parte essa domani si svolgerà; come è da riconoscere che nel volume non mancano pagine di ammirazione per l’Italia d’oggi e che il popolo italiano, soprattutto il popolo minuto, è visto con simpatia. Ma lo spirito « colonizzatore » del libro rimane in fondo lo stesso.
Una volta, certi sfoghi, certe malinconie, si chiamavano: « tracce » (tedesche o francesi o magari anche italiane), in questo o in quel paese, « orme », « ricordi » ecc. Che cosa invece si deve pensare di un libro dove un ex-ministro confessa (o avrebbe confessato all’autore) che, per esser siciliano, si sente almeno per metà di origine germanica; dove anche la forma delle teste dei contadini abruzzesi, il loro modo altero e silenzioso di star a cavallo, fanno pensare all’autore che essi hanno antico sangue tedesco nelle vene; dove è detto esplicitamente che settant'anni di unificazione nazionale non sono niente in confronto ai settecento di dominazione germanica, e che, secondo alcuni dotti, vi sarebbe più sangue germanico nell’Italia meridionale che nelle provincie orientali della Germania, infestate da slavi ed ebrei? Che cosa pensare di un libro dove per 433 fitte pagine non si parla del dominio di Roma, e si fa un gran discutere di normanni e di svevi, di longobardi e di goti, anche di arabi e di greci, ma non è detta una parola sulle popolazioni italiche precedenti? Ci furono o non ci furono anche queste? E gli stessi sovrani svevi non si chiamarono imperatori del « sacro romano impero », nonostante l'aggiunta di « nazione tedesca »?
Dai Savoia a Garibaldi
Facit indignatio versum, dicevano gli antichi; e qui l’indignazione potrebbe ispirare una bella tirata. Noi preferiamo il partito più difficile della calma. Ma sia detto, una volta per sempre, ai nostri colleghi in letteratura di lassù che esiste oggi in Italia una classe di intellettuali ben diversa come mentalità da quella con cui i tedeschi avevano di solito a che fare prima della guerra e che c’è un manipolo di cultori di letteratura tedesca contemporanea, i quali han dato e daranno prove di amicizia e di comprensione, ma che non sono disposti ad accogliere con supina compiacenza le infatuazioni altrui.
Più numerosi i libri storici o pseudostorici, specialmente sull’antica Roma, e aventi per protagonista, più o meno romanzato, un imperatore romano. La Gazzetta diede notizia di un libro su Augusto, di un altro su Adriano, ecc. Noi faremo qualche accenno a due volumi di Paul Frischauer su argomenti più moderni: l’uno sul Principe Eugenio di Savoia, l’altro su Garibaldi (Zsolnay Verlag, Vienna, e Bibliothek Zeitgenossischer Werke, Zurigo). Si tratta in fondo di vere e proprie vite romanzate. Ben poco c’è di quella finezza, di quella profondità che già ammirammo qualche anno fa nel libro del Gundolf su Cesare e che da noi ha meritato la buona traduzione di E. Giovannetti. Del Principe Eugenio, nato in Francia e morto in Austria, ma figlio di Olimpia Mancini, nipote di Mazarino, e di un principe di Savoia-Carignano, si vorrebbe in queste pagine ricostruire il Mensch, la vita privata, di cui la storia ci ha detto così poco. Per riuscire a tale impresa il Frischauer accetta quel che la storia non ha mai provato: la derisione di Luigi XIV, il risentimento personale che Eugenio avrebbe chiuso per tanti anni nel cuore per vendicare sè e soprattutto la madre, amata e poi allontanata dal Re Sole, la supposizione... freudiana che la mancanza di donne nella vita del principe sia da attribuire a oscure simpatie omosessuali. Ma nè questi nè altri mezzi, più o meno felici, riescono a mettere in luce il cuore di Eugenio; il rumore delle grandi battaglie, il vorticoso succedersi degli avvenimenti politici, sopraffanno anche in questo libro il Mensch, non le imprese eroiche di lui, che tanta parte ebbero nelle vicende del tempo.
Più riuscito è il libro su Garibaldi, dove la ricostruzione dell'« uomo e della sua nazione » in un periodo relativamente vicino, è stata più facile. Non c’è in questo volume quella felicità di tocchi psicologici che piace nei libri di una scrittrice tedesca sulle figure del nostro Risorgimento, dico di Riccarda Huch. Ma la doppia natura di Garibaldi, di quel suo misticismo ardente di bontà e di fiducia, congiunto alla prontezza dell’uomo d’azione, è ben data, fin dalle prime pagine; le impressioni giovanili, che influirono in maniera fondamentale sulla sua formazione, il fascino di Roma antica, rincontro con le idee di Saint-Simon e soprattutto con quelle di Mazzini, son viste e illuminate con sicurezza. Nè è da dimenticare che tutto il libro è pieno di simpatia schietta pel nostro. Risorgimento; fatto tanto più considerevole se si pensa che l'autore è un austriaco. »
Bonaventura Tecchi.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 23.01.35

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Citazione: Bonaventura Tecchi, “L’Italia negli scrittori tedeschi d’oggi,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1978.