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Titolo: Del leggere le cose proprie

Autore: S.

Data: 1935-02-06

Identificatore: 1935_92

Testo: ONDE CORTE
Del leggere le cose proprie
Tra gli infiniti modi escogitati per affliggere il prossimo, quello di leggere in pubblico le proprie composizioni è da ritenere dei più antichi. Era proverbiale, ai tempi di Cicerone, il motto di un tizio che, vedendo il rotolo d’un fine dicitore assottigliarsi, trattenne sulla soglia gli ascoltatori in fuga, esclamando:
— Ancora un istante, amici: ghen orao, vedo terra!
Oggi l’uso o abuso che sia s’è perduto, o piuttosto modificato: non si legge più a un pubblico presente, si legge a un microfono; e l’ascoltatore ha il vantaggio, girando una manopola, di salvarsi istantaneamente, senza scuse o brutte figure col padron di casa.
Assai più penosa è, sia, detto fra noi, la posizione del leggitore, solo dinanzi a un enigmatico imbuto, in una stanza disadorna come una clinica, con un manoscritto sul leggio, l’eco della propria voce negli orecchi, e, nell’occhio della mente, la visione d una udienza remota e sterminata, sparsa in mezzo mondo e pronta a girar la manopola al primo sbadiglio.
Leggere in queste condizioni presuppone una confidenza in se stessi confinante colla presunzione. È un po' come se uno fosse obbligato a fare in pubblico una dichiarazione d'amore a se stesso: perchè a questo si riduce, in fin dei conti, il rilevare colla voce i passaggi drammatici o patetici, poetici o ironici della propria composizione, accentuando o abbassando la voce sistemando pause, lanciando crescendi, sussurrando pianissimi, e tutto il contrappunto di queste solfe. « Bello, eh? Sentite questa iperbole com'è gonfia! Non pare un tacchino che faccia là ruota? Ora, attenti bene, come vi metto sui piatti della bilancia questa antitesi! E questo traslato! Eccovi qua una immagine che se a voi parrà bella come a me, bisogna per forza che io, modestia a parte, sia un grande poeta ».
Vengono poi i bisbigli, i sospiri, le tenerezze: « Di chi è questo cervellino? Di chi è questo spirituccio? ».
Rendersi conto di tutto ciò significa riuscire pessimi dicitori delle proprie cose: il che spiega forse come il numero dei declamatori in proprio sia relativamente modesto in paragone al numero spropositato delle persone persuase di sapere, per lo meno, scrivere.
Chi si trovasse a non poter evitare una lettura pubblica di cose sue non ha altra salvezza che confessare subito di non sapere da che parte si comincia: mettere bene, come si dice, le mani avanti. Una dichiarazione di questo genere, buona per tutti i tempi e le letterature, è un fervorino di Alfredo Polgar, che traduco come posso dal bel tedesco in cui lo trovo scritto; e se ne serva chi vuole: « Io leggo oggi per la prima volta in pubblico: depongo innanzi a voi, per così dire, tu mia innocenza come leggitore. Benché mammina mi abbia detto tutto ciò che mi attende, pure non mi riesce di vincere una certa trepidazione; in primo luogo perchè so di non saper leggere quello che ho scritto, secondariamente perchè non son sicuro di far vibrare quell’atmosfera che è tra le righe, dove si trova il meglio; sicchè rischio di far la figura d’un cavaliere che corra a piedi, accanto al proprio cavallo. Vi prego dunque di compatirmi. Mi riuscirebbe penoso se doveste dire di questa serata: "Oggi sono stato due volte a una lettura di P.; la prima e l'ultima volta"».

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 06.02.35

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Citazione: S., “Del leggere le cose proprie,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2001.