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Titolo: Gatti Leone

Autore: Ugo Betti

Data: 1931-11-04

Identificatore: 206

Testo: Gatti Leone

— Maleducati! Aspettatemi, prendo un bastone, ora ci penso io!

Gatti Leone ha spalancato la porta, ha fatto due o tre passi fuori, nell’orto buio, con più rumore che può. Rieccolo. Riferisce timidamente che non se ne vogliono andare. L’inconveniente è questo: ogni volta che i ragazzotti della vetreria vengono avanti casa a far baccano (specie le sere di festa, ubriachi) la moglie, dalla sua sedia, chi maledice, chi chiama responsabile della sua sorte? Lui, Gatti Leone.

— Ah, quanto sono disgraziata! — prorompe infatti la malata con odio.
— Non bastava la miseria! Non bastava la malattia...

Il colpo d’una sassata sopra le latte del pollaio le tronca la parola. Subito dopo è una gragnuola, incrociata: sullo sportello, sul muro, ancora sulle latte, sulla pala che è crinata e dà un suono fesso, comico. Mentre Gatti si slancia per tirar dentro la brocca, il padellino del lardo sulla stufetta, sfiorato appena con la giacca, va all'aria. La nuvola di cenere e il crepitio sono tali che persino il gatto spicca un salto e sparisce. Non c’è altro lardo in casa, addio minestra! Gatti rincorre il padellino imprecando, agita un dito scottato, le figlie si mettono a ridere forte, come ammattite, poi a piangere. Si sente, in quella, spaccarsi la brocca. Gatti ha già aperto la porta, si butta fuori, disposto magari a morire. Ma non ha fatto due passi che avviene qualche cosa. Verso la strada, nell’oscurità fitta, sente una voce un po’ alterata, che chiama.

La sassaiola si ferma. Un parlottare. Scalpiccii frettolosi che s’allontanano. Non molto persuaso Gatti fa ancora un passo, lancia un uriaccio minaccioso, ma non troppo, per prova: — Oh! Oh!

Silenzio. Sono andati.

Quando Gatti riappare, già s’è formato un piccolo crocchio di donne, alle quali lui fa capire, senza troppe parole, che li ha fatti filare, non scherza mica, lui; sarebbe anche capace di dar querela.

— Non scherzate, sicuro! — ribatte con cattiveria una donnetta sdentata sopraggiungendo. — Gli avete rotto la testa, lo sapete?

Chiarisce che si tratta dell’Alfonsino del salumaio, tanto un bravo giovane, il quale adesso è andato in farmacia a medicarsi. Tutti, improvvisamente, si voltano a Gatti, in silenzio. Il povero Gatti, assai sbalordito, ed anche timoroso che vogliano burlarlo, s’accorge invece che ora lo guardano con serietà, con rispetto. Incomincia ad ammettere. Già viene imbastendo un racconto; già rinfranca la voce; è già arrivato all’incontro, lui e l’Alfonsino, lì al buio. Quando un ragazzo, arrivando di corsa, fa sapere che l’Alfonsino è moribondo, spacciato, e che i carabinieri, sentita in giro la cosa, vengono pel viottolo, è troppo tardi. Gatti fa per chiarire, ma già si sente, fuori, scricchiolare la ghiaia. Il brigadiere e un milite, impolverati fino alla visiera, si fanno largo in silenzio.

Quando vien chiesto dov'è il feritore, si forma subito un largo, resta scoperto Gatti, " che tenta di fare un sorriso.

— Voi chi sareste?

— Gatti Leone — fa Gatti con un saluto militare. Poi si mette a spiegare che lui... perché la colpa...

— Anche negare vorreste? — prorompe la donnetta sdentata. Dichiara ai carabinieri che è stato lui, se n’è vantato finora.

— Ho capito — conclude il brigadiere, mentre il gruppo dei curiosi va silenziosamente assottigliandosi. La malata, imitata subito dalle figlie, scoppia in lamenti.

— Questa è mia moglie — balbetta Gatti. Fa capire, con l’aria d’esser d'accordo col signor brigadiere nel disapprovare la cosà, che è malata di schiena, da due anni.

— E queste qua? Tutte vostre? Tutte e quattro?

Gatti lo ammette con un sorriso vergognoso. Anzi, confessa che ne ha avute altre due, morte da piccole. Tutte femminei Poi si profonde in scuse. Nossignore, non c’è altro posto, pel signor brigadiere, che deve buttar giù due righe. Hanno solo questa stanza, che del resto è grande; si adattano un po’.

Il brigadiere ora si gira intorno, mentre tutti lo scrutano trattenendo il respiro. Soltanto l’Alma seguita a strillare nel suo cesto di stracci, agitando i pugnetti. Il brigadiere ferma sulla piccina uno sguardo da padre di famiglia che subito capisce di che si tratta. Tutti gli sguardi han seguito quello del brigadiere. L’Azelma solleva la creatura dai pannolini che addirittura fumano, l’asciuga, la porge alla madre che cava la poppa. Con le ciglia aggrottate, il brigadiere sembra sorvegliare, affinché tutto proceda in buon ordine. Intanto Gatti cerca di rivolgergli dei sorrisi d'intesa pensando che forse, ad esser furbi, io si potrebbe ammansire, tanto più che gli estranei son tutti spariti.

Trae in disparte i due militi, comincia a render noto che lui generalmente è molto invidiato, cercano di rovinarlo. E perché? Perché ha avuto fortuna: il custode del deposito, un uomo serio, che abita di faccia, gli ha dato casa gratis, con l’obbligo soltanto di spurgare il fossato. Ecco perché occorrerebbe non dargli gusto, alle persone cattive! Balbetta, ingarbugliandosi sempre più, che lui, Gatti Leone, sarebbe anche disposto a qualche piccolo sacrificio, si sa. l’obbligo suo lo conosce. Che cosa è un. fiasco di vino? Un fiasco, almeno, l’avrebbe offerto di cuore; ma fa' capire che le sei lire del fiasco, ora come ora, non le avrebbe in contanti. Rosso fino alle lacrime confessa finalmente che non ha nulla in casa, nemmeno quello che si dice un soldo: gli ultimi li hanno spesi per il lardo! Ha parlato sempre lui, ed ora, tutto sudato, guarda ora l'uno ora l'altro dei militi, con occhi spaventati. Il brigadiere sta lì incerto a pensare se deve infuriarsi oppure no.

— Signor brigadiere, è uno stupido — comincia in quella quasi solennemente il custode di sulla porta. Spiega che lui, dalle persiane, ha veduto; che Gatti è un imbecille; erano gli altri, a far volare i sassi; i quali poi non sono mica lettere, vanno senza indirizzo; dimodoché l’Alfonsino... Così dicendo fa entrare un giovanotto ricciuto, dalla cravatta vistosa, che si presenta col cappello in mano e una crocetta di taffettà sulla fronte. E’ l’Alfonsino, venuto a scusarsi.

Già il brigadiere s’era rimesso in strada, asciugandosi la fronte, furioso. Gatti, parlando scelto e difficile, offre una sedia rotta. A sua volta l’Alfonsino (che ha sentito parlare di querele) si profonde in cerimonie; poi si sbottona il paletot a vita, comincia a fare il galante con l’Aurora, la figlia grande di Gatti, tornata nel. frattempo dal ballo della barriera; comincia a dire delle barzellette, che Gatti, battendosi delle manate sulle ginocchia, trova meravigliose. La malata si sente addirittura la schiena indolita da! troppo ridere. Tutti, specie le sorelline minori, sono orgogliosi che l’Aurora piaccia all'Alfonsino. La ragazza, poi, si divincola, si tocca un riccio, protesta, fa la svenevole col fazzolettino. Finalmente il giovanotto, con un largo gesto, dice che vuote offrire un piccolo rinfresco: andrà a comprare una bottiglia e del salume. Gatti è commosso, accetta, ma non può permettere che il giovane debba anche scomodarsi a far la strada. Si discute cerimoniosamente, si burla. Si decide che la faranno in due, la strada: l’Alfonsino e l’Aurora.

— Che tipo! — dice Gatti al custode ammiccando e passandosi da un braccio all’altro la bambina piccola. — Bravo giovane, però. Si vede subito che l’Aurora gli piace! Eh, gioventù!

— Ve la ingraviderà, state sicuro! — prorompe il custode, che non ne può più. — Caro Gatti, — ragiona poi, quasi pacatamente, — statemi a sentire: uno stupido come voi non è mica facile trovarlo, sapete? Voi avete sempre mangiato polenta e sempre ne mangerete finché non sarete crepato. Voi siete lì brutto, sporco, peloso, con le dita fuori delle ciabatte, senza nemmeno camicia. Qui in casa vostra siete il cencio della padella; vi spregiano a momenti più qui che fuori. E fanno bene, benissimo. Chi non vi tratta a calci, dico io, non è una persona per bene. Lo avete capito, Gatti mio, quello che siete? Uno stupido.

Gatti Leone, passandosi la creatura da un braccio all’altro, si volta alle donne cercando di far bocca da ridere, come per dire: « Che tipo! ». Ma le tre facce, anche quella dell’Alda che ha sei anni, lo fissano con una smorfia divertita, crudele. Gatti Leone, come intimidito, prova ancora a sorridere; abbassa gli occhi. Per vincere l’imbarazzo fa una carezza sulla manuccia della creatura che gli si è addormentata con la testina sul collo. La carezza, la stringe, un po’ spaventato, perché si sente dentro, ora, una pena acuta.

Per fortuna, ecco l’AIfonsino e l’Aurora, che tornano col vino.

Ugo Betti.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 04.11.31

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Citazione: Ugo Betti, “Gatti Leone,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 16 settembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/206.