Inchiesta mondiale sulla poesia (dettagli)
Titolo: Inchiesta mondiale sulla poesia
Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)
Data: 1931-11-18
Identificatore: 218
Testo:
Inchiesta mondiale sulla poesia
Le risposte al nostro questionario
Abbiamo aperto sugli aspetti spirituale ed estetico del problema della poesia nel mondo un’inchiesta alla quale sono chiamati a rispondere i rappresentanti più insigni dell’arte e del pensiero del nostro e degli altri Paesi. Le domande sulle quali chiediamo ai poeti e ai pensatori di tutto il mondo di pronunciarsi sono le seguenti:
1. Qual è oggi la situazione della poesia nel mondo?
2. Quali sono le sensibilità nuove che vi si manifestano, volte alla ricerca di nuova materia di ispirazione e di forme originali?
3. Esiste una nuova poesia che si ispira alla civiltà meccanica del nostro tempo?
4. Quali sono le nuove possibilità tecniche della poesia, e quale valore attribuite alla sua evoluzione che dai metri chiusi ha condotto al verso libero e al di là di questo alle parole in libertà?
Paul Valéry
Nato nel 1871, Paul Valéry è il maggior poeta della Francia d’oggi, e la ma influenza nel campo della cultura e dello spirito è ormai universale. Dopo un ventennio di silenzio stupendamente fecondo consacrato allo studio delle scienze esatte e della meditazione, l'avvento di Valéry nella poesia e nella filosofia è stato come l'apparizione di un fiore magnifico e raro. La « Jeune parque » (1917) manifesta la superiorità di Valéry sul mondo poetico contemporaneo, consacrata da un ordine rigoroso e da una straordinaria densità di significato. La pratica delle discipline matematiche ha condotto Valéry a una concezione della vita e dell'arte i cui codici sono l'« Introduction à la méthode de Léonard de Vìnci » e la « Soirée arec M. Teste ». Ogni libro di Valéry è una fonte di inconfondibili emozioni intellettuali, di superiori diletti dello spirito e di genio poetico. Nel 1925 Paul Valéry è entrato a far parte dell'Accademia di Francia, come successore, di Anatole France. Opere principali: « 0des »; « Le Cimetière Marin»; « Charmes »; « Eupalinos ou l'Architecte »; « Variété »; « Rhumbs »; «XV lettres à Pierre Louys »; « Propos sur la poésie »; « Essai sur Stendhal ». Un volume di Morceaux choisis (prosa e poesia ) di Paul Valéry è stato pubblicato dalla « Nouvelle Revue Française » nel 1930. Vedasi su Valéry il saggio di Lurbaud nella collezione « Les Quarante » (ed. Alcan), e quello di Paul Souday nella collezione « Les Documentaires » (ed. Kra).
La mia opinione sulla poesia è quella d’un uomo di sessant'anni che ha visto nascere e tramontare una quantità di scuole, di tendenze, d’opere; esaurirsi molte volontà, molte glòrie oscurarsi; molti entusiasmi ridursi in cenere, e molti esseri in ombre.
Ma, dal tempo della mia giovinezza, io non m’aspettavo altra cosa. Non ho mai creduto che si dovesse attribuire un pregio infinito ai risultati esteriori, far dipendere la propria vita dagli efetti che possiamo produrre sugli altri E' per questo che, riservandomi i frutti intimi del mio lavoro, mi sono per molto tempo appartato dall’azione lettera ria che, a poco a poco, lo confesso aveva finito per apparirmi incompatibile con le esigenze del pensiero preciso e approfondito. Alcune circostanze indipendenti dalla mia volontà mi hanno tardivamente fatto uscire da questo stato nel quale io ero fatto per restare.
chiuso per sempre; e ho dovuto (poichè bisognava scrivere) scegliere e decidermi; e darmi l’aria di proporre una « estetica». Tuttavia non mi sono mai permesso di pretendere di prescrivere, nè di pretendere di proibire, qualche cosa a qualcuno, in materia di letteratura, d’arte o di filosofia, come in ogni altra materia. Ciò che ho permesso o proibito a me stesso lo fu sempre a titolo di convenienza o d’esperienza personale e temporanea. Non ch’io non abbia avuto le mie preferenze, e tenaci, ed esclusive, e anche violente; ma più mi compiacevo a certi sistemi che m’ero forgiato, più mi attaccavo a certi autori, e più sentivo che, appunto per questo, rifiutavo loro valore universale. Ciò che amo di più, ciò che mi illumina di più dovendo necessariamente essere ciò che è più armonico e più consono alla mia natura, deve per conseguenza corrispondermi così singolarmente come corrisponde a un individuo un abito o uno strumento fatto su misura. La coscienza di questa particolarità è assoluta in me. Essa esclude ogni tentazione di proselitismo, di seduzione o d’insegnamento. Esclude me stesso dalle dottrine e dai partiti; e mi fa, d’altra parte, considerare le mie opinioni come considero quelle degli altri, vale a dire come puramente accidentali in rapporto ai terzi. Infine soffro d’una antipatia istintiva per ogni tentativo di guadagnare qualcuno a qualche causa; e se, in un momento di distrazione, mi sorprendo nell’atto di voler convincere un’altra persona, di tentare di farle amare ciò che non ama, o di farle odiare ciò che ama, il suono della mia propria voce mi diventa tosto insopportabile.
Dico tutto questo per cercar di spiegare la natura de’ miei rapporti con la Poesia; i quali rapporti sono per se stessi molto semplici; ma lo sono assai meno se li si interpreta per mezzo dell’idea che ci si fa ordinariamente della Poesia.
Ho cominciato, come tutti, dal desiderio di produrre delle opere che potessero soddisfare me stesso e che mi facessero da me stesso stimare e amare un poco di più di quanto mi concedesse il mio commercio abituale col mio Io. Cosi venne alla luce un poeta che alcuni amici incoraggiarono: tra essi, Pierre Louys e André Gide.
Un autografo di Paul Valéry.
Paul Valéry come lo vede Sem.
Ma, dopo il ventesimo anno, fui come trasformato da diversi tormenti dell'anima e dello spirito, o piuttosto dal grande sforzo di dominarli, perchè nulla ci altera e ci trasfigura così profondamente come la lotta contro quelle tra le nostre forze che si sono rivoltate contro di noi. Finalmente fui tentato da non so qual demone ad opporre la coscienza del mio pensiero alle sue produzioni, e l'atto riflesso alle formazioni spontanee (anche se bellissime) e ai giochi del caso (anche se assai felici), in una parola a tutto ciò che può essere attribuito all’automatismo. Questa disperata decisione di difesa interiore che mi metteva contro me stesso, mi portava a giudizi molto rigorosi nel confronto di ciò che avevo adorato, ammirato, coltivato piamente fino allora. Tutte le produzioni spontanee del momento mi sembrarono sospette e considerai con freddezza ciò che avevo tenuto per infinitamente prezioso. La Poesia ci si manifesta con meravigliosi accidenti e con notevoli concatenamenti dei nostri stati intimi. Cominciai a osservare molto di più il carattere accidentale o meccanico di questa fabbricazione che il suo valore di delizia o di meraviglia; e giunsi sino a domandarmi se ciò che avevo più divinamente sentito o più ardentemente desiderato in questa categoria d’avvenimenti spirituali non potesse interpretarsi come ripulse o decadimenti dell’attività mentale, effetti d’eccitazioni locali impotenti a raggiungere la forma completa dell’atto intellettuale riflesso...
Questo voleva dire mettere in discussione tutta la letteratura, particolarmente quella moderna. Voleva dire decretare che l’oro è un metallo vile, e valutare tutto come quantità di lavoro cosciente.
In conseguenza di questo atteaggiamento, io ho deciso di rifiutare ogni importanza alle considerazioni di novità o di tradizione, d’originalità o di banalità, alle considerazioni sulla sorpresa e sui contrasti, ai quali si riduce, da più d'un secolo, tutta la politica dei creatori. Tutto questo, come pure i proclami, le ingiurie e la polemica, offre scarso interesse agli occhi d’un uomo sufficentemente solo. Vedevo chiaro che nulla era più contaminato d’automatismo come il prendere per referenze ciò che altri hanno fatto o ciò che altri non hanno fatto, il vivere per imitare o il vivere per far passare di moda, ciò che in fondo significa la stessa cosa. La volontà di rendersi più « avanzato * o quella di conformarsi a un tipo preesistente procede dal medesimo principio della « minore azione» che nel dominio della vita e dello spirito ha per corrispondente la nostra tendenza ad attribuire agli incidenti una risposta riflessa, qualche volta felice, sempre locale.
Ecco perchè quando sono ritornato, dopo più di vent’anni di ricerche non letterarie, alla Poesia, questa strana impresa non mi si è presentata che sotto l’aspetto « assoluto », vale a dire che dovevano assumere qualche valore soltanto le qualità intrinseche, indipendenti (per quanto era possibile ottenere) dal gusto dell’epoca prossima, dall’ambiente e dalla sensibilità moderna. Tra le altra cose interdette, non ho voluto giocare sulla sorpresa sistematica, nè sull’impeto violento, poiché mi pareva che fosse come ridurre gli effetti d’una lirica all’abbagliamento dello spirito senza raggiungere e soddisfarne la profondità.
Tutto questo può essere legittimamente considerato come paradossale. Comunque, io sono stato condotto da queste vedute e da queste deduzioni particolari a imporre al mio lavorò delle condizioni assai rigide e più numerose di quante, in generale, l’ispirazione non ne sopporti, ed ho attribuito un valore singolare a tutte le convenzioni arbitrarie che, limitando la scelta dei termini e delle forme, sono diventate quasi intollerabili per i moderni. Io ho un debole per il formale.
Non è del tutto impossìbile giustificare agli occhi degli altri questa condotta del mio spirito nei riguardi della Poesia. Confesso che mi attaccai ad essa in quanto mi appariva come un esercizio superiore, una ricerca della libertà attraverso la costrizione. L’uomo è così fatto che non può scoprire tutto ciò che possiede se non è obbligato ad estrarlo da sè, con uno sforzo severo e prolungato. Non ci si avvicina a se stessi se non mettendosi contro se stessi. Un poeta, d'altra parte, può ben imporsi ciò che s’impone un comune cantore, un comune virtuoso; ciò che si sono imposti tutti gli artisti quando non s’erano perdute nè le possibilità di maturarsi nè il proposito di durare...
Questa specie di confessione mi dispensa, credo, dal rispondere in veste d’oracolo alle questioni proposte dal vostro referendum. Ignoro ciò che la Poesia deve essere.
E non posso nè voglio sapere ciò che sarà.
Paul Valéry
John Masefield
John Masefield è il « poeta laureato » dell’Inghilterra: questo titolo gli è stalo conferito da. Re Giorgio nel 1930, in successione a Robert Bridges. La tradizione inglese del «poeta laureato » risale al Quattrocento, quando Re Edoardo I di Scozia ammise alla sua Corte il bardo Robert Baston, frate carmelitano. Il primo poeta laureato nel senso moderno fu Spenser, al quale la Regina Elisabetta concesse una pensione di cinquanta sterline, ma il primo poeta che ricevette d’ufficio la nomina per « lettere patenti » fu Ben Johnson. Gli ultimi poeti laureati furono Southey, Wordsworth, Alfred Tennyson, Alfred Austin e Robert Bridges. Il Masefield ha al suo attivo una ventina di volumi di poesia e prosa e diciotto lavori drammatici, fra cui Il processo di Gesù (1925), Tristano e Isolda (1927), La venuta di Cristo (1928). E’ di questi giorni un suo nuovo volume: Minnie Maylow’ Story, and Other Tales and Scenes.
1° — Sono alquanto imbarazzato a dover rispondere alla vostra prima domanda. Tuttavia, senza diffondermi in sottili apprezzamenti e distinzioni dirò essere mia convinzione che la situazione della poesia nel mondo è oggi in generale buona e che in questi ultimi anni essa è andata rapidamente migliorando ed è tuttora in continuo miglioramento.
2° — Molte sono le sensibilità nuove che si manifestano nel mondo poetico, ma quella che più d’ogni altra si inspira a forme nuove è la gioventù del dopo guerra.
3° — Alla vostra terza domanda debbo rispondere che io non credo nella civiltà meccanica del nostro tempo e voglio sperare che nessuna nuova poesia tragga, da essa inspirazione.
4° — Quanto alle nuove possibilità tecniche della poesia ritengo che la radiodiffusione ha reso possibile il miracolo che la poesia tórni a diventare ancora fonte di diletto popolare. La tecnica poetica deve sempre cambiare ed evolversi.
John Masefield.
Una recentissima fotografìa di John Masefield, nominato da Re Giorgio nel 1930 « poeta laureato d'Inghilterra », titolo di nobiltà letteraria che risale al secolo XV.
Auro d'Alba
E' uno dei poeti fondatori del movimento futurista e partecipò alle battaglie futuriste più clamorose. Benchè a fondo sentimentale nostalgico, egli nel suo volume più importante di poesie, « Baionette », creò delle liriche tipicamente legate alla nuova sensibilità modernista e futurista. Auro d’Alba è noto anche per molti romanzi e molte novelle.
1) Quella che è stata e sarà sempre quando è mancato il gigante: ci sono oggi molti poeti: non cè il poeta del tempo nostro.
2) La sensibilità più notevole in atto è quella che tende a scarnire, cioè a ridurre la poesia a schema essenziale: ciò che i futuristi hanno fatto con altro scopo e con ben altro ingegno venti anni fa, esagerando, naturalmente, per dare la scrollata definitiva a un lirismo opprimente. Risultati? Nelle parole in libertà i futuristi diedero saggi assai meno ermetici dei cosiddetti poeti « essenziali » d’oggi.
3) Esiste sempre una poesia dell’epoca: non vedo però, oltre Marinetti, poeti che si ispirino degnamente alla civiltà meccanica del nostro tempo, la quale non può creare, da sola, una nuova Poesia. Non si dimentichi, comunque, quel che sentenziò Carducci, il più irsuto dei poeti: « Poesia e malinconia fanno tutt'uno ». Oggi si vuol essere facili, dilettanti, cinici, allegroni, anche nelle cose più serie, e la poesia ci sfugge, sdegnata.
4) Io sono convinto che la tecnica poco o nulla aggiunga all’originalità sostanziale della Poesia: come spiegare altrimenti che una terzina di Dante, una strofe di Leopardi resistono ai secoli e resisteranno ai millenni? Armate aeree e supermotori hanno la durata di un attimo di fronte all’eternità: e la poesia, per esser tale, ha da trarre ispirazione dalle cose grandi ed eterno, che esistevano quando il primo poeta balbettava, che esisteranno finchè un poeta vivrà esprimendosi col verbo del suo tempo, fatto anima e carne. Oggi per fare gli originali ad ogni costo si è proclamato che noi non abbiamo più nulla da dire all’endecasillabo, e l'endecasillabo non ha più nulla da dire a noi!
Conclusione: No, la poesia, sole dell’anima, non può morire. Ma per noi è vero oggi quel che Marinetti afferma:
« La parola Italia deve dominare sulla parola genio »: ecco forse perchè il poeta non s'è ancora rivelato. E’ risaputo che il genio deve dominare. Oggi basta che domini nel campo politico.
Auro d’Alba
Collezione: Diorama 18.11.31
Etichette: Inchiesta mondiale sulla poesia
Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Inchiesta mondiale sulla poesia,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/218.