DIORAMA LETTERARIO: Lezioni inedite del Carducci sulla poesia provenzale; Una questione ortografica che ritorna: Africa o Affrica?; Come lo scrivono i classici (dettagli)
Titolo: DIORAMA LETTERARIO: Lezioni inedite del Carducci sulla poesia provenzale; Una questione ortografica che ritorna: Africa o Affrica?; Come lo scrivono i classici, ovvero: per non concludere; Trent’anni di fedeltà a Machiavelli.
Autore: Lorenzo Gigli
Data: 1936-05-01
Identificatore: 1936_51
Testo:
DIORAMA LETTERARIO
Lezioni inedite dei Carducci sulla poesia provenzale Una questione ortografica che ritorna: Africa o Affrica? - Come lo scrivono i classici ovvero: per non concludere - Trent'anni di fedeltà a Machiavelli
L’edizione nazionale delle Opere di Giosuè Carducci (Zanichelli) si è arricchita di due nuovi volumi: l’ottavo, uscito alcune settimane fa, e il nono che appare in questi giorni nelle librerie. L’ottavo, sotto il titolo di « Studi sulla Letteratura italiana dei primi secoli », raggruppa, accanto a scritti entrati nelle edizioni precedenti, almeno sette capitoli inediti degli anni 1862-92, ricavati dagli autografi e tutti inerenti alla materia che il titolo del volume indica. Il volume nono, I Trovatori e la Cavalleria, è pure ricco di inediti (1870-81) tratti dagli autografi del Museo Carducciano di Bologna, e precisamente: una serie di lezioni del corso di lingue e letterature neolatine di cui il Carducci aveva assunto l’incarico presso l’Università di Bologna, che esaminano lo svolgimento della lingua della poesia e della civiltà occitanica, l’amore e le donne nelle corti d'amore, la cavalleria; altre lezioni inedite riguardano i trovatori alla corte dei Marchesi di Monferrato, i poeti provenzali in Italia nel secolo XIII, gli italiani che scrissero in provenzale; c’è infine una lezione su Sordello, composta nella primavera del 1879, che costituisce un immediato seguito alle lezioni del corso di cui s’è detto sopra. L’avere l’edizione nazionale zanichelliana disposto gli scritti del poeta e maestro in ordine di materia e di argomenti consente di seguirne la attività critica con un criterio storicamente e spiritualmente unitario, si che alla fine l’edizione non soltanto sarà un monumento degno dell’uomo che si vuole onorare ma anche costituirà un vasto e originale disegno della storia della letteratura e della cultura italiana interpretata dall’erede e continuatore dei grandi poeti.
Al Carducci si sono richiamati anche recentemente parecchi filologi studiosi che, per via dell’attualità, han riportato in discussione una questione d’ortografia non ancora decisa, vale a dire se s’ha da scrivere Africa con una sola effe, alla latina, ovvero Affrica con due, come voleva Ferdinando Martini il quale allegava che allorquando una labiale è seguita in latino da una dentale, la labiale si raddoppia in italiano, o per lo meno si può raddoppiare (vedi: febbre, da febris; fabbro, da faber; e via discorrendo). La questione fu sollevata due anni fa al secondo Congresso di studi coloniali dal prof. Guido Paoli, direttore del R. Osservatorio per le malattie delle piante in Genova, il quale stampa ora in opuscolo, estraendole dagli atti del Congresso, le sue osservazioni. Egli ricorda che il Carducci, interpellato appunto dal Martini, rispose tacitianamente così: « Affrica, sempre, almeno in prosa. Altrimenti francesismo ». Più che francesismo, se mai, arcaismo. Comunque, anche codesta è una delle tante questioni grammaticali e ortografiche dalle quali, come diceva ancora il Martini, non sapremo disimpegnarci mai. Continueremo dunque a scrivere Africa o Affrica a seconda dei gusti, poiché entrambe le lezioni possono appoggiarsi ad autorevolissime fonti. Il prof. Paoli, nel suo utile opuscolo, cita tra i classici che usarono la lezione Affrica il Redi, il Magalotti, Buonarroti il giovane, il Leopardi, ecc. Noi abbiamo trovato Affricano (Scipione) nel canto 29° del Purgatorio (Non che Roma di carro così bello - rallegrasse Affricano, ovvero Augusto); Affrica e Africa come africano e affricano nel Petrarca (Trionfi); la curiosa locuzione gente africante (per africana) nel Pulci; e invece Affrica schiatta nel Ninfale fiesolano del Boccaccio, ma riferita ai discendenti del mitico giovinetto Africo amante della bella Mensola: lo stesso Boccaccio usa anche africheo. Né concordi sono i dizionari, i quali anzi in maggioranza danno indifferentemente tutt’e due le lezioni (il Tommaseo) o preferiscono quella con una effe sola (così il Premoli, il Pianigiani, lo Zingarelli, il Lessona e infine Alfredo Panzini). L'uso della locuzione Africa non si può neppure attribuire alla tendenza, messa di moda trent’anni fa da Gabriele d’Annunzio (il quale, del resto, nei numerosi messaggi inviati durante questi sei mesi di guerra africana, scrive costantemente Africa), di dare ampio diritto di cittadinanza alle consonanti semplici (allora tutti i letterati estetizzanti scrivevano publico e dubio), poiché s’è visto che già scrittori dei primi secoli preferivano la forma non raddoppiata. E si tenga anche presente, sia pure per non concludere, questa osservazione del Paoli (che è poi partigiano della forma raddoppiata): « In generale si può dire che i viaggiatori, gli storici e quelli che hanno avuto occasione di scrivere su quel continente, o semplicemente di nominarlo, hanno, Africa... ».
* * *
Un illustre amico dell’Italia e degli italiani, Carlo Benoist, l’autore della « Crisi dello Stato moderno » e dei « Mali della democrazia », alto funzionario della Repubblica (la servì anche come rappresentante diplomatico, e il primo volume dei suoi Ricordi contiene interessanti pagine romane su Leone XIII e Crispi), oggi convertito alle ragioni storiche e spirituali della Monarchia, da quasi trent'anni studia Machiavelli e il machiavellismo. Il primo volume della sua trilogia Le Machiavélisme usciva infatti intorno al 1907 (titolo: Avant Machiavel). Il secondo (Machiavel) è di pochi anni fa. Il terzo esce ora e s’intitola Après Machiavel (edizioni Plon). Con esso il Benoist, giunto a sera della sua lunga giornata terrena, prende congedo dal pubblico in termini non privi di contenuta emozione. E si distacca dal suo tema con la coscienza d’averlo onestamente sviluppato secondo direzioni intellettuali e politiche che hanno radici nei risultati della moderna critica storica per la quale il machiavellismo è sempre un campo aperto di indagini e di scoperte.
Raccolti nei primi due volumi gli elementi che offrivano al Machiavelli i costumi del suo tempo e che gli portava l’aria dei secoli che l’avevan preceduto, e definito, sui testi originali, il machiavellismo autentico (cioè quello di cui il Machiavelli è responsabile, liberato da tutto ciò che non è suo, che spesso è contro di lui e per cui è ingiusto ch’egli sia condannato), il Benoist nel terzo volume separa dal machiavellismo puro i conglomerati successivi di extra, ultra e anti-machiavellismo, sotto il cui peso il Segretario fiorentino, gravato dalle fantasie di dieci generazioni d’avversari, resta insieme il falso colpevole e la vera vittima. Basta ricordare un nome autorevole, D'Alembert, il quale nell’articolo dedicato a Machiavelli nell’Enciclopedia ha il coraggio di scrivere che Machiavelli è « l’apostolo della politica ingannevole e malvagia che dal suo nome si chiama machiavellismo »; e aggiunge: « ebbe degli apologisti, ma nessuno riuscì a discolparlo, poiché i suoi scritti parlano più alto delle loro ragioni » (è il caso di chiedersi se D’Alembert avesse mai letto Machiavelli).
A liberare il Segretario dalle deformazioni interessate o incaute, il Benoist procede con lucidità e con cautela, soprattutto con rigorosa conoscenza dei testi e delle fonti. Egli si rifà alle ricerche di Oreste Tommasini che in oltre un quarantennio, dal 1869 al 1911, ha raccolto un enorme materiale per la storia del machiavellismo e dell’antimachiavellismo. Ma i lettori vedranno dalle note di cui è fitto il volume, come sia ricco e interessante il repertorio bibliografico messo a frutto dal Benoist, il cui « viaggio » attraverso l’opera e il pensiero del Segretario è di quelli che lasciano tracce profonde e insegnamenti vitali. Esso si chiude sulle parole di Benito Mussolini per la ristampa d'una antica traduzione francese del Principe. Reso omaggio a questo « maestro moderno dell’azione », il Benoist confessa di dover molto a Machiavelli, il quale gli ha ispirato « il disgusto della politica fatta da gente che non ne intende motto, e il disprezzo dei politici che s’ostinano a praticarla senza sapere ciò che dicono nè ciò che fanno ». L’essere giunto, nel nome di Machiavelli, alla scoperta dell’assurdità del suffragio universale e della follia del numero, è un titolo d’onore per il Benoist tanto più che le sue ultime pagine contengono un tributo di riconoscenza al genio italiano « che è stato la mia seconda scuola e mi ha intellettualmente nutrito ».
Lorenzo Gigli.
Collezione: Diorama 01.05.36
Etichette: Lorenzo Gigli
Citazione: Lorenzo Gigli, “DIORAMA LETTERARIO: Lezioni inedite del Carducci sulla poesia provenzale; Una questione ortografica che ritorna: Africa o Affrica?; Come lo scrivono i classici,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2267.