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Titolo: Vacanze di grandi scrittori

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1936-07-21

Identificatore: 1936_71

Testo: VACANZE di grandi scrittori
Manzoni e il caminetto
Le allegre prigioni di Dickens
La dichiarazione d'amore di Tolstoi
Quando arriva l’estate e la canicola ci caccia dalle case cittadine, « ell'è una bella cosa, marchese mio caro — scrive saporosamente il Magalotti — di questi tempi l’aver campo franco d’andare a spasso una gran parte della mattina senza mai veder sole ». Codesti otia estivi sono le vacanze vere e proprie, l’intervallo nirvanico che l'uomo che lavora tutto l’anno concede allo spirito e al corpo stanchi. Ma la villeggiatura o villeggiamento, come si diceva una volta, divenne anche una smania e una moda, e il nostro Goldoni s’impadronì con tanta vivacità del tema che gliene vennero due commedie. Il Settecento fu un secolo di divertimenti sfrenati e di follie, oltre che nei ridotti, anche nelle ville (quelle bellissime ville venete che si specchiano nelle tranquille acque della Brenta). Ma in villa si folleggiava anche prima; tanto è vero che « andare in villa con la brigata » è usato figuratamente dai buoni scrittori per « impazzare ».
MANZONI A BRUSUGLIO
Gli otia dei letterati sono assai più antichi del secolo goldoniano: ne fan fede Orazio e Catullo, Ovidio e Cicerone ben disposti a « rinfrancarsi del disagio delle fatiche e del verno » nelle loro ville vicine o lontane, sui monti albani o a Sirmione gemma delle penisole.
Tra le ville celebri di letterati è quella del Manzoni a Brusuglio, così intimamente legata alla biografia e all'opera del grande lombardo. Lui era di nobile e antica famìglia e tra i suoi vecchi, oriundi della Valsassina, i tipi strambi non mancavano. Lassù corre ancora il detto allusivo a tre famiglie del luogo: «Cuzzi, Proverna e Manzon - minga senten de reson », Fu appunto nella villa di Brusuglio che gli si delineò nella mente la prima trama dei Promessi Sposi. Gli stava vicino il Grossi e leggevano un giorno insieme la storia dell’Innominato nel Ripamonti e le grida contro i bravi nel « Saggio di Economia » di Melchiorre Gioia. Riflettendo con l'amico sulle miserie di quei tempi, gli balenò l’idea di ritrarli in un romanzo storico. E mentre il Grossi approfittava della tranquilla vita rurale per scrivere il poemetto dei Lombardi alla prima Crociata, il Manzoni dette fondo nella biblioteca di casa agli storici milanesi e agli economisti, affrontò le teorie mediche per poter raccontare la peste e le leggi e i bandi per poter ricostruire la vita sociale del tempo. Di quei giorni di Brusuglio egli si ricordò poi sempre; e la figlia Vittoria racconta che l’ultima volta che lo vide in campagna, nel 1869, il Manzoni tirando fuori dallo scaffale la storia del Ripamonti le disse che proprio quando lei stava per nascere, sfogliando quel volume gli era venuta l’idea del romanzo da scrivere. A scriverlo impiegò tre anni, e furono i più felici della sua vita.
UN CARCERE NON COMUNE
Vacanze per vacanze, quelle della fanciullezza di Dickens hanno pochi riscontri. Agli orizzonti liberi di Goethe si sostituiscono delle inferriate di prigione. Proprio così. Lo svago preferito di Dickens bambino consisteva, la domenica, nel visitare il padre incarcerato per debiti. Ma era un carcere allegro, che si trasformava alle volte in una specie di locanda dove si ricevevano parenti e amici e si viveva abbastanza comodamente. Queste gioconde visite carcerarie rappresentarono le prime vacanze di Dickens. Più tardi, diventato cronista d’un giornale di Londra, corse in lungo e in largo l’Inghilterra su traballanti diligenze alla scoperta dei tipi che poi descriveva con tanto successo. Più tardi ancora passò in America per un ciclo di conferenze che suscitarono critiche e malumori. Dickens vi si mostrò scarsamente indulgente per la grossolana mentalità yankee; del resto gli americani stessi riconoscevano d’essere cresciuti come ragazzi maleducati perchè l’Inghilterra, che avrebbe dovuto esercitare su di loro un'autorità saggia e prudente da istitutrice, non aveva mai pensato ad altro che ai vantaggi economici derivanti dallo sfruttamento di quelle ricche contrade, senza curarsi dei doveri morali che il dominio portava seco. E per questo, forse, aveva finito col perderlo.
Ancora per diporto Dickens visitò l’Italia; passò un’estate a Genova e avrebbe desiderato d’abitare la casa di lord Byron ad Albaro, ma essa era stata in tutto negletta e v'aveva preso stanza un mercante di vini.
Fece in seguito il giro di tutta l’Italia settentrionale per portarsi poi a Firenze, Roma e Napoli. Le visioni che lo colpirono sono piene di colore, ma superficiali, perchè Dickens mancava completamente di senso storico, e le antiche tradizioni del nostro paese non gli dicevano nulla. Scrivendo ad un amico non può esimersi dall’esprimere la sua meraviglia e la sua ammirazione alla vista del Colosseo (ma aggiunge subito che lo hanno colpito di più... le cascate del Niagara).
INVENZIONE DIDATTICA
Altro panorama: russo stavolta; e siamo a Jasnaia Poliàna, antico bene di famiglia dei Tolstoi, oggi vero e proprio santuario nazionale. Quando viveva Leone Tolstoi, Jasnaia era mèta di quotidiani pellegrinaggi di fanatici che lo scrittore accoglieva solennemente e paternamente, ma con un fondo di scetticismo e d'ironia che talvolta non dissimulava. Gorki, compagno frequente delle giornate di Jasnaia, ricorda che una mattina un visitatore rifiutò di mangiare un uovo per rispetto alle galline, ma poi, giunto alla stazione, si precipitò al ristorante per farsi dare una bistecca. Un’altra volta qualcuno raccontava come la sua anima fosse diventata pura dopo aver accettato le dottrine di Tolstoi. Questi si chinò verso Gorki sussurrandogli: « Non fa che mentire il briccone, ma lo fa per farmi piacere... ». Lui, intanto, si divertiva a far scuola ai figli dei contadini e appliciva dei sistemi didattici di sua invenzione. Appena s’accorgeva che i ragazzi erano svogliati li mandava a prender aria perchè diceva, il sapere non deve essere impartito meccanicamente e per violenza, ma soltanto quando la scolaresca vi si sente attratta per impulso interiore. E assicurava che dopo un intervallo più o meno lungo i ragazzi tornavano da lui: « Signor conte — gridavano picchiando alla porta — venite a insegnarci, abbiamo voglia di studiare ».
NASCE UN CAPOLAVORO
A Jasnaia la contessa Tolstoi, fedele collaboratrice del marito, vide nascere più d’un capolavoro. Una sera egli le disse: « Prendi questo foglio di carta: scrivici tutto quello che io t’ho detto il giorno che t’ho chiesto di diventare mia moglie. Spero che te lo ricorderai ». La contessa prese il foglio e scrisse: e tutto quello che scrisse, il marito lo ricopiò parola per parola: è la famosa dichiarazione d’amore in Anna Karenina.
Queste sono vacanze da patriarchi. Al povero Dostoïevski, invece, nel corso di tutta la sua esistenza non fu concesso un momento di raccoglimento sereno. Passò qualche estate all'estero, ma sempre talmente perseguitato dalle difficoltà finanziarie che le sue vacanze finiva per consumarle intorno al tappeto verde di Wiesbaden e d’altri luoghi nella speranza di mettere insieme di che tacitare i creditori più assillanti. Ed ogni volta erano catastrofi. Fu anche in Italia, Dostoïevski: un paio di volte. Ma, slavo e slavofilo fino alla radice dei capelli, non amava l’occidente, la civiltà occidentale, l’arte e il pensiero latini. La nostalgia della santa Russia lo accompagnava dappertutto. Scriveva da Firenze: « Ne ho abbastanza. Noia terribile. Guardo come una belva feroce tutto ciò che c’è qui... ».
Lorenzo Gigli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 21.07.36

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Citazione: Lorenzo Gigli, “Vacanze di grandi scrittori,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2287.