Inchiesta mondiale sulla poesia (dettagli)
Titolo: Inchiesta mondiale sulla poesia
Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)
Data: 1931-12-02
Identificatore: 230
Testo:
Inchiesta mondiale sulla poesia
Le risposte al nostro questionario
Abbiamo aperto sugli aspetti spirituale ed estetico del problema della poesia nel mondo un’inchiesta alla quale sono chiamati a rispondere i rappresentanti più insigni dell’arte e del pensiero del nostro e degli altri Paesi. Le domande sulle quali chie diamo ai poeti e ai pensatori di tutto il mondo di pronunciarsi sono le seguenti:
1. Qual è oggi la situazione della poesia pel mondo?
2. Quali sono le sensibilità nuove che vi si manifestano, volte alla ricerca di nuova materia di ispirazione e di forme originali?
3. Esiste una nuova poesia che si ispira alla civiltà meccanica del no stro tempo?
4. Quali sono le nuove possibilità tecniche della poesia, e quale valore attribuite alla sua evoluzione che dai metri chiusi ha condottò al verso libero e al di là di questo alle parole in libertà?
Corrado Govoni
E' uno dei poeti fondatori del movimento futurista con Marinetti, Buzzi, Palazzeschi. La sua fantasia immaginifica si manifesta nel volume di liriche Inaugurazione della primavera, una delle opere fondamentali della poesia italiana moderna. Govoni si rivelò futurista, estremista e potente, soprattutto nel volume Rarefazioni e parole in libertà. La sua notorietà si è singolarmente allargata attraverso numerosi romanzi e novelle, dove dominano sempre le sue qualità di grande lirico immaginoso.
Credo che la situazione della poesia d’oggi, nel mondo, quanto alla considerazione che vi gode, non sia gran che diversa da quella che ha sempre goduto in tutti i secoli e che si riassume con la storica parola di Cambronne.
Al poeti veri non sorridono oggi (come ieri e come domani) che i tre maledetti paradisi: ospedale, manicomio, ricovero di mendicità.
Quanto alla consistenza e realizzazione artistica della poesia, sono profondamente convinto che non vi sia mai stato nella storia, e soprattutto in Italia un periodo più ricco del presente
Il mio pensiero sulle forme chiuse del verso e sulla nostra tradizione è questo.
I metri della nostra poesia non sono nati tutti di colpo come i funghi del bosco alla prima pioggia stagionale; ma costituiscono un patrimonio che e solo il frutto di interminabili evoluzioni e rivoluzioni. Niente dunque conquista statica, fissa e immutabile: vorrebbe dire irrigidimento e morte. La poesia, invece, è la più libera, la più agile e la più duttile e perciò rivoluzionaria espressione del sentimento, se è vero che è nata dall’urto stesso del sentimento insieme alla parola, vera ed unica creatrice e rivelatrice d’ogni senso e d’ogni cosa.
Ogni tentativo di chiuderla (riguardo alla forma) e di limitarla a schemi fissi, è, non dico assurdo, ma puerile. Perchè fanno addirittura compassione i richiami e le invocazioni, che arrivano da tutte le parti coi treni del mattino della critica, alla abusatissima tradizione. La nostra tradizione (come tutte le tradizioni, o signori critici), non è che la somma di tante e diverse rivoluzioni, o conquiste o esperienze che dir si vogliano. E se esiste una tradizione per gli artisti geniali di tutti i tempi e di tutti i climi, è proprio la sola tradizione di essersi infischiati e di non avere mai, per sè, riconosciuto alcuna tradizione. Il grande artista non può riconoscere altra legge altra misura altro ordine all’infuori della propria assoluta e sconfinata libertà, della propria assoluta e sconfinata e incondizionata indipendenza, che può benissimo essere (anzi è sempre), rispetto alle ristrette possibilità degli altri, là più schietta anarchia
E' sempre dal genio, dalla originalità e dalla forza e dalla eccezione del grande poeta che nascono la regola la misura la norma e l'ordine comune per i mediocri e per gli impotenti: cioè per la moltitudine dei rimasticatori e degli epigoni.
Come ogni epoca ha avuto le sue forme metriche caratteristiche (insieme ai costumi morali e politici): il Trecento la terzina, la canzone e il sonetto, il Cinquecento l'ottava, e l'Ottocento il trionfale endecasillabo sciolto: la forma caratteristica della poesia del nostro secolo sarà indubbiamente il verso libero.
A proposito del quale mi piace di informare il mio grandissimo amico Marinetti (il più disinteressato e generoso mecenate di poesia di tutti i tempi) che il primo cospicuo saggio di esso è un indiscutibile vanto italiano. Intendo parlare de « La Ginestra » di Giacomo Leopardi.
E’ una rivendicazione doverosa.
Infatti tutti i compilatori di antologie scolastiche che affliggono il nostro paese, e tutti gli occhialuti nasuti e barbuti schiccheratori di prosodia, se hanno buon giuoco di ricorrere alla vivisezione delle minori canzoni leopardiane applicando ad esse l’ingegnoso abracadabra dei loro ridicoli schemi: AB c d ABC e FG e FHGIhlMiM, ecc., per ogni strofa di numeri pari o dispari, è per altro ben vero che posti davanti a « La Ginestra », perdono di colpo la bussola, non sanno più a che santo votarsi, e se la cavano con rallegra frettolosa definizione « strofe libere con rime nel mezzo dei versi ». E’ il caso di ripetere qui il verso del Leopardi.
« non so se il riso o la pietà prevale ».
Appare più che naturale che le diverse forme metriche rispondano e s’intonino perfettamente all'indole e alla sensibi lità dei tempi in cui si presentano. Come sarebbe anacronistica, oggi, una gara di corsa con bighe che non avesse altro intento all'infuori di quello della canzonatura, e semplicemente carnevalesca quella signora che si ostinasse, per il treno, l'automobile e l'aeroplano, ad indossare la gonna col guardinfante, o preferisse ai moderni e comodi e veloci mezzi di trasporto, per un lungo viaggio, per esempio, da Roma a Napoli, la diligenza sconquassata della nostra nonna, così è più che giusto che appaiano anacronistiche e ridicole le vecchie forme metriche (quando siano adottate per esprimere la nostra inquieta vertiginosa sensibilità moderna.
Non vuoi dire un bel nulla, se ancora oggi qualcuno di noi, poeti modernissimi al cento per cento, commette il peccato mortale di viaggiare nelle carrozze coi postiglione e la sonagliera delle quartine, o magari di adagiarsi su quella specie di pitale metrico che è l'odiatissimo sonetto. Chi non ha sulla propria coscienza simili peccati di facilità, di pigrizia e di viltà, scagli la prima pietra.
A proposito del verso libero delle parole in libertà e della simultaneità, è necessario qui denunciare la malafede pacchiana della critica. Si afferma volentieri che queste nuove conquiste hanno finito coi distruggere la poesia. Si dimentica volentieri che codeste forme sono dei mezzi tecnici più rispondenti e più appropriati alia nostra sensibilità, niente altro. Sarebbe come se si volesse dare ad intendere che i nuovi mezzi di locomozione, treno, motoscafo, aeroplano, automobile, non hanno più diritto di appartenere alla categoria dei veicoli e che non sono più da considerarsi mezzi di trasporto, perchè adattandosi (o creandolo di sana pianta) ad un bisogno di maggior velocità di spostamento da un luogo ad un altro, in confronto delle bighe dei carrettini e delle portantine, hanno distrutto ogni ragione di spostamento e l’essenza dello spostamento stesso, proprio Ora che lo servono infinitamente meglio dei trogloditici mezzi di una volta. Un assunto che non otterrebbe fortuna nemmeno presso un ciecosordomutoparalitico di nascita; Figuriamoci poi presso gli aminaliziatissimi poeti!
La malafede si estende ad un’altra incredibile affermazione: sulla inutilità della poesia (sempre derivante dalla distruzione procurata dalle nuove forme metriche), dal momento che essa si è trasferita (il trasferimento vorrebbe poi dire stemperamento e liquefazione) nella prosa.
Ah no, cari signori. La poesia è sempre poesia e la prosa è sempre prosa. C’è tra la prosa e la poesia (qualunque sia la sua veste esteriore: ma quando mai un vestito donnesco o lungo o corto, stretto od ampio ha modificato o soppresso il sesso della donna? ) la stessa differenza che passa tra il camminare e il danzare, tra il parlare e il cantare, tra L’andare a donne e il fare l’amore. Quando si dice di una pagina di prosa che è lirica, ciò non significa già che la poesia si sia liquefatta o stia per liquefarsi in prosa; perchè invece ciò sta a dimostrare che il tono dimesso e sommesso della prosa si è alzato, ha acquistato la movenza della danza, il ritmo del canto. Si potrebbero citare infiniti esempi. Basta, fra tutti, quello del brano dei Promessi sposi: l’addio ai monti.
Addio monti, sorgenti dall'acque,
ed elevati al cielo;
cime ineguali e note a
chi è cresciuto tra voi e impresse
nella sua mente
non meno che lo sia l'aspetto
dei suoi più familiari...
Sono versi o non sono versi?
Perchè mai modernità dovrebbe significare solamente una maggior estensione del campo delle percezioni e una maggiore intensità emotiva, senza che a codesta disponibilità di risorse e di ricchezze corrisponda un’adeguata facoltà di usare quei mezzi tecnici d’espressione che solo l’artista ha il diritto (con la. conseguente responsabilità) di crearsi di rinnovare e di scegliere come i più convenienti allo sfruttamento di quella disponibilità?
Non si va già a caccia, oggi, dai cacciatori, servendosi dell’arco e della fionda, nè si balza all’assalto dagli arditi e dai ribelli con le melagrane per bombe.
Tutti i grandi movimenti sociali sono stati sempre profetizzati incoraggiati e accompagnati dalla poesia. Non si comprende perchè essa, proprio oggi, malgrado il suo proverbiale disinteresse dovrebbe adattarsi ad una funzione di Cenerentola rugosa e sedentaria confinata in un posticino buio accanto al focolare spento, ed accontentarsi dell’oziosa modesta mansione di istoriare la cenere col, bastoncino dal puntale di gomma, tutto scosso dalla paralisi senile.
Ecco la ragione per la quale io credo che la poesia moderna non possa non ispirarsi alia civiltà meccanica del nostro tempo. Le macchine e tutte le diavolerie del nostro tempo sono i nostri bellissimi miti vivi.
Resta inteso che il potere màgico della simultaneità, e cosi della forza di sintesi e di compenetrazione e di dinamismo sconosciuta a tutte le altre arti, è riservato in eterno alla poesia. Soltanto la poesia potrà mescolare sempre, senza confusione, il passato il presente e l'avvenire, la realtà il sogno e la fantasia, e tornare così ad essere la massima e insuperabile espressione artistica dei nostri tempi.
L’avvenire è della simultaneità, di cui gjà hanno l’inebbriante fascino della certa conquista i saggi che vanno dalle pagine della mia Santa Verde alla Simulltanina di Marinetti.
L'avvenire è dunque ancora nelle mani dei poeti. Non soltanto quello della lirica, ma anche quello del teatro di prosa. Quando esso si libererà da tutte le cianfrusaglie di cartapesta, da tutti i suoi trucchi meschini, da tutte le sue insopportabili convenzioni, e si deciderà a camminare di pari passo col velocissimo macchinismo, apparirà così originale da sembrare una cosa nuova. Come può ammettersi che la maschera e l’ombra (poiché si dice che il cinematografo ha ucciso il teatro di prosa) abbiano sopraffatto la viva bellezza del volto, e la larva e lo spettro soppiantato la gioia elettrica del bellissimo corpo umano agitato da tutte le sue passioni? La parola d’ordine ai giovani poeti dinamici ed avventurosi sia dunque la simultaneità nella lirica e nel teatro.
E tale conquista, come la paternità del verso libero che io rivendico in pieno a Giacomo Leopardi come al primo poeta che abbia veramente spezzato tutti i legami e gli impacci della metrica tradizionale, rappresenti un nuovo primato del genio futurista del nostro paese. Evviva sempre la povera, la diseredata, ma grandissima e liberissima poesia!
Corrado Govoni.
Rudolf Kassner
Rudolf Kassner, filosofo e poeta, è uno dei maggiori scrittori dei paesi di lingua tedesca. Vive a Vienna, dove la sua opera e il suo esempio sono il fulcro di larghi movimenti di cultura « e di pensiero. L'influenza del Kassner, così della sua poesia come del suo metodo filosofico e critico, è notevole sulle nuove generazioni.
La poesia fu per parecchio strettamente legata alla forma. In ultima analisi era appunto la severità nella forma chiusa dell'epressìone che faceva sì che la poesia si mostrava ed era estranea alla vita e al sentimento. I poeti della fine del secolo XIX e del principio del secolo XX, anche fra i maggiori, come lo Swinburne, insistono in questa forma chiusa, tanto da produrre un senso di stanchezza, quasi una divisione tra poesia e vita reale. Oggi bisogna tornare indietro, occorre adattare il più semplicemente possibile la poesia alla vita. Io non credo alla poesia che si ispira alla macchina, all’aviazione e simili. Credo alla poesia in sè, senza limitazione di ispirazione e di temi, e credo che la poesia debba pur sempre far la dovuta parte all’espressione. Oggi si parla di arte espressionistica: per mio conto, la chiamerei con un nome più comprensivo. Essa abbandona la descrizione del mondo esteriore come fine a sè, e registra i più delicati tremori dello spirito e penetra nella stessa sostanza dell’anima. Ogni vera e profonda poesia è mistica, è la incarnazione del pensiero per mezzo della parola. Esempi? Rari. E non possono essere che ra ri! Li troviamo in Hölderlin, all’inizio del simbolismo, in Paul Valéry, in Rainer Maria Rilke (particolarmente in taluna delle sue ultime poesie, e in qualche momento lirico nel Libro delle ore), e anche in Hofmannsthal, in D. H. Lawrence, le cui poesie certamente sono appena dei frammenti, delle minime parti di un qualche cosa, di una qualche idea, che egli voleva bensì realizzare, ma poi gli mancarono le forze necessarie al grande volo.
Rudolf Kassner.
Paul Fierens
Paul Fierens, poeta e critico d’arte, è uno dei rappresentanti più pensosi della generazione belga del dopoguerra, cioè di quella che ha seguito la gloriosa generazione del simbolismo francese (il quale, com’è noto, è di creazione di poeti belgi di lingua francese). Paul Fierens esercita attualmente la critica d'arte, nel « Journal des Dèbats ».
1. La « situazione della poesia » mi sembra migliore di quella del mondo.
2. Sensibilità nuova? Può darsi. Una coscienza nuova, piuttosto. Di che cosa? D’una certa novità dell’universo, che non è ancora compiuta ma che aspira a compiersi. E’ questo un dramma che la poesia (oggi più spesso contenuta in una prosa, una pittura, un film, ecc.. meglio che nei versi) riflette, sia che esprima un’inquietudine, sia che anticipi sulla vita stessa e abbia virtù profetiche.
3. Poesia delle macchine? Non ci credo. Non c’è poesia profonda fuori dell'umano. La macchina ha torse muta to l’uomo? Ma lo scenario si modifica, e anche il ritmo, e il linguaggio
4. Essendo che tutte le libertà son state prese, restano senza dubbio delle nuove possibilità tecniche da scoprire, ma solo nella regola, o alunno nell'ordine, nella disciplina. La libertà deve essere negli spiriti, nei cuori, non nelle parole.
Paul Fierens.
Armand Godoy
E' nato nell'isola di Cuba, di cui ha fatto conoscere insigni scrittori di lingua spagnola, corde il poeta ed eroe cubano Josè Marti, ma vive e lavora a Parigi, e il suo nome va scritto nella storia della poesia francese di questo primo quarto di secolo. Godoy è un seguace del « musicismo » di Royère: egli ascolta e traduce i fremiti dell’onda sonora, e le sue poesie più belle son quelle che interpretano in un linguaggio armonioso e colorito le armonie dei grandi musicisti, Schumann e Bach, Beethoven e Chopin.
Rispondo con gioia alla vostra importante inchiesta sulla Poesia; permettetemi di farlo in blocco, con questa affermazione che riassume tutta la mia fede poetica:
« La Poesia è eterna e immutabile. Può e deve cambiare i suoi mezzi d’espressione, ma la sua essenza non varia. Il mondo avrà sempre bisogno della Poesia, perchè la Poesia è più che un’arte; è una religione fondata sulle leggi stesse della vita, che finirà per migliorare la condizione umana inculcandoci il culto del Bello, simbolo della Bontà, della Verità, dell’Amore ».
Armand Godoy.
Collezione: Diorama 02.12.31
Etichette: Inchiesta mondiale sulla poesia
Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Inchiesta mondiale sulla poesia,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 03 dicembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/230.