I conti con Svevo (dettagli)
Titolo: I conti con Svevo
Autore: Arrigo Benedetti
Data: 1936-10-09
Identificatore: 1936_89
Testo:
I conti con Svevo
Fra le illusioni umane è certo singolarissima quella di potere riparare alle ingiustizie della storia. E anche riguardo alle cose letterarie ogni tanto si danno rettifiche e riparazioni. Anzi è spesso nella letteratura che ci si dà da fare per raddrizzar giudizi, per mettere in luce chi non giustamente restò in ombra. Qualcosa di simile accadde anni fa a Italo Svevo. Svevo fu davvero un trascurato; qualcuno che un bel giorno si compromettesse per lui occorreva; ma la sua scoperta e la sua valutazione critica hanno sensi che vanno al di là dei meriti del romanziere. Senilità è magari un buon romanzo, eppure resta La coscienza di Zeno il libro che più serve a chi voglia fare i conti su questo scrittore. Zeno è figura rivelatrice d’un modo di guardare le cose. Chi legge il racconto dei suoi casi non può mettersi a dire « bello » o « brutto ». O sarà contento d’avere trovato una diagnosi buona anche per lui; o protesterà. Non c’è via di scampo. La figura di Zeno Cosini è individualissima, anzi parzialissima. A molti personaggi di romanzo accade d’aver almeno la simpatia dei lettori: anche quando hanno carattere singolare, lontano dal comune a Fabrizio del Dongo, come alla Monaca di Monza, come ad Emma Bovary. A Zeno no: chi ha il gusto di ritrovarcisi è come se venisse ad avere in mano il bandolo d’una matassa che pareva intricatissima e che invece, d’incanto, smette di esserlo. Insomma, scopre una maniera che illude di ritrovare del tutto se stessi.
Zeno è personaggio che bada più che ai propri atti agli impulsi che dovrebbero determinarli. E tali impulsi, sempre molteplici e in contrasto fra loro, egli te li pone in primo piano, sicché troppo finiscono col valere nel racconto. Molti sono i moti del nostro animo: molte le nostre possibili azioni, anzi infinite; ma delle nostre possibili azioni si può avere coscienza solo se diventano effettuali. E in scrittori come Italo Svevo quella che Machiavelli chiama la realtà effettuale non vuole essere considerata. Sicché la loro osservazione dei casi umani non mena a drammi.
Un nodo drammatico non c’è mai nei racconti di Svevo, quel nodo che si dà da essere disciolto, quando i personaggi si trovano di
fronte alla responsabilità dei propri atti. Non contando l’accaduto, tante sono le cose che potevano accadere. Si pensi a quanto succede fra Zeno e Guido. Zeno va a passeggio col giovane dilettante di violino, il quale con grande disinvoltura gli ha tolto Ada. Gliel’ha tolta, e si potrebbe dire popolarmente gliel’ha soffiata. Vanno a passeggio insieme, dopo avere trascorso in casa delle ragazze Malfenti una serata piena di casi imprevisti, ed ecco che Zeno vorrebbe gettare Guido giù da una scarpata. E le ragioni umane per spiegare il suo atto forse non mancherebbero; eppure Zeno non lo fa, sebbene ne avesse modo. Non lo fa perché non vuole essere un assassino? Non lo fa perché il suo grande desiderio è di potere dormire in pace. « Mi venne un’altra idea che mi parve tanto importante da poter compararla alla grande luna, che s’avanzava nel cielo nettandolo: avevo accettato di fidanzarmi ad Augusta per essere sicuro di dormii quella notte. Come avrei potuto dormire se avessi ammazzato Guido? Questa idea salvò me e lui... ».
Dove è il meglio della desolata poesia di Svevo, e dove è il peggio del suo desolatissimo modo di vedere e sentire. Alla fine, Zeno non uccide Guido perché non è geloso; se le cose gli sono andate a rovescio, egli ne è intimamente contento, avendo il gusto delle cose che vanno a rovescio. Gli accade di avere, in tale situazione come in tante altre della sua vita, il gusto della sua impotenza. Non si arriva mai a casi drammatici, ma solo a casi sgradevoli. Egli non sa essere geloso anche perché si ferma a contemplare la possibilità di esserlo. Così tanti al mondo si sentono Edipo, quasi essendo di moda sentirsi tali. Eppure niente di tragico: nessuno di coloro si acceca. Del resto, a me pare che Svevo sia spreciso nel titolo che dà al libro. E non per la prima volta egli intitola un libro non badando al senso che esso ha ormai scritto in sé; ma piuttosto a quanto egli ambiva e ambisce di significarvi. Senilità è di troppo per i casi di Emilio; come di « coscienza » non si tratta a proposito di Zeno. Zeno più che avere coscienza ha facoltà contemplativa. Egli contempla se stesso non potendo giungere ad avere coscienza di se stesso. E si sa per quale unica via si possa giungere ad avere coscienza di se medesimi; vedendo con rigore le proprie responsabilità negli atti: fidandosi della propria volontà più che del disordine dei casi. Zeno, al contrario, si ferma a vedere in che modo potrebbero andare le cose: vede ad ogni momento la fatica morale davanti ad un gesto qualsiasi, cerca d’imputarsi per resistere bizzosamente; poi si lascia trasportare. E il mondo e le cose umane non possono essere giudicati da un tale punto di vista che da spiriti malati; che hanno il gusto dello sgradevole e della disfatta, cioè, alla fine, della loro malattia. L’unica realtà è per essi la loro malattia, e l’avere per punto di vista i propri mali fisici è come se uno avesse per punto di vista il suo corpaccio che scoppia di salute. Zeno medesimo dice: la salute non vede se stessa ed è verissimo; mentre la malattia è come se vedesse se stessa! Così per Svevo deve tenersi conto di quel tanto di patologico che non resta assorbito dalla sua arte, perché la sua arte in quei momenti difetta, scoprendo la rozzezza del documento. E a proposito credo che non ci siano equivoci. È augurabile sempre che uno scrittore di versi o racconti abbia sensi non solo estetici, ma il guaio comincia quando quei sensi vi restano solo per difetto di poesia. Boccaccio certamente vedeva il mondo a modo suo, avendo ben definita la sua moralità; ma che egli fosse un gaudente, un donnaiolo, un porcaccione magari mai lo dette a vedere per via diretta. Chi si stupirebbe, se per assurdo, domani si scoprisse che lui era, al contrario, un omino per bene, incapace di corteggiare un’ancella?
Vero è che un narratore ha modo di avere coscienza del mondo solo mediante la sua immaginazione: di lì nascono le sue umane esperienze, lì la sua moralità si delinea. Svevo al contrario è un contemplatore di quello che gli passa per l’animo; la quale disposizione non può menare che all’autobiografia del diario intimo. E si vede chiaro quale razza di narratori hanno bisogno di fingere un diario: quelli per i quali non esiste altra situazione possibile all’infuori della propria. E non sono certo personalità invadenti, ma sottilissime; e perciò si difendono. Come gli scrittori che vennero detti crepuscolari stavano a casa propria, contenti di cosucce consuete e grigie, questi scrittori guardano dentro di sé, facendo di tutto per non vederci altro che se stessi. Sono un po’ i crepuscolari della psicologia.
Italo Svevo, secondo me, segna un. momento definibile della nostra cultura, e se appaiono difficoltà per vederlo nella nostra tradizione letteraria sono partigiane o superficiali. Svevo nella nostra tradizione può starci; ma occorre stabilire quale luogo e significato vi abbia. Egli non è. scrittore triestino locale, o peggio, nato per caso in Italia. È scrittore indice d’un modo di pensare e sentire che può darsi in ogni tempo: modo desolato, parziale e sempre contingente, che, ih certi momenti, sembra generalizzarsi. Quando anni fa Svevo fu scoperto, in Francia e in Italia quel modo di pensare e sentire minacciava di generalizzarsi, ecco tutto, E fu una rivendicazione più che verso i lettori distratti verso la gente di cultura. Scrittori trascurati ce ne furono tanti, da Verga a Tozzi; ma rivendicandoli si desidera in fondo che siano venduti e letti, non che diventino maestri di vita. La loro moralità è troppo umana e semplice per preoccuparci. Al contrario per Svevo. Scrittori come lui prendono particolare rilievo quando i tempi stanchi sembrano legittimar la loro contingente concezione del mondo. Illusione che smetterà appena le passioni sappiano vincere l’irresolutezza del riflettere se stessi in se stessi, menando o a prove di virtù, o a errori da scontare.
Arrigo Benedetti.
Collezione: Diorama 09.10.36
Etichette: Arrigo Benedetti
Citazione: Arrigo Benedetti, “I conti con Svevo,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2305.