Orazio tradotto da Pastonchi (dettagli)
Titolo: Orazio tradotto da Pastonchi
Autore: Lorenzo Gigli
Data: 1939-02-22
Identificatore: 1939_93
Testo:
Il libro della settimana
Orazio tradotto
da Pastonchi
Che la critica oraziana sia stata a lungo infestata da luoghi comuni non rispondenti alla profonda realtà dello spirito del poeta, è ormai ammesso da quasi tutti gli studiosi. Il Turolla, per esempio, ricordando il famoso vanto di Orazio, princeps Aeolium canneti ad Italos deduxisse modos, avverte che esso va inteso in un senso più largo di quello datogli dal poeta, e riconosce che la lirica di Orazio ha valore non in quanto egli continua in un modo qualsiasi i poeti lesbici, ma in quanto ha saputo assurgere a forme di complessa originalità, «tali che la ricerca delle fonti diventa un qualche cosa di inutile, in relazione fittizia con la poesia sua che, in quanto tale, è quella, solo quella, nessun'altra»:
Siamo dunque doppiamente grati a Francesco Pastonchi il quale, dando fuori la sua traduzione metrica del primo libro delle Odi di Orazio col testo e note a fronte (ed. Mondadori; gli altri tre libri seguiranno, e l’intiera versione sarà compiuta tra un paio d’anni) lo fa precedere da una dotta e armoniosa dissertazione dove l’artista raffinato e il conoscitore di poesia ch’egli è realizzano un disegno a tutto rilievo della lirica oraziana, spiriti e forme, additata come esempio tra i più insigni di classicità. Orazio è il più romano dei poeti, e tra l’arte sua e la volontà costruttrice di Roma esiste relazione diretta, afferma il Pastonchi, ricorrendo, per sostenere l’affermazione, a immagini derivate dall’architettura: « Un’ode oraziana sta come un arco romano, assolutamente, visibilmente, parola su parola come pietra su pietra: disegno, proporzione, ordine quasi tangibili in un’aria netta: e misteriosi di quel vero mistero, non oscurità in superficie, ma armonia profonda che ne rinnova continuamente, d’attimo in attimo, la stabile forma, come il getto d’un fonte ». Dopo di che, la rivendicazione dell’autonomia di Orazio di fronte alle influenze dei greci può anche apparire superflua. È certo che dalle Odi ha tratto alimento di immagini e di movenze tutta la lirica italiana, dal Petrarca al D’Annunzio, per tacere della lirica oltremontana. Ci sono versi e motti d’Orazio assunti nella coscienza universale a fissare definitivamente uno stato d’animo, un aspetto del mondo e della stagione, un momento lirico. Accingendosi alla durissima fatica di tradurre Orazio in poesia. il Pastonchi doveva pertanto proporsi più d’un problema di interpretazione e di stile. E anzitutto scartò l’idea d’una versione in prosa che diventa necessariamente una parafrasi, anche se felice. Portato dalla sua natura musicale ad esprimersi in poesia (quidquid tentabam dicere..., anche lui) e controllando questa nativa disposizione col buon gusto e l’autocritica sottile che hanno origini culturali e formano un altro aspetto della sua ricca personalità letteraria ed umana, il Pastonchi ha affrontato Orazio, per così dire, nel suo fortilizio e ne ha dedotto un canto italiano che rende con fedeltà quello del poeta, senza stravolgere concetti e immagini e senza aggiungere o togliere parole: inteso ciò alla lettera, poichè chi avesse la pazienza di confrontare il testo oraziano con la versione del Pastonchi constaterebbe come detto testo sia reso quasi con uguale numero di parole: e questa concisione è davvero miracolosa per chi conosca la struttura della lingua latina, sintetica in sommo grado, e gli ardimenti della sua sintassi. Quanto ai metri, il Pastonchi ha usato quelli similari che gli offriva la nostra tradizione e che il Carducci chiamò barbari, mentre sono prossimi ai latini per una simile essenza ritmica.
Concisione, in questo caso, è elemento di eleganza. E si sa come il Pastonchi sia poeta elegante, proprio nel senso più intimo e meno esteriore della parola.
Per convincersi che il Pastonchi ha, traducendo, fatto poesia, basta al lettore anche mediocremente preparato (del resto le note, ridotte all’indispensabile e sempre felicissime, lo illumineranno) correre a quei cinque o sei passi che conoscono tutti (l’invocazione a Mecenate dell’ode prima, la rappresentazione della primavera nell’ode quarta... ), a quei versi che son passati nei prontuari delle citazioni (Cras ingens iterabimus aequor... Vides ut alta stet nive candidum Soracte... Carpe diem, quam minimum credula postero... Integer vitae scelerisque purus.. ). Il quale ultimo verso il Pastonchi rende rispettando sino la collocazione delle parole: Integra vita e da nequizie netta... ).
« Anche oggi, e nell’italiano, esistono le quantità, e sono esse, non il conto delle sillabe e i soliti accenti a creare la musica del verso » nota il Pastonchi. Non giova lungo discorso a suffragare la tesi; sì l'esempio appunto di queste versioni oraziane; e, per limitarci a uno, ecco l’esordio dell’ode quarta reso in tutto il suo ampio respiro:
Sciogliesì l’acre verno, chè torna e dolce spira primavera: argani tiran l’aride carene.
Non più di stalle il gregge ormai si piace o l'arator del fuoco, nè brillan bianchi di pruine i prati...
La primavera rappresentata nel suo nascere e progredire, ed è quadro eterno d’un mistero che si rinnova ogni anno e che il poeta misteriosamente condensa ed esprime. Poche nascite della primavera conosciamo simile a questa, così composta e solenne, così compresa di divino afflato, ed insieme così serenamente consolatrice. Il Pastonchi l’ha trasportàta intatta nella nostra lingua senza che l’incanto si rompesse. Quanti, dopo la lettura delle sue versioni dove l’aderenza al testo e la novità e bellezza delle trasposizioni rivelano dure vigilie, lavoro di anni e lungo amore, continueranno a ripetere che Orazio non si può tradurre? (è sentenza avallata, nientemeno, dalla firma del Manzoni).
Gli esempi tratti dai modi della traduzione si potrebbero moltiplicare. Ma collauderemo l’esperienza odierna sugli altri libri delle Odi. quando usciranno: il Pastonchi ha assunto l’impegno di tradurli tutti dentro il 1941, con raggiunta d’una vita di Orazio; e lo manterrà.
l.g.
Collezione: Diorama 22.02.39
Etichette: Francesco Pastonchi, Il libro della settimana, Lorenzo Gigli
Citazione: Lorenzo Gigli, “Orazio tradotto da Pastonchi,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2510.