Passeggiata con Francesco Chiesa (dettagli)
Titolo: Passeggiata con Francesco Chiesa
Autore: Giuseppe Zoppi
Data: 1939-08-02
Identificatore: 1939_220
Testo:
Passeggiata
con Francesco Chiesa
Fu ai tempi, lontani ormai, che abitavo a Lugano. Francesco Chiesa m’invitò un giorno, con Valerio Abbondio, a fare una giterella a Sagno, suo villaggio nativo.
Appena il treno si mosse, mi scappò detto:
— Com’è sempre bello partire!
E il Poeta, più esperto, e più casalingo:
— Però è bello anche tornare.
Scendemmo dal treno a Mendrisio, ci avviammo a piedi su verso la collina e la montagna. Francesco Chiesa ci veniva mostrando or questo, or quello: sono i suoi paesi, vi ha trascorsa la giovinezza. Gli piaceva la strada, visibilmente: sempre gli piace la strada, e camminarvi sopra con saldo passo, e andare, andare.
Ci fermammo a Castel San Pietro? Non ricordo. Certo si rimirò a lungo la chiesetta di Obino, fra i cipressi. Sostammo pure un momentino dopo sul ponte che scavalca d’un balzo, a grande altezza, il fiume Breggia.
Dopo Morbio Superiore, ci s’imbatte in una modesta fontana, la cui vasca non è altro che il coperchio rovescio d’un sarcofago romano. Fu bello vedere il Poeta chino e proteso su questi due elementi dell’arte sua: i ricordi del passato, le cose della natura.
— Questa vasca — ci ammaestrò amabilmente — reca la scritta, mirabile su un sepolcro: Ad perpetuam felicitatem. In primavera, qui attorno, è tutto un riso di primule, un visibilio d’oro.
Riprendemmo il cammino, salimmo ancora, ci trovammo in alto: tutto il Mendrisiotto era lì, sotto i nostri occhi. Fu allora che le campane di quattro o cinque villaggi si misero a suonare, a dindonare, lentamente, lungamente: era forse l’ultimo segno della Messa. Ci fermammo ad ascoltare, sul margine, poco meno che strapiombante, della strada: quel suono prendeva il cuore. Dopo un momento, parlò il Poeta: con quella sua voce pacata che sembra, più che altro, mormorare le parole, confidarle.
— Quando sento queste campane che fanno, tutte insieme, din, don, dan, e poi ripetono, con lo stesso tono, lo stesso ritmo, din, don, dan, e poi altre, altre ancora, dalla pianura, laggiù, dalle parti di Lombardia, confermano anch’esse, in lontananza, din, don, dan, mi pare che dicano, e ridicano, senza fine: « È così, o piccolo uomo, è proprio così. Inutile dubitare, protestare. È così, è proprio così ».
In quel tempo, Francesco Chiesa non aveva ancora scritto Tempo di marzo, ove si dovevano poi leggere, pressappoco, queste parole. Ma fu più commovente sentirle sul posto, dalla sua voce, mentre le campane, da presso e da lungi, sembravano illustrare il suo dire, e la bella conca mendrisiense si veniva liberando dai vapori, e ogni villaggio ci mostrava le sue case, la sua chiesa, il suo campanile.
La casa nativa del Poeta, a Sagno, è dipinta di giallo. Le persiane sono verdi. Invece che per un portone d’ingresso, vi si accede per un piccolo atrio a due colonne. Davanti, un giardinetto; poi, una viuzza; poi un altro giardino, alto sul mondo sottostante, aereo, popolato, quel giorno, di crisantemi bianchi e lilla.
Mentre la sorella del Poeta — fedele custode, attraverso gli anni, della casa e del podere — pensava ad ammannirci un pranzettino, noialtri visitammo i due orti, trattenendoci un po’ col paesaggio, un po’ coi fiori. Infine uscimmo, dirigendoci verso la campagna. Il Poeta ci precedeva: con l’alacrità e la baldanza d’uno scolaro che, tornato o fuggito dal collegio, riveda con gioia il suo mondo e il campo delle sue più liete avventure.
Andammo a sederci proprio là dove finiscono i prati e cominciano i boschi. La città di Como venne così a trovarsi sotto i nostri piedi: con l’ammasso bruno delle case e dei tetti, il bianco Duomo emergente, di qua un pezzo di lago, di là un pezzo di pianura.
— Da Sagno — disse il Poeta — nei giorni sereni si scorge il Duomo di Milano.
— Che stava certo innanzi ai vostri occhi quando componeste La Cattedrale — insinuai.
— Naturalmente, più o meno. Il caso volle che lì, sotto di noi, ai piedi d’un muretto, ci fosse un mucchio di foglie secche. Il Poeta si cacciò una mano in tasca, ne trasse la scatoletta dei fiammiferi, e, accostatosi al mucchio, gli diede fuoco.
Dapprima si levò, roteando bellamente su se stessa, una nuvoletta azzurra. Poi le fiamme lingueggiarono alte e rosse, crepitando. Noialtri si guardava ammirati quella gran meraviglia che è sempre il fuoco, quando ci s’accorse che le fiamme, superato il muretto, minacciavano di estendersi, di là, a tutta una selva brulla e secca.
Abbondio ed io stavamo a vedere, vilmente oziosi. Abbondio anzi, desideroso di eternare la bella scena, manovrava instancabilmente la macchina fotografica. Il Maestro non pose tempo in mezzo, si guardò attorno, brandì una pertica di castagno (che gli Dèi, certo, avevano messa lì proprio per lui), in un attimo umiliò e disperse il mucchio delle foglie ardenti, scavalcò il muretto, e anche là fece buona e ragionevole giustizia: proprio mentre Abbondio faceva scattare, per l’ultima volta, la sua macchinetta.
Tornammo poi, ridendo, verso il villaggio. Del nostro pranzetto non dirò nulla se non che fu inaffiato, moderatamente, da un vinello bianco, secco, che il Poeta produce nel suo podere. Passammo poi in un’altra stanza, davanti a un bel fuoco. Sopraggiunse un altro amico, uno di quei capi ameni che, dove arrivano, portano di colpo l'allegria.
Dopo qualche ora, si misero sul fuoco le castagne, nella lor brava padella, sotto un canovaccio umido, e si lasciarono cuocere così, poco meno che in pace, e non già facendole maledettamente ballare e bruciacchiare, come si usa fra i miei monti. Poi le gustammo insieme, continuando a discorrere, a celiare.
La giornata finì, come si conviene, in poesia. Il Maestro ci condusse, dall’altra parte del villaggio, fin sul bellissimo poggio di San Martino. Era il tramonto, scendeva la sera. Si vedevano, lassù, le grandi Alpi coperte di neve, ma tinte di sanguigno, vive, palpitanti. Sanguigne, intorno, erano anche le nubi, e, più presso a noi, verdognole, violacee.
Noialtri, non si parlava più: non c’era più nulla da dire.
Giuseppe Zoppi
Francesco Chiesa
Collezione: Diorama 02.08.39
Etichette: Giuseppe Zoppi
Citazione: Giuseppe Zoppi, “Passeggiata con Francesco Chiesa,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2637.