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Titolo: Amor del mondo di Giuseppe Valentini

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1939-08-23

Identificatore: 1939_234

Testo: IL LIBRO DELLA SETTIMANA
Amor del mondo
Alcuni di questi paesaggi di Giuseppe Valentini (Amor del mondo - Edizioni di «Circoli», L. 10) ci sono familiari, nella sostanza e nello spirito: Ravenna, Cervia, Bologna, Ascoli, Trieste, Bra... Paesaggi nostri, dove le pietre parlano, e stillano miele di poesia i tronchi. Tornandoci con Valentini il senso d’eterno penetra anche più a fondo, e ritorna fuori in immagini di continuità di vita, come del resto ci possono far fede i lettori della Gazzetta che conoscono parecchi di codesti capitoli del Valentini, poeta-viaggiatore e storico in potenza. « Avrei voluto — dice egli stesso nella dedica a S. E. Volpe — scrivere di storia: mi è mancata la tecnica, e soprattutto la pazienza ». Diciamo, la pazienza della ricerca erudita e poi la rassegnazione necessaria davanti alla scoperta che, considerate da vicino, le cose del passato sono talvolta meno solenni e sacre di quel che appaiono in lontananza. Dunque Valentini si affidò ai treni, ai piroscafi e alle fantasie; vide molto mondo, e lo descrisse; anche lo cantò coi toni e gli accenti che gli hanno conquistato un posto nella lirica contemporanea. Ma, ne’ suoi scritti tra geografici e poetici, ne’ suoi servizi giornalistici, adesso in questo libro che in parte li raccoglie, trema pur sempre il suo vecchio amore per la storia, « per questa grande battaglia tra l’uomo inerme e il tempo onnipossente »: e nella battaglia, lui, Valentini, italiano e romagnolo, è sempre per gli uomini.
Anche in una città pudica ed amara come Ravenna che vorrebbe aver seppellito, coi suoi morti, le sue memorie («si difende come può e le sue giornate migliori sono quelle di nebbia, quando i rapporti tra gli uomini si fanno vaghi e scontrosi, procedono per accenni e sottintesi, accessibili solo a chi è di casa, a chi ha lunga esperienza dei luoghi ») di sotto la polvere illustre del tempo gli balzano incontro immagini di vita: un centro che non vuole essere conosciuto soltanto nel suo volto antico e spento, ma anche per quello che è oggi, la città dove nel nome di Dante si conciliano memorie e speranze, storia e natura, passato e presente; e al poeta deve sempre ritornare « chi voglia comprendere come dall’Esarcato sia nata la Romagna, come dall’aurea grazia dei mosaici di San Vitale sia sorto questo schietto paese di contadini e di politici, questa maschia, compatta terra non ancora stanca de la lunga prova ». Sulle strade romagnole le ragazze d’estate se ne vanno in bicicletta come se cavalcassero Pegaso: « ragazze come non se ne trovano che da noi, in Romagna, venute su dalla pianura e dal mare. Le vergini di Sant’Apollinare fatte salde dal sangue contadino »; è una magnifica sintesi della continuità della razza e della tradizione. E del resto il tono generale del libro di Valentini è questo, disteso in un’atmosfera fantastica che dà ala alle visioni, alle evocazioni e agli epiloghi; alle stagioni e al lavoro degli uomini e ai loro alti o mediocri pensieri. Ad una apparizione di Bologna curiale e rurale succede un quadretto di Bra scoperto dalla primavera, caserma di artiglieri da montagna, cantina di « bôte e mese bôte -Barbera e Grignôlin». Ferma gente « ch’è tutt’una cosa con la terra» ad Ascoli; e irremovibile cuore di Trieste, nata ad un bivio, sorta ad una frontiera, protesa sul mare, aggrappata al suo Carso... E ricordi d’Italia troveremo in Avignone, ma di un’Italia più domestica e intima di Roma, la quale, come si sa, « è amica più dell’epica che della lirica, protetta contro gli endecasillabi dagli esametri, contro gli abbandoni amorosi e campestri dai pini ».
Le tappe successive del diario di Valentini sono Fontainebleau reale e imperiale e adesso solitaria e muta; e Dieppe degli scaricatori di carbone; e la Svizzera sospesa tra monti e laghi, « il beato paese di cui nessuno, in fondo, sa cosa dire », e dove forse nemmeno Pangloss saprebbe spiegare perchè la rustica gente elvetica, così fiera delle sue libertà, s’acconciasse a fornire soldati mercenari ai despoti degli altri paesi. E vedremo il fermento di Barcellona eterna fucina d’anarchismo, le ombre severe dell'Escurial, e Salamanca in guerra. Ma specialmente ci piace citare un « ritratto » di Lisbona, dove la parola scritta si espande in allusioni dense di esperienza del passato e di attualità, cooperanti a definire il destino della città derivandolo dai suoi caratteri esterni e dalla sua sostanza morale, con felicissimi risultati sul piano storico e sul piano lirico. Lisbona, ultima impresa d’Ulisse; poi il mare aperto, la tomba salmastra, la fine del mondo. È, Lisbona, amica della gente di passaggio, di chi non ha messo e non metterà radici da nessuna parte e va per il mondo come attraverso un luogo straniero e meraviglioso. « Sono gli ospiti, siamo noi che amiamo più d’ogni altro Lisbona, noi che sappiamo come l’alba, il tramonto, la pioggia, il sole, la marea acquistino in lei un senso arcano di avvenimenti improvvisi, colmi di allusioni e di significati, di presagi e di memorie »; onde Lisbona « è sempre in procinto di approdare, è sempre alla vigilia di qualcosa ». E metteremo accanto a questo « ritratto » le aeree pagine sull’arco delle rondini a Mogadiscio nei giorni che l’Italia si conquista l’Impero. Le rondini non possono fare che voli d’un attimo e subito tornano al riparo dell’arco: è un mondo dove tutto è senz’ombra e senza voce. « Noi, dice il legionario e poeta Valentini alle rondini, noi dobbiamo vincerlo questo mondo, ridurlo alla nostra misura: per questo ci han dato il casco, per questo ci hanno affidato il pugnale, per questo abbiamo percorso come voi settemila chilometri, e non volando nell'aria come voi, ma accalcati nelle stive dei piroscafi... ».
Lorenzo Gigli
Giuseppe Valentini.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 23.08.39

Citazione: Lorenzo Gigli, “Amor del mondo di Giuseppe Valentini,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 12 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2651.