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Titolo: Storielle libiche

Autore: Francesco Lanza

Data: 1932-06-01

Identificatore: 1932_252

Testo: Storielle libiche
La lepre
Bubaker se ne andò a caccia col fucile, per ammazzare la lepre, e sua moglie che non c’era mai stata volle accompagnarlo per vedere.
Cammin facendo, essa gli domandò:
- Come fai, Bubaker, ad ammazzare la lepre?
— Ora ti mostrerò — rispose lui.
— Tu ti metti nella macchia e fai la lepre, io tiro e l’ammazzo.
Cosi fecero. Essa corse e si appiattò dietro la macchia.
—Ci sei? — domandò Bubaker.
—Sì — disse lei.
Egli prese la mira e lasciò partire il colpo.
Hai visto? — gridò. Andò alla macchia e vedendo la moglie, tutta insanguinata, che non si muoveva più, la scosse col piede e disse:
- Alzati, sciocca, che questo è stato per provare.
Il prezzemolo
Jussuf voleva prepararsi la polenta; ma gli piaceva col prezzemolo e, non avendone, disse alla moglie:
— Senti che facciamo: ora andiamo al mercato, io mi vendo in cambio d’un mazzolino di prezzemolo, e cosi mangeremo la polenta ben con dita.
Andarono al mercato, ch’era a un giorno di cammino, ed egli si vendette al mercante arabo come aveva detto. Diede il mazzolino di prezzemolo alla moglie e le fece:
— Corri, Faisa, a preparare la polenta, e quand’è pronta la mangeremo.
— Ma come farai tu a mangiarla
— rispose la moglie — se ora l’arabo ti porta via con gli altri schiavi, e non ci sei?
— Povero Jussuf, non ci avevo pensato! — fece lui battendosi la fronte. — Ora che abbiamo il prezzemolo, non ci sono più io per mangiare la polenta.
Il tronco secco
Messaud una notte, passando, pensò di rubare uno dei cammelli che erano dietro la duna a riposare; e, pensandoci, andava dicendo:
— Come farò a rubarlo? Se ci vado, il cammelliere mi sente, si sveglia e mi taglia la gola. Invece, faccio così: mi metto tutto nudo e non mi muovo, e fo vedere al cammello che sono un tronco secco di palma; egli viene per grattarsi la gobba com’è suo costume, io lo tiro piano piano per la cavezza, e mentre si gratta e non se ne accorge me lo porto via e lo véndo.
Si spogliò e stette fermo con le braccia larghe, come un uccellaccio; e, poiché il cammello non mostrava di vederlo, gli faceva, battendo i denti dal freddo:
—Vieni, gobbino, a grattarti la schiena che sono un tronco secco di palma e ci senti piacere.
E stette così tutta la notte, finché il cammelliere non si svegliò e gli dette lui il tronco secco sulle costole.
Il profumo
Taar e la moglie dovevano andare alla festa a far fantasia, e perché essa non sfigurasse fra le altre donne, egli le fece mettere tutti gli anelli e i bracciali che le aveva dato alle nozze e le unse del miglior profumo la testa.
— Sta attenta — le disse — che il buon odore non se ne vada via e resti il cattivo, e tutti a sentirlo si scostino a mia vergogna.
Se la mise davanti sul cammello, e partirono. Per la strada si levò forte il vento, ed essa, coprendosi con le mani, gridò spaventata: - Come facciamo, Taar, che il vento fa andar via il profumo?
Taar fece così col naso, e sentì che il profumo se ne volava col vento. Ci pensò e disse:
— Aspetta che tagliamo la testa e la conserviamo nella bisaccia, ché il vento non c’entri e non se lo porti più via.
Subito le tagliò la testa col falcetto, la mise ben stretta nella bisaccia e, tenendo sempre la moglie davanti, se ne andò alla festa.
Il burro
Barca e Sala, mentre il padrone della bottega dormiva, entrarono e rubarono il burro. Andati fuori, intinsero le dita nel vaso e si misero a mangiare.
— E’ burro di pecora — disse Barca.
— No, è di vacca — disse Sala.
E’ di pecora, è di vacca, stavano per far baruffa.
— Senti che facciamo: — disse Barca— domandiamo al padrone, che lui lo sa, e se è di pecora vinco io, se è di vacca vinci tu e tu lo mangi.
— Domandiamo — rispose Sala. Ritornarono nella bottega e, svegliato il padrone, gli fecero:
— Il burro che t’abbiamo rubato era di pecora o di vacca?
La pecora
Uled e Zarugh, non avendo di che mangiare, pensarono di rubare una pecora. Camminarono tutta la mattina, e finalmente ne videro una sotto la palma. Facendosi coraggio, ché non ne avevano, si avvicinarono piano piano per prenderla: per il caldo essa stava con la testa china fra le zampe, come il cadi quando legge il libro, e li guardava con la coda dell’occhio come se rimuginasse qualcosa.
—Vedi la pecora come ci guarda — disse Uled.
—E come pensa con la testa fra le zampe — fece Zarugh.
— Te lo dico io cosa pensa: adesso che vengono, li prendo, li ammazzo e me li mangio.
— Questo pensa la pecora: scappiamo, Uled, che ci mangia!
Voltarono le spalle, e se la diedero a gambe levate, come due lepri. In quella l’agnellino, che stava accanto alla madre, vedendoli correre si mise loro dietro, e faceva:
— Bè bè!
— Lo senti che dice il figlio? — gridò Uled, col fiato fra i denti. — Aspettate, che mia madre vi prende, vi ammazza e vi mangiamo!
— Corri, Uled, che l’abbiamo alle calcagna!
E fu così che due negri scapparono dinanzi a una pecora.
Francesco Lanza.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 01.06.32

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Citazione: Francesco Lanza, “Storielle libiche,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 23 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/508.