Cose viste: Vespasiano (dettagli)
Titolo: Cose viste: Vespasiano
Autore: Ugo Ojetti
Data: 1932-07-13
Identificatore: 1932_322
Testo:
PARODIE
Cose viste: Vespasiano
Roma, luglio
A pranzo, tra amici, all’Osteria della Cisterna, in Trastevere. Si parla della bellezza di Roma, della sapienza del Governatore. Sono stato ad ammirare i nuovi lavori, i Fori liberati, la Via del Mare, la Via dei Colli. Vorrei parlarne al mio vicino di destra, dato che non posso mai star zitto. Ed ecco, un ingegnere ammalizzito comincia ad alzar la voce e annuncia che, sì, tutto va benissimo, ma c'è un qualche cosa, un piccolo qualche cosa che non funziona, e anzi che manca. Colgo una parola a volo: « Vespasiano ». Voglio dire la mia.
« Conobbi l’imperatore Vespasiano circa diciotto secoli fa, una sera che, sazio degli ori e delle porpore della imperialità, gustava in incognito un’anfora di vecchio Falerno, in una caupona della Suburra. Là presso mormorava nella penombra una fontanella luccicante, così argentea che Orazio l'avrebbe chiamata, come quella di Bandusio, splendidior vitro. Cesare sedeva, rosseggiante e non di pelo soltanto, la barba di quel robusto colore fulvo per cui la gens dalla quale egli discendeva veniva detta dai Romani Flavia. Sembrava triste. E' lecito dire tuttavia che non abbandonava il suo sussiego imperiale? Mi accostai con timore reverenziale e, per dirla con parole care ai nostri nonni, gli domandai udienza, naturalmente in lingua gallica, poichè non comprendevo il dialetto barbarico in cui l'Augusto, m'avevan detto, amava esprìmersi nell'intimità. Mi invitò senz’altro a diventare il suo dirimpettaio — la parola è di Crusca.
— Ughe mi, sono malinconico. Assisto da una mezz’ora a uno spettacolo per nulla romano, per nulla civile. Amice — soleva intromettere ogni poco nel suo discorso qualche parola di un latino purissimo, ciceroniano — amice, vedi quella teoria di plebei che di continuo si affretta verso quell’angolino? C’est pour cause, tu comprends. Tutti i profumi dell’Arabia mai queste cesaree nari addolciranno.
Fece una lunga pausa. Bevevo le sue parole.
— La mia vita volge al termine. Alea jacta est. Mi domando quali vestigia rimarranno di me, del mio governo. Ho fatto quanto ho potuto. Il mio sogno è ora di lasciare in questa Roma un segno deciso e imperituro del mio passaggio. — Abbassò la voce, quella voce che sapeva avere clangori di bronzo. — Je vais te dire mon secret. Sois sage, sois muet, ne le répète à personne. Altrimenti ti mando ad bestias. Io non ho desiderio, come i miei predecessori, di statue d'oro e di avorio davanti alle quali, divine, i posteri brucino incensi. No. Niente immagini. Vagheggio, ad ogni angolo di strada, monumentini piccoli, anonimi, senza il mio simulacro, sorta di nude edicole, in ferro e ceramica, umili, protette da un breve tetto. Un momentaneo rifugio, rallegrato dal mormorio dell’acqua corrente. Là, nel riparato segreto, i cives romani rammenteranno con riconoscenza il mio nome. Vespasiano: ecco la parola che sarà immortale, pronunciata nei secoli dei secoli. I discendenti dei miei popoli godranno di una sicurezza paciosa che ora non possiedano. Non si vive di solo pane. Essi non avranno da, temere, in talune contingenze, dei rigori della legge. Si fractus illabatur orbis, impavidos ferient ruinae.
Il volto gli si era acceso. I suoi occhi fiammeggiavano di speranza, di orgoglio. Sembravano penetrare il futuro, illuminare il buio dei secoli avvenire. Non potei dire altro che « Ave, Caesar! », e mi allontanai nella notte.
I monumentini sorsero, come egli aveva profetizzato, ad ogni angolo di strada. I Romani ripetettero, per centinaia d’anni, il nome dell'Augusto provvidenzialmente paterno. Ma un giorno, un brutto giorno...
Governatore principe Boncompagni Ludovisi, vuol continuare Lei? ».
UGO OJETTI e per copia conforme
Alberto Cecchi.
Collezione: Diorama 13.07.32
Etichette: PARODIE, Ugo Ojetti
Citazione: Ugo Ojetti, “Cose viste: Vespasiano,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/578.