Praga (dettagli)
Titolo: Praga
Autore: Massimo Caputo
Data: 1932-09-07
Identificatore: 1932_401
Testo:
Praga
Questi nostri vincoli di colleganza, amico Pedrazzi, sono davvero a prova di bomba e dureranno certo quanto dureremo noi.
Si dice solitamente che il giornalismo conduce a tutto quando se ne sappia uscire a tempo. C’è molto di vero in tale affermazione, e basta passare in rassegna gli uomini che reggono le sorti dei vari paesi per accorgersi che buona parte di essi è venuta dal giornalismo. Ma un’indagine più attenta vi convincerà che quelli che han fatto più strada, e son saliti più in alto, erano giornalisti di razza, buttatisi in questo nostro mestiere non già considerandolo mezzo al fine o facile trampolino, ma scuola magnifica di vita in tutti i suoi aspetti, esperienza d’uomini e d’avvenimenti, studio delle cose e del progresso, esercitazione quotidiana di battaglia. Che poi ne siano usciti è logico e naturale perchè ogni aspirazione d’ascesa è nobile e lodevole, e perchè, forse, non si son sentiti appagati dalla diuturna fatica dinanzi al foglio bianco.
Il diplomatico scrittore
E però la nostalgia gli è rimasta in fondo al cuore, viva e tormentosa, del mestiere; il bisogno è rimasto di rimettersi di tempo in tempo al tavolino, di rivolgersi al lettore, di raccontargli quanto hanno visto, o udito, o le idee loro. Son saliti così alto negli onori che noi quasi non si osa più di ricordar loro l’antica colleganza; ma son loro che, all’occasione, dicono con orgoglio; noi giornalisti. E ciò è bello, e fa piacere a noi rimasti alla vita febbrile della redazione e della tipografia.
Ecco qua il libro fresco di stampa (Praga - Istituto di Cultura italiana, Praga) di uno di questi ex colleghi-colleghi, Orazio Pedrazzi, passato in rapido volger d’anni dal giornalismo al Parlamento, dal Parlamento agli alti fastigi della diplomazia. Per tre anni Ministro a Praga — ora nominato Ambasciatore a Santiago del Cile — il Pedrazzi non solo ha brillantemente assolto il suo còmpito di diplomatico, ma anche quello d’un solerte, ed eccellente corrispondente dalla Capitale cecoslovacca. A scanso di equivoci, questa mia insistenza sulla lunga professione di giornalista del Pedrazzi non va interpretata come una diminuzione del valore letterario del libro (da noi si uniscono spesso in una sola persona lo scrittore di giornali e il letterato, e spesso si leggono articoli di giornalisti degni di un’antologia), ma vuol significare che un libro di tanta aderenza alla realtà e, nello stesso tempo, di così sobria linea, di così puro e piano stile, di così nutrito contenuto culturale senza voler parere, poteva essere scritto solo da un giornalista.
I capitoli ariosi e di ampio respiro sono come un’organica serie di bellissimi articoli di terza pagina, in cui tutta Praga vi appare come in una serie d’acquarelli, vi rivela il suo lento e travagliato sviluppo fra conflitti di popoli e di religioni.
Badate bene, si tratta d’un libro letterario; il Pedrazzi, come, si legge a pagina 159, non vuol giudicare di politica « perchè non se ne intende ». C’è una fine ironia in questa sua affermazione, che solo i custodi degli archivi di Palazzo Chigi potrebbero smentire; ma giusto perchè egli la politica ha già da trattarla nei rapporti al suo Ministro, per il libro ha riservato la letteratura, l’interpretazione dell’anima varia e molteplice di Praga. La sua missione di diplomatico non soddisfa e riempie tutta la sua attività: egli ha ancora molte cose da dire, osservazioni da fare, che non rientrano in quei benedetti rapporti al Ministro degli Esteri e che pure hanno non minore importanza.
Ed ecco il diplomatico a riprendere la penna dello scrittore, degnamente continuando una tradizione gloriosa di tanti nostri gloriosi diplomatici, basti accennare agli ambasciatori veneti e ad Enea Silvio Piccolomini, che, giust’appunto, scrisse la prima storia di Praga.
Il Pedrazzi ci porta in giro per la Capitale ceca, mostrandocene i segni del passato e del presente, soffermandosi dinanzi ai palazzi e ai panorami, ai parchi e ai monumenti, e, mentre ci trasportiamo con lui da un punto all’altro, ci prepara l’animo a intendere quel che gli occhi vedranno; se poi Praga vi è già nota, sarà un godimento riconoscere come, egli l'abbia profondamente ed esattamente compresa.
Le strade e i templi
Ritornata padrona dei suoi destini, la città, dal ’19 in qua, si è prodigiosamente estesa e ha quasi raddoppiato la sua popolazione: « Ma vi è qualche cosa che non si può raccontare in cifre e che è nell’aria; un senso di attività incessante, un fervore di opere che non è frequente neppure in metropoli che abbiano più gente e massa di affari. Se vi alzate al mattino presto, vedete Praga che alle sette è già in piedi, che già corre e lavora, Praga che alla sera va a letto prestino, che alla mezzanotte dorme tutti i suoi sonni, ma che all’alba si sveglia e salta il letto per non perdere un attimo della sua giornata. E per le vie, a certe ore, c’è il senso di un fiume che vi debba trasportare con sè, la folla che marcia risoluta come se anche passeggiando o andando per i suoi affari dovesse affrontare un lungo tragitto; e non si volta, e non si scansa, magari vi urta nella impazienza di chi non ha tempo da perdere ».
Così il Pedrazzi, in pochi tocchi, vi dà l’idea della moderna vita di Praga, di codesta sua febbre di lavoro e d’espansione come se la sua
gente volesse riguadagnare al più presto il tempo perduto nei secoli di dominazione straniera. La gente, nota il Nostro sagacemente, ama assai più i segni e l’operoso tumulto della nuova Praga che non le memorie del suo passato; ma, senza dubbio, il passato è ben più suadente, è il tessuto mirabile e complicato dello spirito di Praga. Bisogna conoscerlo a fondo e sapere interpretare le sue vestigia.
Pagine mirabili per ricchezza e colore di lingua, per intuizione e penetrazione ha scritto il Pedrazzi su « Le case di Dio »: dalla visione or panoramica ed or particolare delle infinite chiese della Capitale scaturisce in sintesi il conflitto tra il cattolicesimo e la dottrina di Giovanni Huss, e, in definitiva, fra dominatori e dominati. E vale la pena di citare qualche periodo sull’antichissima sinagoga di Praga, « che non cambia il viso e l’anima »: « Nera e sparuta al di fuori, nera e sparuta al di dentro, tiene fede, al passato e alla sua miseria perchè sa che la fede vera è nel patire piuttosto che nel vincere. Essa ricorda che al tempo suo fu una gloria di Praga, quando la costrussero subito dopo quella tedesca di Worms, e per bizzarria dell’artista ebbe soltanto due navate gotiche invece di tre, e mai fu rinnovata e modificata da allora perchè le cose della fede debbono essere eterne. I tetri corridoi che fiancheggiano il tempio per accogliere le donne, e che guardano attraverso le feritoie all’altare, i banchi dei fedeli con le cassettine dei paramenti rituali, il trono della Thora ricoperto da stoffe preziose ma consunte, le lampade, i candelabri a sette candele, tutte insomma le attrezzature complicate che la ammobiliano, sono resistenti e cadenti, sanno di estrema tenacia e di estrema decrepitezza sicchè l’edificio ricorda certi vegliardi che marciano lungo le vie a testa bassa, vestiti male, appoggiati al bastone, ma arrivano senza fretta, tacitamente, dove vogliono arrivare. Mentre le chiese cattoliche di Praga gridano vittoria, mentre il monumento a Giovanni Huss cerca di gridare vittoria, mentre tutta la citta si alza ad ogni passo per esaltare qualche cosa o qualche idea, la sinagoga resta acquattata, annerita, silenziosa, seguendo con gioia segreta la marcia dei suoi figli nella vita della città ».
Dramma di lingue e di stirpi
Quanti sono a Praga i templi e i palazzi, che, come la vecchia sinagoga, son simbolo di storia e di secolari vicende!
Dall’ altra parte della Moldava (Dante dice Multa) sorge Mala' Strana, dove sono il castello e i superbi palagi dell’aristocrazia absburghese, ora in gran parte abbandonati dai loro padroni. Mala' Strana è Praga o Antipraga? si domanda a ragione il Pedrazzi. Quella era la cittadella dei dominatori, dall’altra parte il popolo ceco schiavo dell’aquila degli Absburgo; e al Castello salirono Cola di Rienzo e il Petrarca a conferire con Carlo IV, il gran Re umanista.
E quanta opera di artefici italiani si trova a Praga! Sì, conosco anch’io, caro Pedrazzi, questa smania, questo ardore che ci prendono di cercare e di scoprire, appena varcata la soglia di casa, le tracce lasciate in terra straniera dalla nostra gente nel corso dei secoli; e bene ha fatto a richiamare dall’oblio i nomi di quegli artisti nostri, andati in tempi lontani a edificare e abbellire la Capitale boema; e meglio ancora a ricordare — certe cose van ricordate spesso — che se Mala' Strana non è più la rocca forte della dominazione austriaca, bisogna ringraziarne l’Italia. « Quando dalla vecchia dimora del Principe Thun, dove ora alloggia il Ministro d’Italia, io sento passare per la Nerudova qualche musica militare, mi pare di riudire anche l’eco delle fanfare di Vittorio Veneto, i canti delle nostre trincee, le voci della lotta lunga, tremenda, sopportata dal nostro popolo, perchè a forza di roderlo e di picchiarlo l’Impero austriaco diventasse una polveriera e potesse finalmente saltare in aria. Sia ben morta, dunque, Mala' Strana Antipraga, nel gorgo della catastrofe che travolse il secolare avversario d’Italia ».
Poi, ecco Praga nella nordica primavera prorompente da un giorno all’altro, tutta circondata e costellata di parchi e di giardini in fiore: « Sono i lillà che cominciano a colorire Praga, lillà a grappoli che sopravanzano le siepi ed i muri, che si fanno avanti anche nelle vie centrali, anche nei vicoli, magari facendo capolino dietro vecchie muraglie che non si sarebbe mai creduto potessero custodire simili tesori ». Ecco i praghesi affollarsi d’estate sulle, rive della Moldava, e d’inverno scorrazzare sulla crosta di ghiaccio del fiume.
Certo, bellissima e ricchissima è Praga, ma grande e tragica cosa è l'anima sua. Il Pedrazzi ne ha colto con acutezza l’intimo e insolubile dramma: il dramma delle sue genti, civiltà e fedi diverse. « E’ la sola Capitale in Europa che abbia le caratteristiche di un paese di confine, pur essendo collocata al centro di un’isola slava... Oggi ciascuno vive il più d’accordo che può, ma la eredità della storia, questo multiplo cuore, tiene Praga senza quella pace vera ed intima che soltanto posseggono le città sorte da una stirpe sola, che parlano una sola lingua, che credono in un solo Dio. Oh grande, eterno privilegio di Roma! ».
Praga non sorrìde. Eppure, da codesto dramma di lingue e di stirpi, da codesta avversione alla vita sorridente, da codesto perenne ardore di battaglia, la città deriva un suo particolare fascino, ieratico e duro.
Come vedete, nel libro non c’è una parola di politica: ma io credo che, scrivendolo, il Pedrazzi abbia reso soprattutto ai suoi successori nella Ambasceria di Praga un prezioso servigio perchè la missione di un diplomatico non è fatta di sola diplomazia e di sola politica.
Massimo Caputo.
Orazio Pedrazzi.
Collezione: Diorama 07.09.32
Etichette: Massimo Caputo
Citazione: Massimo Caputo, “Praga,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 23 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/657.