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Titolo: Scrittori e artisti che si confessano

Autore: Nicola Moscardelli, Eugenio Barisoni

Data: 1933-01-11

Identificatore: 1933_66

Testo: Scrittori e artisti che si confessano
Qual è il momento più importante o quello che più volentieri ricordate della vostra vita artistica?
Una sera del gennaio del 1914 io varcavo la soglia del Caffè delle Giubbe Rosse di Firenze, allora celebre nel mondo delle lettere, e la varcavo perchè avevo appuntamento con Papini, che non conoscevo. Ero giunto da pochi giorni a Firenze dall'Abruzzo, pieno il cuore più che la mente di quei nomi che avevo appreso ad amare sulle pagine della « Voce » da tempo, e di « Lacerba » da poco. Come si fa a dare, oggi, una pallida idea di quel che significavano Papini, Soffici, Prezzolini per noi che allora avevamo sì e no vent’anni? A quel tempo, che non è mitologicamente lontano secondo il calendario ma lo è addirittura astronomicamente secondo una misura più interiore, giornali e riviste erano ermeticamente chiusi ai giovani. Chi non a-veva la barba lunga e possibilmente bianca non era preso in considerazione da nessuno di quei signori che a quel tempo facevano il bello e il brutto tempo dagli organi quotidiani settimanali o mensili. « La Voce » prima, « Lacerba » poi, invece, erano scritte da giovani, aperte ai giovani, destinate ai giovani. No, oggi non è possibile comprendere che cosa ciò volesse significare allora Oggi, se mai, si esagera (felice esagerazione! ) nel senso opposto.
Dire dunque che quella sera il mio cuore battesse è dire assai poco: tutto me stesso batteva. Da pochi mesi era uscito « L'uomo finito », da pochi era in corso di pubblicazione su «Lacerba» « Il giornale di bordo »! (E bisogna pur dire che dopo d'allora o l'entusiasmo s'è esaurito o non è uscito più nessun libro capace dì entusiasmare). Ed io, ragazzo che avevo appena scritto e pubblicato un libretto di versi, avrei parlato con gli autori di quelle opere. Varcata adunque la soglia del famoso caffè sotto la guida di un amico che poi è morto sul Carso a poche centinaia di metri dalla trincea dove anch’io combattevo — dico Ugo Tommei di Firenze, anima fine, amico indimenticabile — ebbi da questi l'indicazione del tavolo dove si trovavano Papini e Soffici. Che cosa io abbia detto loro e che cosa essi abbiano detto a me è impossibile riferire. In certi momenti si parla e si ascolta come in sogno. Erano con loro anche due signorine, russe o danesi, credo artiste o semplici leggitrici, le quali ad un certo punto dissero a Papini che lui era un uomo contento. Papini sorridendo ammiccò a Soffici ed insieme si fecero un sorrisetto d’intesa. Queste son le uniche parole che mi son rimaste in mente. Ma la mia amicizia con Papini data da allora: e da allora diventa ogni giorno più forte. Col tempo, naturalmente, ho conosciuto altra gente nota, celebre o semplicemente famosa, ma nessuno mi ha fatto mai tanta impressione quanta me ne fecero i due scrittori quella sera, mentre i camerieri dai nomi d'imperatori romani servivano caffè e limonate.
Nicola Moscardelli
Io ho fatto molti mestieri. Un momento: prima di tutto e tutta la vita ho fatto il cacciatore, e poi anche il pescatore, che vuol dire — pescatore a canna — cacciatore di pesci. In gioventù fui un ragazzo molto intelligente per i miei concittadini. Siccome mio padre guadagnava abbastanza per farmi fare una vita agiata, e io avevo una certa inclinazione a scrivere belle missive in prosa e in rima alle ragazze, anche per conto degli amici, e non cercavo danari in prestito a nessuno, ero tenuto per intelligente. Feci il commerciante. Guai nella vita avere buoni principi. Se avessi chiuso bottega allora, oggi io sarei un riccone e con me molli altri. Ma siccome ero giovane e il commercio andava bene, continuai finché mi ridussi un’altra volta a piedi.
Feci il tiratore al piccione e vinsi molti premi, ma come sempre suole accadere più ero costretto dal bisogno meno vincevo, e le spese erano molte. Feci l’educatore di cani. I cani sono più educati degli uomini, e infinitamente più svegli: capiscono subito con chi hanno a fare. Io ho sempre amato le bestie, ma i cani poi... Più che animali da lavoro li ho considerati a caccia mìei compagni, e siccome ho diviso con loro le più grandi gioie e le peggiori amarezze della vita (il digiuno no, perchè digiunammo più di una volta io e la famiglia, ma i miei cani mai) li ho sempre trattati con troppa dolcezza ed essi mi prendevano sotto gamba.
Feci il cacciatore e il pescatore di mestiere: bella vita, libera e vergine ma miserabile. Mi misi a. scrivere. Mia moglie quando mi vide al tavolino mi disse « Ma cosa vuoi scrivere, che non ti daranno un soldo? Sciuperai la carta e l'inchiostro ». Voi sapete che i giapponesi, che sono, dicono, il popolo più avanti della terra, allorché stanno per intraprendere un negozio domandano sempre parere alla moglie... e poi fanno il contrario. Io pensai: questa è la volta buona, sotto che l’hai azzeccata. I giornali pubblicarono i miei articoli Bompiani, che non mi conosceva personalmente, un giorno mi scrisse questo biglietto: « Sono molto ammirato dei suoi scritti, anche editorialmente ». Venne fuori di conseguenza dalia sua fucina il mio libro — Cacciatore si nasce — il quale è, dopo tre mesi di vita, alla seconda edizione. I miei concittadini cominciano a rimormorare che io sono intelligente.
Eugenio Barisoni

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 11.01.33

Citazione: Nicola Moscardelli e Eugenio Barisoni, “Scrittori e artisti che si confessano,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/876.