Achille Campanile (dettagli)
Titolo: Achille Campanile
Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)
Data: 1933-03-01
Identificatore: 1933_144
Testo:
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Achille Campanile
La strada, la folla, l’umanità anonima, i suoi dolori e le sue gioie sconosciuti, i suoi drammi e le sue passioni che si frangono sui bordi dei marciapiedi lasciando come l’onda sullo scoglio appena un poco di schiuma tosto svanita. La strada e la folla: elementi dai quali il cinematografo ha derivato motivi centrali e sussidiari estraendone la poesia essenziale e distribuendola in quei cinque o sei, mettiamo dieci, film che meritano d'essere ricordati, e tra i quali ne entrano di diritto almeno tre di Charlot e un paio di Buster Keaton. Umoristi, dunque, che la strada ha ispirato. In letteratura, la strada ha pure i suoi interpreti e poeti, anzi li ha sempre avuti: per restare nel clima novecentesco, ricorderemo le strade di notte e i loro eroi malfamati che Francis Carco ha portato nel romanzo, e tutti i riverberi dette luci della città che si riflettono sui brillanti tappeti d’asfalto delle metropoli moderne assunte a chiave di volta, talora a protagonisti corali, di buona parte della letteratura narrativa contemporanea. Oggi la città e la folla hanno un nuovo trovatore in Achille Campatine del quale è appena uscito un libro (Cantilena all’angolo della strada - Ed. Treves Treccani Tumminelli, 1933 - L, 12) che sarà accolto con interesse dai fedeli dello scrittore; essi vi riconosceranno un aspetto nuovo, per taluni insolito, della sua arte. Si tratta d'una novità apparente; vogliamo dire che in sede critica non è esistito un caso Campanile neppure nei momenti più clamorosi della popolarità di. codesto umorista, amato e avversato con pari intensità, e generalmente disconosciuto come valore lirico, limitato ad un episodio di cronaca letteraria mentre il suo impegno d'artista è in proporzione della sua funzione rappresentativa dei caratteri del tempo. In sede critica, Campanile poeta non è mai stato un ignoto; la lettura, dei primissimi dialoghi degli Dei, delle prime tragedie sintetiche e dei capitoli iniziali di Ma cos’è quest’amore consentiva di isolare nel complesso frutto d'una fantasia umoristica che dava nella celia e nel lazzo clownesco (considerati come superamento della ironia di fronte all’inguaribile mentalità piccolo-borghese della verità bell’e fatta, del luogo comune tipificato e della consuetudine mortifera) un nucleo poetico autentico, di sostare con lo scrittore sui margini d'una visione romantica del mondo e dell'esistenza registrandone con sottile e nostalgica malinconia i momenti inconsueti, le penombre, gli abbandoni: di interrompere a mezzo lo sberleffo per giungere le mani con innocente stupore di fronte all’improvvisa rivelazione detta bellezza naturale come per chinarsi con fraterna pietà su qualche particolare aspetto del doloroso nostro destino. Più d’un atteggiamento consimile fu notato allora nel Campanile e maggiormente nei libri successivi, come un'altra faccia del suo umorismo che dai più era troppo frettolosamente ridotto a formule non impegnative nelle direzioni alle quali l'umorismo deve sempre tendere se non vuole svuotarsi e condannarsi, risolversi cioè in non-umorismo e in accademia. Persino nelle cronache giornalistiche di « Battista al Giro d'Italia » la provvisorietà del tema non escludeva un fondo romantico e pietoso (ricordiamoci della trovata dei « sempre in coda » e dei suoi sviluppi). Adesso nella Cantilena all’angolo della strada il motivo si fa spiegato, l'allusione si risolve in canto. Il tono è questo (scegliamo una pagina del cap. VIII, Ore del pomeriggio, che ci sembra tra le più significative così della visione generale come del sentimento ispiratore): « Nella prima ora del pomeriggio, quando la città è deserta e immobile, perchè tutti stanno a mangiare e i negozi non sì sono ancora riaperti, escono a pigliare un poco di sole le piccole stelle del Varietà, con un cagnolino. Alta luce del giorno, come appaiono sbiadite queste stelle! Sono « artiste ». Tetragone ai « basta » delle platee popolari Debutteranno presto al Centrale; o hanno fra un'ora la prova; oppure « lavorano » al Massimo. Sono state per un mese con un principe siciliano. Sarà vero? Forse, però, non si trattava proprio d'un principe. Sono state sempre abbandonate. Hanno un brutto concetto degli uomini, avendo conosciuto un. « mascalzone ». Per ora abitano in una camera mobiliata, in compagnia d’un baule e d'una macchinetta a spirito; ma cercano una casa indipendente. Avrebbero bisogno d'uno che le lanciasse. Sono coperte di straccetti. Il cagnolino è vecchio, spelacchiato, cisposo e mezzo cieco. Girano spaesate per le strade deserte e non si capisce se per loro è il dopopranzo o l’alba, se hanno già mangiato, se debbono ancora mangiare, o se non mangeranno addirittura. Quando, di notte, rincasano, trovano ad attenderle una ciotola di latte, la fotografia d’un bimbo accanto al letto e un conto arretrato da pagare ». Dove sono da notare, se mai, le note dimesse del canto, la sordina all’emozione. Parole povere, una prosa in apparenza quasi sciatta. Ma l'atmosfera è evocata di colpo. Avevamo capito da tempo che Campanile un libro come questo si sarebbe deciso, un giorno o l’altro, a scriverlo; e un libro come questo non può conchiudersi, e si conchiude infatti, che con un sentimento drammatico della vita.
Collezione: Diorama 01.03.33
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Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Achille Campanile,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/954.