Contro le torri d’avorio per una letteratura in linea (dettagli)
Titolo: Contro le torri d’avorio per una letteratura in linea
Autore: Lorenzo Gigli
Data: 1933-03-29
Identificatore: 1933_190
Testo:
Contro le torri d avorio
per una letteratura in linea
« Ed invero nelle opere che allora uscirono in luce voi scorgete cosi misera servitù di stranièra imitazione che vi farà sdegno. Niuna pratica dell'arte dello scrivere; niuna cognizione de’ nobili nostri scrittori; malvagio gusto; pensieri non italiani; un predicar continuo purità, correzione; esempi contrari di barbarismi ed errori... »: frammento d’una lezione di Francesco De Sanctis alla scuola di Basilio Puoti. Si potrebbe, suppergiù, riscriverlo oggi e integrarlo col monito dell’ultima pagina della Storia della letteratura italiana: «... ci incalza ancora l’accademia, l’arcadia, il classicismo e il romanticismo. Continua l’enfasi e la rettorica, argomento di poca serietà di studi e di vita. Viviamo molto sul nostro passato e del lavoro altrui. Non ci è vita nostra e lavoro nostro... ». Quali sono, infatti, i riflessi nella nostra letteratura della nuova fermentazione d’idee, nunzia del nuovo ordine che sarà dato al mondo è avrà l’impronta mussoliniana e fascista? Scarsi ancora trascurabili. Oggi siamo una grande nazione in piedi, e non abbiamo una letteratura nazionale né grande né piccola. Siamo un popolo di cinquanta milioni sotto una bandiera che ha segni imperiali, e non abbiamo un vate che dia fiato alle trombe per intonare le diane eroiche e i coprifuoco. Si costruisce giorno per giorno l’avvenire, con tanto genio politico e senso del futuro, si assiste al meraviglioso spettacolo d’una rinascita nazionale che nel nome di Roma proietta dovunque la virtù del suo esempio e il fascino della sua azione-poesia, e ci sono, in Italia, pochi uomini di penna disposti ad uscire dalle torri d’avorio dove coltivano i loro miti letterari per scendere sulle strade della penisola ad osservar da vicino la vita che oggi ci si vive. S’è chiusa un’epoca; un’altra è incominciata, e sarà l’epoca della quarta Roma, il tempo mussoliniano banditore di verità politiche e sociali antagonistiche a tutte le fallaci ideologie dell’Ottocento, delle quali l’umanità martoriata denuncia con le altissime grida del suo disperato tormento la parassitaria persistenza. La missione universale di Roma ascende un'altra volta nei cieli della storia. Il tempo nel quale la sorte ha voluto farci vivere è un tempo grandioso. Se ne accorgono gli scrittori?
Missione del poeta civile
Letteratura nazionale, specchio di tutta la nostra vita Scrivendo la storia della letteratura, il De Sanctis scriveva la storia della nazione italiana. Ricorreva qualche settimana fa il cinquantenario della sua morte, e l’eco ne è stata tiepida e scarsa pur negli stessi fogli letterari, quasi a significare il disinteresse delle generazioni giovani per colui che diede all’Italia la coscienza della sua poesia Abbiamo celebrato, venti giorni fa, su queste colonne, i settant’anni di Gabriele d’Annunzio, e siamo stati soli a ricordarcene. Forse che oggi si reputa insostenibile la posizione del vate, nel senso originario, nei confronti della storia in divenire del suo paese? Forse che si giudica superata la missione del poeta civile e si irride alla passione nazionale dalla quale son nate le Odi barbare ed è nata la Nave e sono anche nati molti di quelle odi e di quei poemetti che ad un lirico come Giovanni Pascoli ispirarono le grandi date e le grandi figure della vita italiana, da Garibaldi al Duca degli Abruzzi? E si sorride forse sulle pagine di Alfredo Oriani, scritte col sangue? Eppure, allora, volgevano tempi spiritualmente avversi alla poesia, il clima era meschino, le aspirazioni eroiche avvilite dal livellamento borghese e dalla mediocrità egoistica che esprimeva come formole di ideal perfezione i grossolani postulati del materialismo scientifico e storico. In tempi avversi ed ostili, la poesia reagì e proclamò la bellezza del sacrificio, la santità della consegna che le generazioni si tramandano, la grandezza del passato e della tradizione, non per se stessi, ma come lievito dell’avvenire, non ombre di cose morte, ma vita che dura. Il secolo tramontava e il nuovo ascendeva, in un’Italia politicamente meschina, dilaniata dalle fazioni e retta da piccoli uomini più preoccupati di transazioni con la coscienza e di accomodamenti quotidiani con tutti che di servire comunque un ideale. Fu la poesia che in quegli anni tenne desta la fiamma e preparò agli italiani il viatico delle tappe imminenti.
La penna e la spada non furono allora i simboli d’un’eloquenza pittoresca, ma una norma di vita. Così come dovrebbe essere oggi il binomio « libro e moschetto » proposto dal Duce alla giovinezza italiana, ma estensibile a quanti fanno in Italia professione di scrivere e portano per ciò stesso il peso d’una responsabilità spirituale della quale spetta a loro di mostrarsi degni.
Guerra all’esotismo
Si è svolta in queste settimane una polemica tra « contenutisti » e « formalisti »: le polemiche letterarie degenerano quasi sempre, per antico costume, in risse personali e non ci interessano. L’importante non è di discutere, ma di fare; non è di spaccare in quattro il solito capello, ma di mettere a disposizione della poesia le proprie forze, con la maggior buona fede e col massimo impegno. Tuttavia, codesta polemica è il sintomo d’un disagio che avvertono anche coloro i quali sono impotenti ad uscirne. Sì, sappiamo; non mancano al soccorso alcune formole speciose e lusingatrici ed alcuni clamorosi esempi, tutti di marca esotica, che vanno dal « tradimento dei chierici » di Julien Benda, capo dei nuovi sofisti, alle visioni apocalittiche e alle esperienze malsane su cui sono impostati ormai tre quarti dei romanzi che ci arrivano in casa a vagoni d’oltralpe. Il dopoguerra ha ucciso la poesia nel mondo incerto e brancolante e vi ha sostituito un’atmosfera cupa e pesante in cui ogni senso di umanità si dissolve ed ogni luce si spegne. Ma in Italia no. La poesia non è morta. La poesia spunta ogni giorno dall’azione, vien su dalla vita del popolo, si esprime dalle nude cronache dei giornali registranti l'atto di coraggio d'un balilla che salva un compagno e l'ultimo desiderio d'un vecchio fascista che vuol morire con la camicia nera addosso; c’è poesia perché coltiviamo una fede, perché non disperiamo di noi e del mondo, perché siamo giovani e camminiamo dietro una bandiera e dietro un Capo. E poesia di giorni e di opere. Chi non la sente è decrepito anche se ha vent’anni.
Coloro che esaminano Proust al microscopio. i clinici alla Gide, gli analisti alla Jovce, i discepoli di Freud, i chiosatori di Valéry, i distillatori di essenze morbide e sottili, gl’inseguitori di farfalle sotto gli archi che non son più di Tito, ma di cartapesta, si guardino, per favore, un poco attorno, abbiano la compiacenza di mettersi al corrente e di camminare coi I tempi.
« La letteratura è in linea? », si chiedeva l’altro giorno Vincenzo Cardarelli. Si potrebbe rispondere che ci sono letterati in linea, ma la letteratura no.
I temi nuovi
Occorre condurre la letteratura nei ranghi, adeguarla al clima spirituale e storico dell’Italia d’oggi, che è diverso da quello di tutte le altre nazioni, unico ancora nel mondo, un clima nel quale maturano i grandi fenomeni che saranno la storia del pensiero e della civiltà del secolo XX. Quando il Foscolo chiamava gl’italiani alle storie, intendeva che fossero uomini del loro tempo. E uomini del tempo voleva che fossero il Settembrini quando li invitava ad amar l’arte, « e la tengano in pregio come la prima tra le belle e buone cose italiane ». Italiana, e viva, e non curiosa di esperienze esotiche né plasmata unicamente sulle mode esotiche. Nella vita italiana d’oggi non mancano i grandi temi da assumere nei cieli della fantasia e dell’arte, da trasformare in poesia: le paludi bonificate, le strade aperte tra i monti e i mari con tenacia romana, le selve rinverdite di cui s’allieterebbe Virgilio, i borghi che vivono dove per secoli furono la morte e il deserto, le squadriglie aeree che solcano gli oceani; e poi tutti gli aspetti e i caratteri della vita italiana d’oggi plasmata dal pollice d’un costruttore...
I motivi della letteratura e del teatro piccolo-borghesi sono morti con la guerra. Si possono giustificare, dopo, le esperienze e le ricerche dell’immediato periodo postbellico, come tentativi di ricostituzione d’una coscienza letteraria in un periodo incerto ed oscuro. Ma oggi esperienze e tentativi non sono più ammissibili, come non sono ammissibili l’isolamento volontario e l’agnosticismo, posizioni eminentemente antivirili. I motivi d’una letteratura intonata al tempo nuovo sono offerti giorno per giorno dalla vita che corre e crea e si trasforma, e non è possibile trascurarli. Ancora troppi scrittori li ignorano, e si attardano in giochi raffinati e preziosi che si possono giustificare soltanto in tempi di decadimento e di sfacelo. Noi li abbiamo, fortunatamente, superati. O si vuole che della letteratura d’oggi si possa ripetere ciò che Longanesi scrive della cinematografia italiana, che « è un cadavere nella stiva d’una nave in cammino »?
Lorenzo Gigli.
Collezione: Diorama 29.03.33
Etichette: Lorenzo Gigli
Citazione: Lorenzo Gigli, “Contro le torri d’avorio per una letteratura in linea,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1000.