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Titolo: I libri della settimana

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1933-04-05

Identificatore: 1933_199

Testo: I libri della settimana
Un traduttore dell' “Eneide"
Il prof. Guido Vitali ha tradotto in endecasillabi sciolti il poema virgiliano: di questa versione uscirono i primi sci libri tre anni fa; oggi l'opera si compie con un secondo volume (Istituto Editoriale Cisalpino, Varese, 1930-33), col quale si confermano le ragioni di consenso alla fatica del Vitali, interprete finissimo della poesia virgiliana, e traduttore da porre accanto ai più degni. Il primo nome che ricorre è inevitabilmente quello del Caro, che ci ha dato la più elegante e paludata e finita parafrasi del poema. Un’opera d'arte, ad ogni modo; e dimostrò cosi ciò che voleva dimostrare: come la nostra, tingila avesse larghissima abbondanza di voci da esplicare concetti eroici, e usò con bell'ìmpeto il verso sciolto. «Di rado epico, non mai virgiliano, lo fece nell’Eneide il Caro, giudica il Carducci, in elegante snellezza toscana, veloce, nervoso, drammatico ». Stilista meglio che artista, nota sempre il Carducci, riuscì a qualche cosa di veramente nuovo: Virgilio in farsetto. Fece, insomma, addirittura un altro poema, lontano dai caratteri dell'originale. Dei traduttori che vennero dopo il Caro (non furono meno di quaranta) bisogna saltare all'Alfieri per trovare un nome da ricordare: e si veda nel secondo tomo delle Prose letterarie di Ugo Foscolo un esame comparativo delle versioni del Caro e dell’Alfieri. Ci si provò anche, il Leopardi giovine; e poi tradussero tutto il poema Michele leoni e il bresciano Cesare Arici. Da rammentare anche il, volgarizzamento in prosa del fiorentino Ciampolo degli Ugurgeri e quello in, endecasillabi romantici di Giovanni Prati letto agli studenti dell’Università di Torino nell'inverno-primavera 1860-61. Anche la nostra età ha versioni dell’Eneide: eccellente per eleganza di forma e aderenza al testo quella di Giuseppe Albini, il quale ha pure tradotto le altre opera virgiliane. Ora la fatica del Vitali può rimettere in discussione la questione, se a tradurre l’Eneide serva meglio l’endecasillabo nostro o il neoesametro. Polemiche di questo genere hanno un valore puramente accademico; meglio badare ai risultati che, nel caso del Vitali, giustificano pienamente la scelta. E quanto all'autorità del traduttore, occorre appena accennare alla sua cultura umanistica e alla sua preparazione filologica: gli si deve, tra l'altro, anche la versione delle Metamorfosi e dei Fasti ovidiani. Insomma un'Eneide degna del bimillenario. Ariosa, moderna, viva, senza tradire il lesto; anzi il testo accostato alla nostra sensibilità, rivelato nella sua perenne giovinezza. Sarà bene che gl'italiani d’oggi cerchino di. famigliarizzarsi, ora che la possibilità non manca, col poema delle origini e del destino imperiale di Roma.
Ricordo di Enrico Thovez
Thovez, o il dramma dell'incomprensione. La solitudine sdegnosa del poeta e critico torinese non fu priva di bellezza e di significato, e la funzione che egli esercitò in tempi d’improvvisazioni e di scarso senso critico fu assai notevole. L’artista e il polemista furono tutt'uno in lui, e spesso la sua polemica fu in funzione della scontentezza e della amarezza dell’artista che vedeva il silenzio e l'ombra addensarsi proprio sulle opere, nelle quali gli pareva d’aver messo il meglio di sè, in quel Poema dell’Adolescenza e in quei Poemi d'Amore e di Morte che segnano i due termini estremi del suo cammino. Tra l’uno e l’altro sta la sua esemplare battaglia per la verità e la bellezza, inseguite con la passione del poeta, cioè con quell’intensità di sentimento che fu il carattere predominante della sua vita e della sua opera e che spesso gli vietò, di fronte ai fenomeni letterari, la serenità di giudizio e di valutazione necessaria. « Ma forse io solo nel mondo cerco una cosa più grande — più disperata, e più folle: la poesia, e ne muoio » scrisse il Thovez di sè. Il distico vediamo ricordato nelle pagine introduttive d’un libro che a Enrico Thovez consacra Ferdinando Durand nella collana della « Nuova Cultura » (ed. Degli Orfini, Genova): è un caldo tributo alla memoria dello scrittore torinese e insieme un’analisi accurata, fine, equa della sua attività critica, delle sue idee estetiche, del suo mondo lirico. Soprattutto ci tocca l’omaggio alla, nobiltà morale del Thovez e alla dignità del suo esilio spirituale, così degno di rispetto nella sua austera intransigenza. Chi l’ha conosciuto, non può dimenticare quale fosse la grandezza dell’esempio che il Thovez ogni giorno proponeva, quale sia la bellezza dell’insegnamento che gli sopravvive: serbar fede, sempre, nonostante l’infuriar dei nemici, alle proprie idee, per esse rinunciando ad ogni agio e ad ogni fortuna. E, in sede critica, gli sopravvive la sincerità dell'appello a una poesia più umana, più libera da pregiudizi, e più vasta, che abbia le radici più fonde nella coscienza dello scrittore.
Mistici di Spagna
Arturo Farinelli tiene a battesimo una collana di Mistici spagnoli curata da G. M. Bèrtini per le edizioni della « Morcelliana » di Brescia. Sulla: Spagna, terra di cavalieri e di eroi, ricorda il Farinelli, crescevano a frotte i solitari imprecanti il carnevale mondano, assorti nelle visioni, e nelle estasi, congiunti al loro Dio che li possiede e li assorbe: ma essi non appaiono divelti dalla loro terra, hanno forte aderenza con la natura di cui è sanamente intesa la bellezza e la virtù purificatrice. « Lontani da noi solo in apparenza questi curiosi araldi di una fede che piangiamo fuggita ». Ora il Bertini, studioso preparatissimo, porta in Italia il verbo acceso di questi mistici-artisti, ai quali dedica, nell’introduzione al primo volume della collana testé uscito, un dotto saggio critico che riesce ad una sintesi assai efficace della storia della cultura spagnola. Oltre al senso religioso radicato nel popolo, il Bertini indica un'altra caratteristica della razza per capire con maggior chiarezza la natura della mistica spagnola che anche nei momenti di più alta ascesa a Dio non mai dimentica « esta maldecita tierra », e cioè quel particolare realismo, quel disdegno del mondo chimerico al quale il Farinelli accenna nella ricordata presentazione e che altrove precisa come un ideale tutto penetrato della realtà visibile e tangibile. Il primo volume della collana presenta la Via alla Mistica di Francesco de Osuna, nato intorno al 1497 e morto nel 1542. Studiò a Siviglia e a Salamanca e prima di entrare nell’Ordine francescano fu probabilmente prete secolare. Della sua vita restano ancora oscuri molti tratti : si sa che fu Commissario generale per le Indie, che fu poi a Tolosa, Parigi ed Anversa e che morì nella sua terra. I suoi scritti possono dividersi in due sezioni, quelli latini destinati a fornire ai confratelli materiale per la predicazione e quelli spagnoli ascetico-mistici, primo l'Abbecedario Spirituale dalla cui terza parte son tratte le pagine che il Bertini presenta oggi al lettori italiani. Vi è esposta la dottrina sul raccoglimento, vi si disposano la ascetica e la mistica, nel senso che la prima è principio ed avviamento alla seconda. L'Abbecedario può considerarsi il primo libro mistico della letteratura della rinascenza spagnola, ed è giusto che il Bertini abbia voluto iniziare con esso la sua interessantissima collana.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 05.04.33

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “I libri della settimana,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1009.