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Titolo: Premio Mussolini per la letteratura Guelfo Civinini

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1933-04-26

Identificatore: 1933_215

Testo: Premio Mussolini per la letteratura
Guelfo Civinini
Ricordi « inabissati nella puerizia ». Da qualche mese Guelfo Civinini li va resuscitando dalle ceneri, ne ha composto un volume, un altro ne prepara. Fantasmi d’una infanzia e d’una adolescenza provinciali dietro i quali il Civinini ritorna ai sentieri della sua poesia. « I miei primi anni li vissi in una piccola città maremmana dalla quale tutti si scappava al principio dell’estate, per salvarci dalla malaria... ». È un motivo dell’autobiografia del Civinini i cui primi capitoli furono scritti vent’anni fa, in versi, nei modi e nelle forme che la poesia crepuscolare aveva messo all’onor del mondo con una cambiale di lirismo rassegnato firmata da Sergio Corazzini. A ricondurre il nostro sotto codesta insegna persuade il tono del canzoniere d’allora che unisce in un unico culto il ricordo ed il sogno, tenui creature della fantasia, gocciole di brina antelucana che il sole ribeve, piccoli palpiti fatti di nulla. Le « soavità perdute » sono tanto più tentatrici quant’è più evidente la loro virtù di Sorgenti poetiche, di quella poesia intima, che il presente ci nega ed il futuro ci nasconde. Il rifugio, l’evasione, la sosta. Come una rupe solitaria dall’alto della quale si domina il tempo. Sotto scorre il fiume della vita, ed è ad ogni ora diverso, e ad ogni ora mutano i caratteri del dramma e i personaggi. Va verso la foce trascinando nella sua corrente tutte le foglie che cadono dagli alberi delle sue sponde. Lo spettacolo, in certi momenti, diventa tragico. La posizione del poeta della generazione crepuscolare è nota: incapace di reagire, egli oppone alla crudeltà del destino la sua malinconia, si sottomette all’ineluttabile con un umile sorriso sulle labbra pallide. Il ricordo non è un diversivo e una speranza, ma un tema di canto in funzione della malinconica certezza che il passato è bello, e solo in quanto passato. La realtà che abbiamo sotto gli occhi si tramuta in poesia dal momento in cui ce la lasciamo dietro le spalle, è soltanto molto dopo ci accorgiamo quali tesori custodisse. Il nostro sentimento e la nostra fantasia l’hanno liberata dalle sue sovrastrutture materialistiche, l’hanno spiritualizzata, trasfigurata, sollevata nei cieli dell’ideale, donde piove ora la sua rugiada di grazie. Man mano che s’affonda nel tempo, la realtà trapassa nel mito. Mito diventano, incasellati nell’autobiografia, anche certi spettacoli della natura, un’alba di rosa, un tramonto d’oro, un folto brivido di stelle, una falce di luna calante, legati al ricordo di spettacoli simili e lontani, di momenti della nostra infanzia e giovinezza che s’identificano con l’infanzia e la giovinezza del mondo. Ricordarsi del tempo felice nella miseria può essere, in ogni caso, l’impresa dell’evasione poetica. La quale, nel Civinini, non è strettamente aderente agli schemi spirituali del crepuscolarismo. In un certo senso, il Civinini è un crepuscolare d'occasione, generose e vive essendo in lui molte forze romantiche che mal si adatterebbero alla rassegnata filosofia crepuscolare. Di qui anche il tono diverso della sua malinconia, che non urta impotente contro le pareti d’acciaio della realtà, ma stabilisce con essa dei colloqui che si risolvono in compromessi e in alleanze. Più che di malinconia, si potrebbe parlare di serenità accorata, d’un rimpianto che si traduce in motivo di canto al contatto della poesia della vita. Che il Civinini, uomo d’azione, coglie anche nelle sue forme attuali, nel suo divenire, nel suo dinamismo espresso e in potenza. Il rimpianto, allora, non è fine a se stesso, non è conclusione e isterilimento del dramma, ma nucleo lirico in sviluppo. Codesto è il senso di quel canzoniere, I sentieri e le nuvole, con cui, intorno al 1911, il Civinini s’affacciò alla poesia sotto le bandiere crepuscolari, ma in realtà soldato d’un romanticismo che si fa scudo dell’azione. « Io sono figlio di tempi romantici, e non li rinnego » ha dichiarato altrove il poeta. Romantico, infatti, cioè capace d’una reazione che non è soltanto ideale ma che si misura col metro del coraggio e del sacrificio. Se nel citato canzoniere tornavano parecchi dei motivi che furono cari al piccolo mondo corazziniano
(I Morti: ieri i Santi.
O mio cuore, è la sorte:
ciò che fu santo ieri
oggi nei camposanti
custodisce la morte
fra le ghirlande e i ceri... ), la visione non è mai sconsolata, il tuffo nelle memorie non è mai abissale. Si torna a vedere le stelle, si ritemprano le forze per guadagnare le vette. La « serenità » non è una « nave di sogno » che riconduce per un attimo ad una « perduta riva » e poi dilegua via con tutte, le altre fallaci promesse, ma è uno stato d’animo costante, un modo di vivere e di veder vivere. La lirica più bella della raccolta, Mortorio, ha un’ispirazione, un carattere e un andamento che non ingannano. Né dimentichi le sfumature sentimentali d’una leggiadra « elegia ferroviaria »
(le piccole stazioni
di quarta classe, coi loro giardinetti
conventuali:
due piante di cedrina, dei bordi d’erbe grasse, e in una delle aiuole
una gran zucca gialla
che si crogiola al sole
fra i gerani e l'ortaglia... )
il lettore che ha trovato tante note autentiche di nostalgia dolce e accorata sin nelle prose occasionali del Civinini, e in quelle sue corrispondenze del tempo di guerra che onorano come poche altre il giornalismo italiano.
* * *
Giornalista, soprattutto (fu anche collaboratore prezioso e « inviato » smagliante della « Gazzetta del Popolo »), cioè interprete degli aspetti multiformi della vita attiva. In ogni momento, scrittore di razza, che trasfigura e nobilita i motivi più triti della cronaca. Con questo, un uomo di passione è d’azione, un soldato, un testimone diretto delle gesta italiane d’oltremare e della guerra carsica. Il « crepuscolare » Civinini porta sul petto quattro nastrini azzurri. La diana sonò presto per lui. Aveva vent’anni (Guelfo Civinini è nato a Livorno nel 1873), quando il giornalismo lo trascinò fuori dal nido. Il « bimbo » provinciale era morto presto in lui. Tante volte s’è poi fermato a immaginare quale sarebbe stata la sua esistenza se il caso non l’avesse sradicato da quel suo cantuccio d’ombra.
C’è nella bibliografia del Civinini una soluzione di continuità che va all’ingrosso dall’11 al ’18: prima, le poesie dell'Urna (trent’anni fa) e dei Sentieri, qualche commedia; dopo, le novelle della Stella confidente, le prose del Viaggio intorno alla guerra, le pagine autobiografiche Odor d’erbe buone, i Giorni del mondo di prima, i Ricordi di carovana, il dramma Il sangue, i tre atti dei Rottami... Tutti i campi tentati con fedeltà ai motivi del mondo sentimentale e romantico in cui maturò la sua esperienza letteraria e ai temi della vita professionale e dell’attività eroica. Appunto, quella frattura di sette anni, quel silenzio non appartengono a un tempo di incertezza e di ricerca, ma di ritrovamento e di rinnovamento nell’azione.
Oh, datemi un vino odorato
di quella che avete, che io
fra poco non avrò più, g
aiezza della gioventù...
La ritrovò intatta fra i soldati della Libia, tra i fanti in grigioverde del Carso e del Piave; la riconobbe a Marsa Zuetina e ad Agedabia e poi come compagna di veglia nelle tormentate trincee del Costone di Selo; la salutò a Fiume, baciata in volto dall’aura dantesca del Carnaro. Il Fascismo ha trovato fin dalle prime ore il giornalista e soldato Guelfo Civinini in linea, e l’ha avuto tra i fedelissimi d’ogni momento. Egli, il « crepuscolare », il poeta della « canzonetta in falbalà » e del « lamento d’amore sul mare », aveva creduto sin dagli anni ignavi nelle virtù della stirpe e nella rinascita, aveva percorso le vie dell’impero sino ai più lontani confini, s’era destato un giorno sotto la tenda con lo stesso « male d’Africa » che ha sollevato resistenza di molti uomini al di sopra del livello comune al quale la consuetudine l’avrebbe condannata e ne ha fatto degli eroi. Male d’Africa, cioè amore del vivere pericolosamente, che oggi la morale fascista ha tradotto in stile italiano. Africanista appassionato, Guelfo Civinini ha dato alla letteratura coloniale alcune delle sue pagine più belle, vivendole prima: nel Fezzan, nell’Eritrea, in due viaggi abissini, il secondo dei quali lo portò presso la tomba del grande connazionale Vittorio Bottego, il quale dorme i suoi sonni in quel continente che il suo sacrificio e quello d’altri ardimentosi non valsero a schiudere, allora, al mortificato spirito italiano.
Tanti mai anni fa. Una palma in esilio in Maremma. « Così fu forse che mi si mise addosso il male dell’oltremare », cioè il senso dell’avventura, la sorte segnata e la salvezza. « Diceva soltanto ch’ero un bimbo un po’ strano ». Già dominato dalla nostalgia in un ambiente grigio. « Però com’era bello il mondo di là di là da quei miei piatti orizzonti! Sogna, sogna. Poi vedrai... ».
Lorenzo Gigli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 26.04.33

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Citazione: Lorenzo Gigli, “Premio Mussolini per la letteratura Guelfo Civinini,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1025.