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Titolo: Racconto

Autore: Leo Longanesi

Data: 1933-05-03

Identificatore: 1933_222

Testo: Racconto
Dal principio dell’estate, ogni pomeriggio, mi incontravo con Anna nella villa di una vecchia amica, e vi restavo fino a sera.
Quel giorno, mi trascinai dietro il professore per non lasciarlo solo al caffè. Non cercava di meglio; anche la vecchia amica, ormai cinquantenne, l’avrebbe interessato.
Dopo un breve viaggio in carrozza arrivammo alla villa.
Le signore erano nel prato, sedute sotto una larga tela colorata. Presentai il professore, poi ci sedemmo tutti e due sull’erba.
La conversazione cominciò incerta. Il professore, timoroso e cauto, si appoggiava ora a un argomento ora a un altro con estrema gentilezza, in atteggiamenti educati, da galante conversatore d’altri tempi. Discorreva pacato, accompagnandosi con leggeri gesti della mano.
In silenzio, sdraiato ai piedi di Anna, la osservavo, attendendo i suoi sguardi lenti.
Il professore seguitava a discorrere, ora più sicuro di sé. A certe sue considerazioni intorno alla « felicità della vita campestre », erano seguiti discorsi sciocchi, sull'« amore, gli uomini e le passioni ».
« La vita? — diceva. — Un deserto, una via lunghissima, un buio pesto. L’amore? Una lotta disperata, lunghissima che può condurre alla morte. Le donne? Bisogna conoscerle per giudicarle. Si tratta di rivelare una donna a se stessa... ».
Anna e l’amica cominciavano a interessarsi al professore che discorreva già in prima persona — Io ho amato... — e rievocava il proprio passato di amante infelice.
« Ah, le donne! — esclamava, agitando le sue mani scarne — le donne nascondono un mistero. Bisogna che due misteri s’incontrino e si svelino, per amare ».
Poco alla volta, con una strategia pacata e sicura, il professore conquistava l'interesse delle due signore, incuriosite di questo nuovo personaggio, dalle grosse lenti, dalla voce patetica, che sapeva « parlare cosi bene ».
E più si sentiva ascoltato, più ornava il discorso con frasi magiche e immagini straordinarie ch’io non so dove trovasse, tanto erano efficaci quanto sciocche. Egli aveva trovato la miglior maniera di dirle, l’ora più adatta e la situazione più propizia. Lentamente si intrometteva fra me ed Anna, valendosi della nostra melanconia.
« I giovani — diceva con ironia leggera — i giovani sono distratti, per lo più, e non sanno amare. I loro amori sono incendi, divampano, ma sono brevi fuochi. Si esauriscono. Si consumano in un breve volgere di tempo. Passione, gelosia e noia: così nascono e muoiono ».
« Esistono uomini — sussurrava volgendo lo sguardo ad Anna — che a prima vista passano inosservati, ma che posseggono un particolare fluido, un magnetismo, e come certi metalli ne attirano altri cosi... ».
E dai metalli, il professore, passò ai fiori, e dai fiori ai serpenti, e dai serpenti all’oriente.
« La leggenda dice — seguitava — che il giovane Ki-Koi-Ko, principe cinese, un giorno volesse invecchiare di vent’anni per amare una fanciulla... ».
A tratti, fra una frase e l’altra, sostava fissando Anna con due enormi occhi di bue, poi riprendeva il discorso con un fare nostalgico, da pastore errante.
Anna abbandonava il capo sulla seggiola a sdraio, strappava un fiore o un filo d’erba e me lo lanciava con aria distratta, e nulla più mi turbava di questa sua falsa attenzione. Ascoltava con gli occhi volti al cielo, in una di quelle vaghe pose che le donne assumono non appena sanno di essere minacciate dalla corte di un uomo.
Ogni mio sforzo era vano; già non riuscivo a restar calmo e cercavo la sua attenzione, ormai perduta, toccandole una mano con un giunco. Lei rispondeva meravigliata, come non intendesse quel mio gesto.
In un attimo, ogni disastrosa e impossibile conclusione mi parve possibile, inevitabile a tal punto da desiderarla perfino.
Ma cosa non faremmo per attirare ancora uno sguardo, l’ultimo, dalla donna che amiamo quando lei ascolta già chi la interessa più di noi?
Neanche a farlo apposta, ogni nostra parola è stonata, in questi attimi, fuor di luogo, goffa, brutale e davvero stupida. Ce ne meravigliamo noi stessi di quel che esce dalle nostre labbra: ogni parola è destinata a mandarci in rovina, ma noi non finiremmo mai di tentare.
« Almeno scendesse un acquazzone! Potessi interrompere questa conversazione — pensavo — fuggendo in casa ». Non sapevo quel che mi dicessi, ostacolavo l’amico in ogni maniera, con livore, facendo sforzi per trascinarci nostri discorsi in una rissa.
Il professore sorvolava, fingendo di non accorgersi del mio stato e, consapevole dei miei rapporti con Anna, mi ostacolava con furbizia, da persona anziana che comprende e perdona. Ed io, perduto ogni controllo di me stesso, discorrevo da amante geloso, senza più celare la natura della mia amarezza.
Anna, a volte, mi rivolgeva uno sguardo rapido, di sfuggita, fingendo di volgersi verso i campi. I miei occhi l’aspettavano fermi, disperati e pietosi.
Seguitava a discorrere, il professore, ormai sicuro di sé, lusingato; nelle pause della conversazione, sorrideva pensandomi.
Oh! io intuivo i suoi pensieri, e questo saperlo così consapevole del fragile amore di Anna per me, capire ch’egli già conosceva le sue debolezze e poteva vincerla con parole di cui conoscevo già l’efficacia su di lei, mi rendeva insopportabile il rimanere ancora in quell’ansia disperata di chi è costretto ad assistere a una nuova simpatia della donna che ama.
Bisogna evitare queste conclusioni, fuggirle in silenzio e credere al tradimento con la speranza di non essere ancora, né mai, forse, traditi.
Anna rideva e l'amica l’assecondava in quel suo riso di donna volubile e civetta, con quella vaga solidarietà che regna fra le donne di due età.
Poi, come Dio volle, il cielo s’oscurò e s’udì il fulmine.
« Ecco l’acqua », dissero le donne in coro, e attraversarono ridendo il prato, mentre scendeva già la pioggia.
Appena cessato il breve acquazzone, uscimmo dalla villa per ritornarcene in città.
Il sole era calato, le piante s’erano fatte scure e qualche foglia bagnata brillava. Abbaiavano i cani al sopraggiungere della sera e le nostre voci suonavano chiare nell’aria pulita e schietta del prato umido di pioggia.
« È l'ora di andare a casa. Arriverò quando tutti saranno a tavola », disse Anna. « Chi mi vuole accompagnare? », aggiunse con voce allegra, correndo innanzi a noi.
Il professore la raggiunse; io li seguii adagio.
Le donne ci lasciano così, sotto i nostri occhi, e non c'è più nulla da fare!
Leo Longanesi.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 03.05.33

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Citazione: Leo Longanesi, “Racconto,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1032.