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Titolo: L'idea di Roma e la missione dei poeti in una lettera inedita di Quintino Sella al Carducci

Autore: Quintino Sella

Data: 1933-07-19

Identificatore: 1933_329

Testo: L’Idea di Roma e la missione dei poeti
in una lettera inedita di Quintino Sella al Carducci
La missione civile del poeta: è un tema attualissimo, intorno al quale si sono accese anche recentemente appassionate discussioni. Il nostro giornale, intervenendo con un articolo intitolato « Le torri d’avorio », volle precisare non tanto i caratteri e i limiti d’una polemica letteraria quanto il tono che essa assumeva se portata nel campo della meravigliosa realtà italiana d’oggi e le sue vaste ripercussioni nel regno dello spirito. Perchè è chiaro che non si tratta d’indicare allo scrittore e all’artista dei « temi obbligati », ina sì di richiamarlo un poco sulla terra e di farlo uscire dalla sua solitudine perchè si senta figlio del suo tempo e abbia la coscienza di vivere un mondo che si trasforma e costruisce il suo avvenire offrendo ogni giorno di sè e delle sue mutazioni e de’ suoi segni vitali uno spettacolo che l’artista del secolo nuòvo non può spiritualmente ignorare. L'artista ha dei doveri verso se stesso e l’arte ma anche verso la sua generazione e quelle avvenire, verso la società nazionale, la Patria e la storia. A questo proposito giunge oggi più che mai opportuna la meditazione d’una lettera inedita di Quintino Sella a Giosuè Carducci, lettera che Venanzio Sella, discendente dell’illustre statista, pubblica nel fascicolo della Illustrazione Biellese uscito oggi. La lettera non esige commenti, e la riferiamo nella sua integrità: è chiarissima « nell’espressione d’uno sdegno lungamente trattenuto ». Sdegno provocato dalla famosa invettiva carducciana contro « i vigliacchi d’Italia » che si legge nel « Canto dell'Italia che va in Campidoglio ». Questo « Canto », uscito un anno dopo Porta Pia, era stato nel 1879 tradotto in tedesco con altre poesie del Carducci: Quintino Sella inviava appunto al Carducci la traduzione teutonica accompagnandola con la lettera in parola.
Della quale oggi ci pare interessante e istruttivo rilevare non tanto il tono addolorato ed amaro quanto le solide argomentazioni sulla eloquenza delle memorie romane e sulla qualità della ispirazione che esse avrebbero dovuto far nascere nel cuore del poeta. La grandezza di Roma, l’universalità di Roma erano realtà cosi imponenti, un tale retaggio ideale da rendere inescusabile il poeta che invece di considerarle s’attardava nella gioia crudele del sarcasmo contro gli uomini ch’erano andati a Roma, dando ad uno storico straniero come il Mommsen il pretesto di identificare attraverso l’invettiva carducciana « gl’italiani dell’ultima Roma ». Scriveva ancora Quintino Sella in un’altra pagina inedita che il periodico biellese cita: « Se i vati che elevar dovrebbero la virtù, e trattar gli ideali a cui inspirar si debba, vanno anche al di sotto della prosaica realtà, a quali nobili propositi si dedicherà la nostra gioventù? ».
Ed ecco ora la lettera al Carducci:
Biella, 31 dicembre 1879.
Caro Carducci, Vi mando una punizione ben più grave di un cattivo pranzo preceduto da un’intollerabile aspettazione di oltre un'ora, ed è la traduzione teutonica di parecchie vostre poesie la quale si inizia col Canto dell’Italia che va a Roma.
L’impressione che tutto ciò mi fece fu di ricordarmi alcuni versi del Manzoni. Ma non mi fermai lì: pensando alla gioia crudele con cui Mommsen vi tradusse, ricordai anche come una sera del 1871, avendo trovato di suo gusto un vinetto che gli avevo dato a pranzo, si mostrasse in tutta espansione inquietissimo per la nostra andata e presenza a Roma. Vorrete la dominazione universale, diceva egli! A Roma non si va che con idee cosmopolite ccc. ecc. ed io tranquillavo i poetici suoi voli con un po' di freddo realismo.
Certo siamo piccini e deboli, e soprattutto poco virtuosi. Ma bassi e vili come ci fa il vostro carme, no di certo. Ned è per vendere i sacri resti di un glorioso passato che si applicava, e si sostiene impavidi il macinato... perfino il macinato!
A meno che da vero vate voi prevedeste vicino il dominio dei progressisti!! Ma lasciamo correre. Lapidati dai poeti e dai prosatori cademmo, e siamo morti, ed io sono abbastanza protervo da non domandare neppure il parce sepultis.
Io torno al solito argomento... ed è del male immenso che fate alla gioventù. Si va a Roma dopo un millennio e mezzo di schiavitù, e la vostra Musa non vi ispira altri concetti che quelli del vostro carme? ed io baggiano che entravo in Roma vivamente commosso, pieno la fantasia ed il cuore del passato del presente e del futuro, e tanti minchioni come me che in quei giorni mi scrivevano lettere passionate. Ma erano come me della generazione la quale se ne va, e che in gioventù piena la mente di un alto ideale aveva appreso ad amare fortemente e santamente la patria. Che razza di gioventù educherete voi se per l'andata a Roma non gli dite altro se non quello che i teutonici fecero conoscere ai loro connazionali?
Aveste dalla natura un ingegno altissimo, mio caro Carducci. Per amore della Patria nostra consacratelo ad innalzare gli animi, i cuori, le aspirazioni dei nostri concittadini. Tale è l’augurio che faccio a voi ed al mio paese.
Per me dimando che mi ascoltiate. In ogni caso frappe mais écoute, e credete che il vostro ingegno mi trae volente o nolente ad avere per voi tutta la simpatia.
Q. Sella

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 19.07.33

Citazione: Quintino Sella, “L'idea di Roma e la missione dei poeti in una lettera inedita di Quintino Sella al Carducci,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1139.