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Titolo: Corrado Tumiati

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1931-08-19

Identificatore: 121

Testo: Corrado Tumiati

Medico e scrittore, secondo una tradizione letteraria che ha precedenti insigni, e basta nominare per intenderci il Redi del « Bacco in Toscana » e degli opuscoli di « Storia Naturale », o Giuseppe del Papa e Fabiano Michelini che nello stesso secolo illustrarono le lettere e la scienza italiane. Ma il Tumiati è medico di malattie specificatamente moderne, di nervi turbati e fantasie sconvolte, ché sebbene la pazzia non sia condanna solo dei nostri giorni, e pazzi di qualità abbian sempre popolato la faccia della terra, è pur vero che l’epoca della velocità deificata, del dinamismo, dei frastuoni e di tutti gli altri aspetti della vita contemporanea, il cui panorama muta si può dire di ora in ora, contribuisce come meglio può a popolare quello che l’erudito e bizzarro canonico cinquecentesco Tommaso Garzoni definiva « l’hospidale de' pazzi ». L’« hospidale » nel quale il Tumiati c’introduce è appunto un manicomio, e si chiama de’ Tetti Rossi, nome che dà il titolo al volume (ed. Treves, 1931), oggi giustamente indicato all’attenzione dei lettori di buon gusto dagli autorevoli giudici del premio viareggino. Il richiamo al Garzoni, il quale scrisse un libretto sulla pazzia universale, pieno di notizie e di casi curiosi e piacevoli (in una trentina di ragionamenti e discorsi egli passa in vivace rassegna « le mostruose maniere della pazzia », tutte le varietà di matti, dal frenetico al malinconico, dallo stravagante al simulatore), ci dispensa dal tenere un lungo discorso sul pazzo nella letteratura e, nel teatro, ché da che mondo è mondo il tócco di mente ha fornito materia di studio, d’osservazione e d’arte a narratori e commediografi di tutti i paesi. La posizione che occupa, a questo riguardo, il Tumiati ha però sapore di novità, in quanto egli realizza sui predecessori il vantaggio dell’osservazione diretta, della prova scientifica; non è il letterato che guarda, nota, si documenta, legge libri di psichiatria e saggia le proprie impressioni al paragone dei risultati della scienza sperimentale, di cui a forza di letture s’è imbottito il cranio; è il medico de’ pazzi che conoscendoli ad uno ad uno nel quotidiano contatto della vita in comune pensa di trasferirne su! piano dell’arte i caratteri, le avventure, i segni dell’originaria umanità palesi pur sotto le crudeli alterazioni psichiche e mo rali del male. « Ricordi di manicomio », precisa il Tumiati, al quale dorrebbe se qualche lettore, sapendolo medico, cercasse nelle sue pagine la brillante volgarizzazione della disciplina da lui professata, o sperasse di trovarvi dispute metafisiche o tesi medico-sociali. Egli ha voluto soltanto raccogliere dei ricordi, « annotazioni d’un uomo, incline per natura a rappresentare le cose che più lo colpiscono, il quale s’è trovato assai giovane a vivere ed a guadagnarsi il pane in un ambiente singolarissimo », là dove la scienza indaga serena la più tragica delle realtà. Codesto tono di serenità penetra nel libro del Tumiati e lo caratterizza: ma è una serenità che non significa freddezza e distacco, sibbene privilegio di sensibilità umana e poetica; il che vuol dire che lo scienziato, pur credendo nella scienza eretta a difesa d’un bene che non ha pari, non se ne fa una torre d’avorio per isolarsi dalla comune degli uomini, ma la mette al servizio del proprio sentimento e della propria fantasia poetica. Son molte le pagine nelle quali il Tumiati scopre, al contatto della tragedia, il fondo della pietà che gli è guida costante nel suo cammino d’uomo libero e saldo tra tanti morti-vivi. Velata da una specie di pudore, essa illumina i ricordi del medico, ne costituisce la nota più bella, l’intimo tremore che li affranca da ogni soggezione al dato puramente realistico, a! proposito documentario, per innalzarli in una sfera ideale. Brevi i capitoletti s’inseguono ciascuno presentando un caso, un episodio, un ritratto, un’immagine: nasce dalla loro fusione il quadro completo ne’ suoi piani e ne’ suoi particolari, uno sfondo corrusco, una folla in diverse e strane pose, un prato verde sul davanti che offre, tra i fili d’erba, doni di fiori rossi e gialli all’allegria del sole. L’unità è raggiunta senza sforzo, per originale virtù del dettato. Tutti codesti incontri ed eventi d’interno, microcosmo disperato e buio, galleria di fantasmi tragici fra cui s’aggirano conservando la loro intatta umanità i medici e gl’infermieri in camici bianchi, son colati in forme semplici e chiare, stilisticamente elaborate, ma senza sforzo, con un senso quasi perfetto delle proporzioni e de! risalto, con la preoccupazione, che in certi momenti è persino eccessiva, di non lasciarsi tentare dalla drammaticità del soggetto a sviluppi più ampi e d’impegno, psicologicamente più complicati. Il carattere di annotazioni voluto dal Tumiati è fedelmente servito senza pentimenti e ritorni; si procede alla maniera bozzettistica, ma in un senso che direi completamente esteriore, cioè eliminando tutti gli apporti del pittoresco, dell’aneddotico, del l’umor personale e della moralità in pillole che i bozzettisti prediligono e di cui si valgono in vista degli effetti immediati. La scrittura del Tu miati è tanto vigilata e scarna che quasi ti vien fatto di deplorare che egli non abbia voluto trarre maggior partito dalla universalità del tema, dalla grandiosità dello spettacolo visto dal di dentro e proiettato sullo schermo del mondo lontano e indifferente. Ognuno di questi motivi tumiatiani potrebbe svilupparsi e assumere proporzioni e impegni di ben altra portata; e si vede subito che cosa sarebbero potuti diventare in mano, mettiamo, d’un naturalista russo o d’un espressionista germanico, anche in mano, per dire di due scrittori antitetici, d’un Pirandello o d’un Moretti. Ma non occorre forzare la consegna della sobrietà e del raccoglimento, la regola della francescana rinuncia, per dare al Tumiati il riconoscimento che gli spetta: quel ch’egli ha fatto è così bello ed esemplare, così degno della missione ch’egli s’è scelta nella vita, che il suo diario, se resta acquisito alla letteratura narrativa del nostro tempo, ha posto anche nel dominio di quelle opere che scavano in profondità e stabiliscono contatti spirituali che vanno oltre il semplice schema letterario. Il riserbo del Tumiati, cioè l’indice della sua virile pietà, si esercita soprattutto là dove lo spet tacolo minaccia di diventar truce e di sfociare nell’orrendo: quanti romanzieri d’ieri e d’oggi ne avrebbero ricavato capitoli intonati alla vastità della tragedia e alle sue manifestazioni episodiche, risolte sulla direzione dell’orrido e dell’incubo. Di fronte a certe manifestazioni, il Tumiati chiude il velario, esce a dire al pubblico che per il momento non si può continuare. « Te no, veramente, non posso descrivere. Di fronte a te rimango, a fatica, medico. Artista no, se di tal nome fossi degno. Debbo volgere il capo altrove e non guardarti perché in te troppe cose son distrutte ». Al vedere codesta « agitata » il Tumiati avverte la frattura profonda dell’armonia e della misura sulle quali si regge, dagl’istinti al pensiero, ogni sano vivente, sente che la follia non è dunque soltanto perdita della ragione, ma qualche cosa di ben diverso e di più vasto, annullamento d’umanità, oscuramento del mondo. E rinuncia a descrivere. In mezzo alla tragedia, un fresco riso, Miri, la bambina d’uno dei medici dell’ospedale. « Da dieci anni la sentiamo ridere, correre, bisticciarsi talvolta, con una vocina aspra di reginuccia dispotica e i suoi grandi occhi ci appaiono spesso di soppiatto dalla porta socchiusa della biblioteca o dietro ai vetri del laboratorio... ». Ma una notte « mi hanno chiamato perché Miri moriva » : muore di polmonite, vola via in un’ora, sotto gii occhi del padre e della madre, disperazioni viventi : sono quattro o cinque pagine, le più belle forse del diario, certo le più gonfie di commozione concentrata, di pietà fatta poesia. Altre se ne vorrebbero ricordare : il capitolo sulla « Sfinge », che vi stringe il cuore con le sue nude indicazioni, e quello vario e arioso sui « Visitatori », e l’altro sui « Colleghi » o il « Ritratto d'infermiere » : sono prove d’una maturità morale ed artistica indiscutibili.. .

Un giorno il medico Corrado Tumiati parte in viaggio d’istruzione, verso il nuovo mondo : e ne dà conto nella seconda parte del libro, vetrina di impressioni quasi sempre acute, sempre sensate e vere. Il Tumiati ha varcato l’oceano senza pregiudizi, lasciandosi alle spalle tutti i luoghi comuni sull’America e l’americanismo ; è una raccomandazione che poche settimane fa Andrea Maurois rivolgeva, dalle colonne d’un giornale parigino, « à un jeune homme partant pour l’Amerique ». Il nostro Tumiati l’aveva già adottata per conto suo; e trovandosi negli Stati Uniti in occasione d’un congresso scientifico ha osservato taluni aspetti della vita americana con la ponderazione, la serenità e la coscienza morale che caratterizzano la nostra gente, intellettuale o incolta. La quale gira il mondo senza preconcetti, vuol vedere con gli occhi propri e non si stupisce che di ciò di cui vale veramente la pena di stupirsi ; perché si ricorda che i suoi vecchi poeti hanno da mille anni proclamato il « nihil novi » e che le audacie del progresso non hanno valore di conquista definitiva dove lo spirito sia mortificato e la materia trionfi.

Lorenzo Gigli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 19.08.31

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Citazione: Lorenzo Gigli, “Corrado Tumiati,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/121.