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Titolo: La volpe affamata

Autore: Nino Savarese

Data: 1933-10-18

Identificatore: 1933_450

Testo: La volpe affamata
Non c’è ancora uva sui tralci; non cadono frutti nei giardini; i conigli, appena nati, non mettono il mobile musetto fuori le profonde tane, e i piccoli rettili dormono ancora, e gli uccelli sono ritirati, chi sa dove, nell’immobilità della cova.
Tutta la campagna è ancora acerba, e la terra traspare sotto un verde immaturo.
La povera volpe ritorna a bocca vuota nella sua tana, tra le rocce, ed ai suoi quattro piccoli, che l’aspettano, deve sottrarre, dolente, il petto esausto.
Dopo aver camminato tanto!
*
Gli uomini sanno che vuol dire camminare quando si ha bisogno; quando si ha fame, nelle città sconosciute, dove le strade sono lunghe ed addentano i piedi con le loro pietre dure, e il fitto egoismo degli altri non ha occhi per gli sconosciuti, e ognuno si tiene una mano sul cuore quasi temendo che anch’esso possa tradire, e smarrirsi nella distrazione della folla.
*
La volpe non regge allo strazio, esce dalla tana, si aggira per la campagna deserta, e nel silenzio manda il suo acuto grido della fame, che il cacciatore riconosce.
Poi dalla valle pietrosa, sparsa di caverne, sale verso il piano, dove da lontano la invitano i poderi abitati. Sale cauta, nascosta nei solchi o strisciando sotto i cespi della selvatica ginestra.
La strada è più lunga questa volta ed essa non sa dove la condurrà.
Ma la natura segna i punti della sua fecondità e vi innalza un richiamo che giunge a tutte le creature, anche se lontane ed invisibili: alle volte è solo un nastro d’argento posato sull’erba, e gli uomini e gli animali vi accorrono per dissetarsi.
*
Tre ragazzi di questi poderi salivano dalla valle verso il piano. Avevano visto al tramonto una donna, e un vago desiderio d’amore li spingeva verso queste case nascoste tra gli alberi.
Era vestita di rosso, e la sua veste balenò tra gli ulivi e sulla terra lavorata come una fiamma: rise, e parve che la sua voce corresse a svegliare cose che dormivano sulla terra pura e che penassero a svegliarsi.
Camminavano sotto il cielo stellato ed affannavano nella salita: al buio incespicavano nel pietrame di cui era sparsa la strada arida. Non parlavano più, come se avessero dimenticato il loro proposito, ma se lo rimuginavano nel pensiero.
Varcato il termine del podere, videro da lontano lo spiraglio di una finestra illuminata, che nel fitto dell'oscurità, e sugli occhi avvezzi al buio, era abbacinante, e videro la piccola macchia rossa della veste, che si muoveva come una fiamma.
*
Soldati stranieri marciavano verso questo piano denso di colture, sparso di case opulente, di greggi e di armenti.
Fattisi il passo per queste contrade, alle quali avevano lungamente mirato, si sentivano risollevati. Le donne del luogo erano fuggite; contadini e pastori avevano tentato di opporre una debole resistenza armati di zappe, di vanghe e della loro disperazione, ma poi si erano rassegnati e per scampare la vita si erano nascosti nei boschi. Gli occupatori trovavano in ogni casa il mucchio del grano nel solaio, la giara piena d’olio, la carne salata e la frutta, appese ai travi dei tetti.
Dopo la fame e le fatiche della guerra, quella scoperta li inebriava: bastava entrare in quelle case, per sentire nell’aria l’abbondanza, l'odore dei formaggi conservati, delle cantine piene, e la voce degli animali da cortile.
Il Capo che aveva guidato quegli uomini attraverso tanti stenti, dava loro piena facoltà di prendere e di mangiare, e tutti erano finalmente sazii di cibo, di vino e di orgoglio.
*
Fatto l’ultimo tratto della salita, la volpe si trovò sul limitare del piano coltivato, ed alla prima luce dell’alba vide che la terra aveva cambiato faccia. Era ricca e folta, sparsa di case affondate negli alberi: il canto dei galli, che si rispondevano da podere a podere, le riscaldava il sangue, anticipandole l’odore ed il sapore dei pulcini, a frotte, dei conigli nelle stie, dei teneri galletti, delle matronali galline libere per la distesa dell’erba, intorno alle case, dove più facile era la caccia.
Che scoperta era quella! Non più pietre su pietre, a perdita di occhio, non più sterili ginestre, e siepi di rovi senza frutto, ed inaccessibili corone di fiori di cappero, sulle cime delle rocce, ma la carne viva e calda che avrebbe finalmente ristorato i suoi piccoli che intristivano nel fondo di una tana.
E cominciò a frugare tutto quel contorno, provando tutte le sue astuzie. Di notte penetrava nei pollai mal custoditi, dove poi il nuovo sole spiegava, agli occhi attoniti delle massaie, la strage misteriosa: di pieno giorno compariva improvvisa davanti le case, ghermiva la preda, e già era sparita, allorché qualcuno si accorgeva che c’era stata.
Ad ogni allarme, le galline mandavano un grido di spavento, i piccioni smarrivano la via dei tetti, tentando voli lontani ed inusitati, ed i pavoni davano anch’essi l’avviso, portandosi per l'aria il loro spavento, seguiti dai loro piccoli, che provavano a precipizio la forza delle loro ali nuove.
Le massaie rimanevano con le mani sul ventre, gli occhi attoniti verso l’orizzonte, a raccontare le stragi e le perdite: gli uomini, inutilmente accorsi dal lavoro con le zappe o con le vanghe, si consultavano tra loro. Un contadino armato di fucile passava la notte appiattato all’angolo di un pollaio, un altro, in fondo a una stalla, lavorava a fabbricare una trappola, legando, sul legno che reggeva l’ordegno, una punta acutissima di ferro che doveva conficcarsi nella testa della volpe.
In tutto il contorno era presente ed occulta la sua minaccia: sotto la dimenticanza e le tranquille abitudini di quei contadini covava oscuramente il fatale, continuo bisogno della volpe affamata. E appena essi si tranquillizzavano e se ne dimenticavano, ricompariva per segni improvvisi.
Nino Savarese.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 18.10.33

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Citazione: Nino Savarese, “La volpe affamata,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 23 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1260.