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Titolo: L'avventura veneziana di Richard Halliburton

Autore: Elio Zorzi

Data: 1931-09-02

Identificatore: 134

Testo: L’avventura veneziana di Richard Halliburton

Venezia, settembre

Una faccia di anglosassone, con una stola di sangue irlandese nelle vene. Vasta fronte sporgente, incorniciata da capelli castani ondulati. Bocca grande e ridente, mento forte, quadrato, occhi luminosi. Poco più di trent’anni. Un tipo di testardo geniale. E statura aita, figura snella, nervosa, gambe magre, pelosissime...

Richard Halliburton, scrittore. Avevo letto il nome sul giornale di spiaggia, nella lista dei nuovi arrivi.

— Halliburton? E chi è?

— Che nome hai detto, papà?

Questa domanda me la fa il mio ragazzo, interrompendo la diffìcile costruzione di un automobile di sabbia.

— Halliburton, Richard.

— Halliburton? Ma è « quello » del libro d'acciaio. Uno dei più belli.

— Cosa? Che libro?

— Io conquisto nuovi mondi. E’ un libro nel quale Halliburton racconta le sue avventure nell'America centrale e meridionale.

Figurati che ha passato, a nuoto, il canale di Panama come se fosse stato una nave: che s’è buttato nel lago dei sacrifici dei Maya; che ha scalato fino alla cima il monte Popocatepetl; che è andato in prigione per difendere il suo scimmiottino. Una guardia l'a veva bastonato, e allora lui ha bastonato la guardia... E poi è andato nel Perù, dove ha battuto una gran « zuccata » contro la testa del Presidente Leguia, perchè si son chinati insieme per raccogliere un bottone...

Guardo mio figlio con raccapriccio. Nove anni, quinta elementare.

Dio, che figura, per un padre!

E per un padre giornalista, poi!

Basta. Ho veduto il libro: uno dei primi libri d’acciaio del Bompiani, pubblicato fin dall’anno scorso in italiano. E' vero che, quand’anco l’avessi veduto prima, non l’avrei letto. Ma avrei avuto torto. E’ un bel libro, che deve piacere enormemente ai ragazzi, ma che può avvincere anche la gente più satura di letteratura « seria », perchè è pieno di vita e di umorismo. Avventure di un giovane yankee riprodotte dal vero.

Adesso vedo Halliburton in grandezza naturale. Mi riceve in mutandine da bagno, sulla spiaggia dell’Exeelsior. Non è solo. Un tipo di quel genere non dev'essere mai solo. E’ il più classico. il più completo tipo del « good fellow » anglosassone. Sta cianciando e scherzando con un gruppo di amici, tra i quali sono una bella ragazza, miss Williams, e Alberto Campione, il giovane direttore italiano del più elegante albergo di Washington.

— Adesso vado in Terrasanta. Mi pare che Venezia sia veramente il posto più indicato per salpare alla volta della Terrasanta, come facevano i crociati nel Medio Evo. I crociati andavano con le navi dei veneziani, non è vero? Io vado invece col « Flying carpet », il mio « tappeto volante ».

— Quello del ladro di Bagdad?

— No, si chiama così, ma il mio è un aeroplano vero, col motore, e buono anche. Permettete che vi presenti Mr. Steve Stevens, il mio pilota. A very good fellow, è un grande pilota.

— How do you do?... E andate dritti in Terrasanta?

— Aoh no! Adesso andiamo a Vienna.

Il giro è abbastanza largo. E poi?

— E poi a Budapest, e poi nei Balcani. Andiamo a piccole tappe.

— E in Terrasanta?

— In Terrasanta, niente. Vedremo il Santo Sepolcro, prenderò il bagno nel Mare Morto. Forse mi spingerò fino al Monte Ararat per salir fino alla sua vetta. Ho già fatto una bella collezione di scalate: il Popocatepetl, il Matterhorn, il Fusijama e il picco del Dainen, nonché qualche vetta dell’Himalaya...

E poi proseguo il viaggio secondo il programma: Persia, India, Cina, Giappone, Filippine, Australasia, Australia. Poi prendo il piroscafo, non so ancora se lo prenderò a Yokohama o a Melbourne; ma prendo il piroscafo per traversare il Pacifico. Il programma esclude la traversata degli oceani in volo.

— Scusate. Voi continuate a parlar di programma. Di quale programma si tratta?

— Del mio programma di giro del mondo in aeroplano, esclusi gli oceani. Sono partito da Nuova York. Sono sceso a Cherbourg. E adesso vado avanti. Devo attraversare tutta l’Asia, l’Australasia e l’Australia, poi arrivo a San Francisco, attraversò gli Stati Uniti, arrivo a Nuova York, e no compiuto il mio giro del mondo.

— E’ il primo che fate?

— In aeroplano, sì. Ma ne ho tatto un altro, con mezzi ordinari, o quasi, molto tempo fa, agli inizi della mia carriera. Voi avete letti i miei libri?

— Si... Ho letto lo conquisto nuovi mondi.

— Bene. Quello è il libro che mi è più simpatico. Ma ne ho scritti degli altri. Il primo l’ho scritto poco dopo aver terminato i miei studi a Princetown. Giusto: com’è che non mi avete domandato dove sono nato, che professione avevano i miei genitori, a quanti mesi ho smesso l’allattamento, e le altre domande che fanno di solito i giornalisti?

— In Italia veramente non le fanno. Tuttavia, se volete, dove siete nato?...

— A Nashville, nel Tennessee, ed ho studiato, come vi ho detto, a Princetown.

Ma di tutti i miei studi la cosa che più mi è stata cara, che mi ha appassionato, e che è rimasta impressa nel mio cervello è stata la geografia. Anzi, più che la geografìa, un certo testo-atlante di geografia, che usavo a scuola quando avevo dieci anni. Su quel libro ho fatto i più meravigliosi viaggi; sono disceso nel cuore del continenti misteriosi, ho percorso gli oceani, ho esplorato i Poli. Grazie a quel libro, la mia fantasia ha vissuto i sogni più splendidi, si è abbeverata di infinito, si è inebriata del colore dei paesi lontani.

Poi, quando sono stato grande, ho volute « controllare con i piedi » gli itinerarii fantastici della mia fanciullezza; ho voluto realizzare il magico quadro dei miei sogni di adolescente.

E vi sono riuscito. Ho esplorato prima l’America centrale e meridionale. Poi ho voluto continuare la mia conoscenza del mondo. Sono venuto in Europa. Ho vissuto nelle vostre Alpi e nelle montagne della Norvegia. Ho percorso a palmo a palmo tutta la Spagna. Ho vissuto per un anno in Grecia. Ho girato tutta l’Africa; ho salutato le ombre dei Faraoni in Egitto, quella di Massinissa a Creta, quella di Annibaie a Cartagine. Per oltre un mese sono vissuto insieme con la Legione Straniera, al servizio della Francia, in Marocco. Poi ho scritto il libro della mia fantasia errante, e l’ho chiamato Royal Road to Romance, letteralmente: strada regale verso il romanzo... Ho sempre pensato questo: che tutte le difficili imprese che sono già state compiute possono essere compiute di nuovo; che tutte le difficili imprese che non sono state compiute, possono esserlo per la prima volta da me. Per questo ho voluto rifare nel Messico l'itinerario di Fernando Cortes, e nel Perù quello di Francesco Pizzarro; per questo ho voluto salire il Popocatepetl, il picco di Dainen e il Matterhom. Poi ho attraversato il Canale di Panama, registrato regolarmente «piroscafo Richard Halliburton» e le gigantesche chiuse hanno dovuto funzionare per me solo; questo è accaduto per la prima volta, dopo l’apertura del Canale. Ho dovuto pagare 36 cents di diritti di passaggio, in proporzione del mio tonnellaggio; ma poi 5000 dollari al governo per la scorta...

In Grecia ho voluto traversare a nuoto l’Ellesponto, che prima di me era stato traversato soltanto dal povero Leandro, quando andava da Abido a Sesto, per trovar la sua Ero, e, qualche tempo dopo, da lord Byron. Dopo di me, adesso, lo attraversa qualunque dattilografa in vacanza. Ma nessun cristiano va a nuotare — come io ho nuotato — nella piscina sacra del Tishmahar a Dehli, nella metropoli dell’India.

Ebbene; anche a Venezia c’era una bella impresa da compiere, dopo lord Byron: traversare a nuoto la laguna dall’estremità del Canal Grande a Santa Chiara fino al Lido. Byron soleva farla per abitudine. Perchè non l’avrei fatta anch’io? Bene. Ieri mattina sono andato a Santa Chiara, all’estremità del Canal Grande. Mi sono spogliato, ho rivestito un decentissimo costume da bagno, e mi sono buttato nell’acqua della vostra laguna. Ho cominciato a nuotare. Andava benissimo. La gente, sulle due rive del Canai Grande, guardava con interesse. Anche la gente che passava sulle barche, sui battelli a vapore, sui motoscafi che solcano il Canal Grande cominciava visibilmente a interessarsi alla mia performance... allorché mi son capitati addosso due policemen montati sopra una barca; mi hanno fatti molti segni; poi, vedendo che io continuavo la mia strada, mi hanno sbarrato il passo... E così ho dovuto interrompere la mia nuotata veneziana.

— Confortatevi, signor Halliburton. L’impresa alla quale eravate avviato non era di quelle che voi amate. Non sareste stato il primo a compierla dopo lord Byron. Ogni anno molti giovanotti la ripetono, per conquistarsi la coppa Lord Byron. E’ ormai una competizione sportiva delle più normali. Ce ne sarebbe un’altra, invece, di assolutamente nuova, proprio buona per voi.

E’ a Venezia diffusa la leggenda che Napoleone Bonaparte, arrivando a Venezia per la prima volta nel 1797, dopo la caduta della Serenissima, salisse col suo cavallo fino alla cima del Campanile di San Marco, percorrendo la rampa, che correva all’interno della torre. Il Campanile non è più quello, ma è ricostruito quasi identico a quello. C’è sempre una rampa, che va dal pianterreno fino alla cima del campanile. Perchè non fareste voi l’impresa che Napoleone non ha in verità mai compiuta?

— E’ una buona idea — ha detto Halliburton pensoso.

Ma non ha tentato l’esperimento.

E' partito, invece, per Vienna, col suo aeroplano.

Elio Zorzi.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 02.09.31

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Citazione: Elio Zorzi, “L'avventura veneziana di Richard Halliburton,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/134.