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Titolo: Morte d'un ciliegio

Autore: Mario Massa

Data: 1934-01-31

Identificatore: 1934_92

Testo: Morte d’un ciliegio
Affacciata sul giardino, la finestra della mia stanza aveva per cielo un ciliegio. Viveva spaesato, nessuno si curava di lui, a primavera non lo potavano. Soltanto io lo accarezzavo perché mi faceva compagnia e lui, invece di spremerli in frutta, si serbava i succhi per infittire rami e foglie sui miei vetri sapendo di piacermi così.
Di sera si stendeva a tendone. Mi sbarrava dal mondo e proteggeva il mio silenzio. La mia stanza diventava una chiesa deserta in cui i sogni s’accendevano come lumini. Le confidenze d’amore, le prime della mia vita, cadevano sui suoi rami con un suono irreale, di musica che non s’afferra; appannato e incerto era il loro senso, di ansito dopo uno spavento; si proiettavano sul tendone come vetri di lanterna magica; le scene fumigavano, certe parole mi picchiavano pugni sulla testa, altre mi rodevano la gola, gli occhi mi crepitavano. Avevo quindici anni.
Sentivo che avrei trascinato il fardello nel sonno; perciò m’appuntavo sul davanzale scuotendo il viso fra i rami come se il rugiadoso delle foglie potesse sciacquarmi i pensieri. Intanto le ombre della notte, acquattate a terra, sollevavano il ciliegio come un baldacchino e lo gonfiavano. Ventagliando mi cullava. Mi pareva d’addolcire come se qualcuno mi passasse le dita sugli occhi. A poco a poco il tronco scioglieva la sua patina color tartaruga, il verde delle foglie diventava grumo. Una dolcezza magica mi succhiava il cervello e mi tirava giù le palpebre calandomi una parete liquida e oleosa. Non sapevo più dove mi trovassi, se nella mia casa d’allora o in quella, chissà quale, nella quale avrei vissuto il mio amore; sbattevo da un muro all’altro, i mobili mi si sovrapponevano addosso, non respiravo più, l’aria aveva il fiato grosso.
Finché d’improvviso il cielo prendeva a tossire, i tuoni mi cadevano addosso col rumore di carretti sul selciato, tutt’intorno rintronava il boato come un fiume nella strozza dei monti, l’aria rompeva in pioggia, la pioggia s’intrideva di verde, il verde ispessiva, sulla bocca sentivo la rugiada, sugli occhi il morbido delle foglie. Qualcuno mi sollevava gli occhi ciondoloni ridendo: « Hai dormito cosi stanotte? ». Sereno il ciliegio gocciava il latte dell’alba.
* * *
Il cielo della finestra s’era già sbiadito come un acquarello esposto al sole quando strani uomini entrarono nelle mie aiuole. Chi fossero e che cosa volessero non si capiva. Massicci e muscolosi, s’erano tolte le giacche e rimboccate le camicie. Grosse lame di accette e di coltellacci luccicavano nelle loro mani. I loro occhi erano torvi, da uomini senza pietà. S’indicarono col gomito l’albero e risero a sfida. Qualcuno, posata la scure, si sputò nel palmo delle mani vellose e se le strofinò. Il fusto dell’albero fu palpato per saggiarne la presunzione di resistenza e scegliere il punto del taglio. Al contatto viscido e crudele delle mani che preparavano la morte, l’albero sembrò affondarsi un poco; come se le radici innervate a difesa corressero ad irrigidirsi nelle zolle più dure. Fu scelta la linea a fiore; là dove le radici che hanno bevuto il sangue alla terra lo regalano alle vene perché intenerisca le foglie. La scure s’alzò e segnò la prima ferita.
A vederlo suppliziare così mi sentii stringere il cuore. Il legno era forte; addentava le lame che gli penetravano nella carne, le stringeva, non voleva lasciarle uscire più. Scagliato il colpo, gli uomini faticavano a ritirarle fuori. Il gigante se le teneva prigioniere. Chiedeva sudore e bestemmie per liberarle. Avrebbe potuto abbandonarsi e cedere, lasciarsi piegare con due spallate. Ma voleva, con l’estrema prova della sua forza e del suo coraggio, dare agli uomini la misura della loro viltà; e quelli infatti s’imbestialivano sempre più, scagliandogli contro le accette con la voluttà perversa con cui s’uccide a sassate un mastino legato a catena. I colpi secchi e ben misurati facevano pensare all’ira degli omicidi. Gli uomini ci mettevano tutta l’esasperazione della loro vigliaccheria. E il legno non si scoteva, non vacillava, non tremava nemmeno. Le sue foglie erano immobili sopra ai colpi, cineree e dure come d’acciaio.
— Non muore — spasimavo. — Non può morire.
Ma la ferita s’approfondiva, i due lembi si aprivano ora come una bocca. Già colavano due strisce di bava. Furono infilati i coltelli. Scarnificarono. L’ultima ira si sfogò a pugnalate.
Cadde di colpo. Tutto d’un pezzo. Senza piegarsi, senza scricchiolare; con un tonfo solo. Parve che un mondo si fosse schiantato. Le mura trasalirono. Le donne sbiancarono. I bambini urlarono.
A terra, dissanguato, sembrò ancora più grande. Le foglie gli facevano da cuscino. Così disteso nella morte non suscitava pena: era sempre forte come prima. Più forte, lui morto, dei piccoli uomini che gli giravano attorno vittoriosi. Non sembrava caduto. La terra sembrava si fosse spostata verticalmente. Lui era sempre là ritto come prima, il padrone. La terra, le case sembrava si fossero mosse.
La base segata viveva ancora. Trasudava angoscia ma viveva. Avrebbero dovuto bucare la terra, sradicare muscolo per muscolo; eppure chissà che qualche ceppo nascosto non avrebbe incontrato il sole a primavera.
Sedettero sul piano della base recisa e trassero da un involto bottiglie e bicchieri per festeggiare la vittoria.
— Bevete! — urlai allora balzando tra gli uomini con i pugni chiusi. — Bevete! È morto. Non potete più aver paura. Bevete! Vigliacchi! Vigliacchi!
S’alzarono brandendo i coltelli per farmi paura; e chiamarono mio padre. Mio padre rispose: — È pazzo!
* * *
Ora picchiavo la terra con i tacchi e raggelavo. Sentivo sotto i talloni un tonfo sordo come se avessi picchiato sopra una tomba. Dicevo: « Dov'è? ».
Nel giardino non c’era; Ma sui vetri lo vedevo ancora. Come quando portano via un vecchio mobile. Non c'è più; ma sulla parete è rimasto il rettangolo della sua vita. Cosi il ciliegio continuava a disegnarsi sul cielo.
Mario Massa.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 31.01.34

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Citazione: Mario Massa, “Morte d'un ciliegio,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1457.