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Titolo: Libri della settimana

Autore: non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1934-01-31

Identificatore: 1934_98

Testo: Libri della settimana
Storia di un patrimonio
Le prime pagine di questa « storia » si aprono su Villafranca, le ultime si chiudono su Vittorio Veneto e il dopoguerra. Mezzo secolo di vita italiana. Ma il. tono del racconto di Giovanni Comisso (Storia di un patrimonio - Editore Treves - L. 10) non è epico. L'angolo dal quale gli avvenimenti son visti e provinciale, il mondo comissiano è un microcosmo che ha per confini. I limiti d'un piccolo borgo sulla destra del Piave.
Tra le solide mura d’un palazzotto si snoda una vicenda familiare alla quale partecipano due generazioni. Veneto del ’59 e del ’66 e Veneto del 1915.
Con semplici tratti il Comisso evoca subito efficacemente un’atmosfera che ci è cara dal tempo in cui abbiamo cominciato a leggere le Confessioni del Nievo. Ma qui la società nata dalle rovine del tempo che i ricordi di Carlino resuscitano è già al tramonto; è passato un secolo dai gloriosi giorni della cucina di Fratta, e un’altra società sta per nascere e matura un’altra epoca. Le scandiscono il ritmo i cannoni del Montello e del Grappa. Lo sfondo è di per se stesso grandioso: storia viva. Ma la narrazione ha l’andamento e lo stile d’una cronaca, è dimessa e in un certo senso monotona. Il Comisso ci racconta come va disperso un gran patrimonio che un signorotto misantropo aveva custodito e alimentato sino alla vigilia della guerra; muore per lo scoppio d’una granata nei giorni di Caporetto, e a guerra finita vengono a dividersi il patrimonio due figli d’un figlio naturale del morto con la loro madre contadina. Il cervello fino di costei non basta a trattenere gli eredi inesperti dal commettere un sacco di corbellerie e dal lasciarsi imbrogliare dai birbanti. In breve liquidano tutto, e se ne vanno esuli mentre il paese è diviso tra le fazioni rossa e bianca che si contendono il predominio politico nel Veneto del dopoguerra e che andranno a gara d’estremismo fino al giorno in cui li travolgerà l'ondata delle Camicie Nere. Il racconto però finisce prima, s'arresta ai giorni del disordine e della liquidazione. Ed è un racconto d'una sobrietà ammirevole, che non diventa secchezza perchè la sostiene un caldo senso umano. Il Comisso conosce il cuore del suo paese e la psicologia della sua gente e ne interpreta i moti da poeta. Tutto qui è veduto da un angolo particolare e acquista un particolare sapore. Le pagine della ritirata dopo Caporetto sono bellissime e nuove. V'è il senso del dramma non in estensione ma in profondità. Prosa scarna, talvolta non completamente sorvegliata, ma assai efficace. Completa il libro un racconto più breve, Ricchi di provincia, ch’è un altro ammirevole quadro di carattere e di costume.
Giovanni Comisso
Lettere di Heine
Escono in due volumi (ed. Treves, Milano, 1934 - L. 30), a cura di Vittorio Trettenero che già tradusse i Reisebilder, le Lettere di Enrico Heine: un altro di quegli epistolari romantici che aprono spiragli sulle anime dei poeti e illuminano zone di panorami spirituali e storici. Il Trettenero, traduttore e illustratore preparatissimo, fa la storia di queste lettere dal doppio punto di vista bibliografico ed intimo. Anche il carteggio heiniano ebbe più di un’avventura editoriale e saggiò infedeltà e licenze di raccoglitori e di stampatori.
L'edizione più recente è quella di Federico Hirt, finora in tre volami usciti tra il 1914 e il 1920: lavoro in un certo senso definitivo per diligenza di ricerche, fortuna di scoperte e restituzione del testo (le difficoltà che si oppongono ad un’edizione critica delle lettere di Heine sano molteplici e in buona parte insuperabili). Ma più che di codeste avventure editoriali, è vivo l’interesse dell'avventura spirituale heiniana della quale le lettere sono lo specchio. Il dramma della generazione romantica in poche figure d'artisti si inflette cosi compiutamente come nella figura del poeta di Atta Troll, esule eterno, figlio d'una razza della quale porta sublimati difetti e qualità, beffardo scettico e doloroso, condannato a morte prematura e colpito nella luce della intelligenza. Un infelicissimo rudere su un giaciglio. Neanche morto trova la pace; la recente reazione antisemita in Germania le sue prime rappresaglie le ha esercitate in occasione del settantacinquesimo anniversario della morte di Heine, bruciandone i libri e velandone le statue.
L’attualità di Heine non si discute. Le sue lettere sono il termometro non soltanto del sua temperamento, ma anche d’un conflitto morale e psicologico che è lungi dal risolversi. E badiamo che scrivendo a conoscenti e ad amici Heine era semplice e schietto, in négligé com'egli diceva, e non pensava al pubblico. Epistolario antiletterario se altro vi fu. Scarsissime le lettere della puerizia e dell’adolescenza: due ve ne sono scritte a diciott'anni a un condiscepolo e notevoli per il dissidio che vi si manifesta tra gl’imposti ideali pratici e le segrete aspirazioni artistiche (« Mia madre — dice Heine nelle Memorie — aveva la più grande paura che io avessi a divenire un poeta »). Ma già negli anni di Gottinga il poeta si prepara a battere in breccia le opposizioni d’ogni natura e a uscire dalla sua cerchia borghese. Passato all'Università di Berlino, l’amicizia con Rachele Varnhagen e con suo marito esercita su di lui una benefica influenza. Non ampie tracce nell'epistolario; abbondanti invece quelle dell'amicizia col Moser, nata dal comune zelo per la causa dell’elevazione degli ebrei. Il banchiere Moser era, per usare le espressioni heiniane, l'umanista tipico, « l'edizione di lusso corretta del vero uomo »: le lettere del poeta a lui sono forse le più belle e originali dell’epistolario; il che non toglie che l’amicizia non resistesse (franò in occasione della polemica col Platen, che fu una delle più aspre della storia letteraria tedesca.) e che il Moser venisse freddamente congedato con una lettera da Parigi (1831). Parigi divide, come la vita e le opere, anche le lettere di Heine in due distinti periodi: quelle del primo sono più calde e più ricche di confessioni, quelle del secondo sono più misurate e calme. Esse ci aiutano a penetrare la sfinge heiniana a risalire alla genesi dei sentimenti dell’uomo, delle creazioni dell’artista, delle idee del pensatore. Dice il Trettenero: « Di pochi scrittori accade di poter discernere nelle opere e nell epistolario con le luci le ombre del carattere come dell'Heine: queste ultime egli non ha mai cercato di nasconderle: spesso con una singolare franchezza ha riconosciuto e confessato le sue debolezze e i suoi errori ».
Enrico Heine

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 31.01.34

Citazione: non firmato (Lorenzo Gigli), “Libri della settimana,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1463.