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Titolo: Libri della settimana

Autore: non firmato (Lorenzo Gigli), Vellani Marchi

Data: 1934-02-07

Identificatore: 1934_104

Testo: Libri della settimana
Stagioni al Sirente
Massimo Lelj non è più giovanissimo: ma come scrittore l’hà tenuto a battesimo editoriale il Vallecchi pochi mesi fa nella sua bella collana di prosatori contemporanei e la scorsa settimana il primo insignito del premio milanese in memoria di Otello Cavara è stato lui. Il titolo del racconto del Lelj, centoquaranta pagine, ne dichiara il carattere: Stagioni ai Sirente. Siamo sotto i bastioni del Sirente, in Abruzzo.
Paesaggio rusticale, sullo sfondo di montagne che l'esperienza dannunziana ha acclimatato con contorni indimenticabili nella letteratura. Ma il Sirente è meno solenne della Maiella, meno mitico; è cordiale e vicino, con le sue pendici sulle quali corrono i vigneti sino a sei o settecento metri d’altezza. Il ciclo delle opere e dei giorni si svolge attorno al Sirente in antica semplicità.
La materia è sacra, gli uomini che vendemmiano, che torchiano, che mietono compiono i gesti ieratici d’un antichissimo rito con l’originario candore. Nelle ricorrenze lavora la fantasia a creare un’atmosfera da fiaba sulla quale avvenimenti e personaggi si proiettano per un attimo anch’essi trasumanati. L a poesia è nel seno delle cose; ma bisogna saperla cogliere. Ora il Lelj in più d'una pagina del suo racconto immette l'odore della terra, il sapore del pane e del vino, l’afrore della fatica umana senza sforzarsi a ricalcare modelli letterari, ma per sola virtù del suo sentimento. Così le pagine sul raccolto dello zafferano e quelle della pastorizia e quelle della campagna natalizia sotto la neve hanno un rilievo che non permette equivoci, un'evidenza che non è appoggiata ai particolari ma deriva dall’interpretazione degli elementi esterni e dei temi interiori poeticamente fusi. Questi sono i campi e gli uomini e le opere del Sirente, non altri; questo è cielo d’Abruzzo, questa è anima della gente abruzzese. La ritrovi col suo volto anche nella lunga notte invernale, quando si sognano le albe profumate e le vette che s’accendono ai primi raggi del sole; e la ritrovi quando poi il sole spacca la roccia e tutta la valle cuoce. « Là, dove la notte invernale aveva soffiato le sue bufère e le streghe avevano battuto il ghiaccio con la stampella, danzando, tornavate rischiarati e assuefatti come all’indomani d’un sogno... La terra aveva riassorbito nelle visceri i terrori passati, l’oscurità, ed ora spiegava interamente la sua tranquilla potenza solare, di un giorno che sembrava venuto per non andarsene più... ».
S’è aperto il libro sul mosto di San Martino, preambolo di Natale; lo chiudi al canto estivo dell’usignolo mentre la luna esce dal mare a dare il cambio al sole. Il ciclo delle stagioni è compiuto. Al Sirente come altrove. Al tempo di Massimo Lelj come al tempo di Esiodo.
MASSIMO LELJ
STAGIONI SIRENTE
(Disegno di Vellani Marchi).
Un traduttore del “Don Chisciotte"
È Ferdinando Carlesi che del capolavoro del Cervantes ha curato una versione d'arte ora uscita in due volumi nella « Romantica » diretta da Borgese (ed. Mondadori). Il Carlesi, preparatissimo alla bisogna per la conoscenza della lingua e delia letteratura spagnola e per i suoi chiari precedenti di studioso e di traduttore, ha condotto a termine la sua imponente fatica coi risultati più felici. Egli aveva da reggere il confronto con la recente traduzione del Giannini alla quale egli rende il dovuto omaggio come quella che è una scrupolosa informazione della struttura lessicale e grammaticale del testo in tutti i suoi meandri. Il lavoro del Giannini, riconosce il Carlesi, è improntalo a tale serietà critica da fare onore alle lettere italiane: « Quasi ogni parola e non di rado la frase intera appaiono felicissime, talora, anche insostituibili ». Detto questo, egli precisa il carattere della nuova, la sua, e chiarisce i propositi dai quali fu mosso: fare un’opera di stile « che pur serbando al testo piena fedeltà concettuale in ogni sua particolarità, cercasse di investire con modi italiani più l'insieme che i particolari »; un tentativo di dar vita in forme italiane al capolavoro spagnolo tanto da ridurlo una lettura agile e spedita come cosa viva e nostra. Questo il programma del Carlesi (si veda la nota in fondo al secondo volume): i risultati raggiunti ne dimostrano la bontà e insieme lo scrùpolo del traduttore-artista nell'impegnarvisi. Egli ha mantenuto la vivacità dell'originale, come si può constatare dal modo col quale ha sanato rendere, per esempio, il linguaggio speciale in cui s’esprime don Chisciotte. La stampa della versione del Carlesi, in una collana editoriale ormai consacrata, sarà per molti una buona occasione per riaccostarsi alla immortale storia dell' hidalgo ingegnoso. Che è pur sempre un personaggio di primo piano nella critica, al pari del suo « cantore ». La biografia di Michele Cervantes ha più d’un capitolo avventuroso, per esempio quello sulla sua cattività in Algeri dal 1575 al 1580, argomento d’una « vita romanzata » uscita tre o quattro anni fa col titolo « L’eroique misere de Miguel de Cervantes esclave barbaresque », autore Martial Doüel. Ma sul « padre di Don Chisciotte » consigliamo di leggere il recente volume di Roger Boutet de Monvel, « Cervantes et les enchanteurs » (editore Plon, 1933), che è un modello di indagine psicologica e di ricostruzione artistica. Le avventure straordinarie e leggendarie di Don Chisciotte, eroe idealista e magnanimo, non possono essere comprese se non si conosce la vita tormentata di colui che le immaginò e che, morendo nel 1616 dopo una esistenza travagliatissima, potè dire d’aver conservato attraverso le peggiori vicissitudini, un buon umore tranquillo che l’aiutò a sopportare la sorte avversa, a malgrado degli « enchanteurs » che s’accanirono ad ingannarlo. Il racconto delle fatiche e delle pene di Cervantes scritto dal Boutet de Monvel è pervaso da una filosofia semplice e forte che fa pensàre talvolta a Rabelais.
Cervantes
I “fiori d’oro"
È una locuzione adoperata da Gobineau per designare le « epoche splendide » della storia dell'umanità, tra cui il Rinascimento italiano. Com’è noto, Gobineau ha appunto dedicato al Rinascimento cinque scene dialogate sotto il titolo La Renaissance (1877). Le tradusse nel 1911, splendidamente, il povero Giovanni Vannicola e le pubblicò in un'edizione ormai introvabile. Le ha ritradotte quest'anno la signora Fulvia Gentile Tarozzi e le stampa Veditore Cappelli nella sua collana storica « Arcobaleno » (Conte di Gobineau - Il Rinascimento - Lire 22). Lodevole la fatica della signora Tarozzi, la quale ha. voluto premettere ad ognuna delle « scene » una sua diligente introduzione rievocativa delle grandi figure che si muovono nell'affresco gobiniano e degli ambienti. Pur dando a queste introduzioni il merito che loro spetta, sarebbe stato preferibile che la Terrazzi avesse tradotto le introduzioni scritte appositamente dallo stesso Gobineau e che il Vannicola ignorava per la semplicissima ragione ch’esse sono rimaste inedite sino a pochi anni fa. Le pubblicò infatti in Germania Ludwig Schemann nel 1918, e in Francia Daniele Halévy in uno dei « Cahiers Verts » di Grasset. (1923) col titolo La fleur d’or che lo stesso Gobineau aveva dato loro nel manoscritto e che presumibilmente doveva estendersi all'opera completa, saggi e scene. Un'edizione francese recente della. Renaissance (Plon, 1929) in due volumi riproduce insieme le scene e le introduzioni e può considerarsi la prima integrale del « Grande affresco murale» (la definizione è di Gobineau). Nella prima introduzione (alla scena Savonarola) l’autore spiega appunto le ragioni che l’avevano indotto a dare all'opera il titolo La fleur d’or. Le introduzioni sono assai importanti sia in rapporto all’economia generale dell’opera sia in quanto riflettono sul nostro. Rinascimento il pensiero di Gobineau filtrato, attraverso le sue teorie filosofiche ed etniche. I cinque saggi introduttivi danno alla Renaissance un valore concluso, restituiscono alla vasta composizione il carattere unitario con cui fu concepita. L’averle trascurate è dunque, a nostro avviso, un errore. Di Gobineau s'è pure recentemente, pubblicato un carteggio inedito, la Correspondance tra lui e il diplomatico austriaco conte Prokesch-Osten, che combattè contro Napoleone, fu amico di Metternich, poi intimo del Duca di Reichstadt, l’aquilotto, e presidente della Dieta Germanica a Francoforte. La Correspondance (ed. Plon, Parigi 1933, franchi 36), curata da Clément Serpente de Gobineau, nipote di Gobineau, figlio della figlia secondogenita Cristina, abbraccia un periodo di ventidue anni, dal 1854 al 1876, e riveste un interesse psicologico e storico assai grande. I due uomini, fatti per intendersi, avversi alle ideologie del secolo democratico, ugualmente sdegnosi del livellamento universale, si scambiarono per venti anni le loro opinioni sugli avvenimenti politici, sugli uomini e i popoli che essi avvicinavano (Prokesch fu poi Ambasciatore a Costantinopoli e uno dei maggiori esperti delta, famosa Questione d'Oriente; e Gobineau passò da Francoforte a Teheran, a Terranuova, ad Atene a Rio Janeiro a Stoccolma, sull'avvenire dell’Europa. Il carteggio tra i due è un panorama politico e storico di prim'ordine, uno dei più interessanti dell’Ottocento.
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File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 07.02.34

Citazione: non firmato (Lorenzo Gigli) e Vellani Marchi, “Libri della settimana,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 01 luglio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1469.