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Titolo: Ragazzo

Autore: Sandro Volta

Data: 1934-03-14

Identificatore: 1934_105

Testo: Ragazzo
Poi il ragazzo cresce e le sue impressioni si fanno sempre più distinte, gli svaghi dell’adolescenza, i giuochi coi compagni di scuola distraggono l’attenzione dai primi confusi sospetti, ma ogni tanto un pensiero fisso si riaffaccia con ostinazione alla sua niente, diventa a poco a poco un’ossessione, finisce per occuparlo tutto fino a renderne cupo e scontroso il carattere.
Allora riaffiorano alla memoria frasi staccate che erano state custodite gelosamente nonostante ai tempi in cui furono udite apparissero del tutto insensate, ma ormai il ragazzo ne ha acquistato piena coscienza e vi attribuisce, anzi, significato irreparabile: « Bada che lui può udire ». « Che vuoi che intenda il piccolo? ». E, sulla base di quegli indizi, abbandona la fantasia ad indagini disperate, fino a ricostruire le vicende remote nei più minuti particolari; per molto tempo egli vuol sapere, e passa le ore rievocando episodi, cercando di accordare le ipotesi contrastanti per arrivare finalmente a poter emettere un giudizio certo, senza più dubbi, inappellabile e definitivo. Poi, però, quando a questo giudizio è pervenuto, è come se le parti si fossero invertite e lui, soltanto fosse il colpevole, lui che si è appropriato di un segreto altrui, è entrato nell’intimità della propria madre.
La quale, frattanto, col trascorrere inesorabile degli anni, è andata ormai perdendo molte delle antiche velleità e si va facendo sempre più affettuòsa intorno al ragazzo, a quel suo figliuolo solitario e triste che ha tanto bisogno di amore. Ora tutta l’esistenza del ragazzo è ormai impegnata a non far comprendere che egli sa, a rinchiudersi in una difesa implacabile contro la sua mamma ignara che soffre tanto di quella incomprensione.
Egli però non le è ostile, ed anzi il suo amore per la bella mamma che non vuole invecchiare si fa sempre più forte, sordo, quasi morboso, quasi fosse diventato il complice delle sue colpe passate. Avvenimenti casuali, che si riallacciano ai fatti colpevoli della galanteria materna soltanto per reconditi motivi che incoscientemente presente, si producono ogni tanto nell’esistenza quotidiana a mantener desto il ricordo; così il malinconico sfiorire d’un mazzetto di rose nel portafiori che è su una mensola di casa, una mano che s’indugia distratta a carezzare il velluto d’un cuscino, una vecchia fotografia, un gruppo di famiglia con alcuni amici durante la villeggiatura del 1914 a Viareggio; e a poco per volta ogni mobile e oggetto di casa, fin negli angoli più innocenti, viene considerato da lui testimone degli intrecci peccaminosi, che ora egli rivive, appassionatamente, come se ne fosse il vero protagonista. Un’insopportabile sfiducia di se stesso lo assale, che lo fa diffidare dell’avvenire e rinchiudersi nei ricordi di un passato che non è il suo.
Ora la vita del ragazzo si è fatta schiava di una sensualità inconfessabile della quale, d’altronde, egli stesso non sa rendersi esatto conto, che si consuma, insoddisfatta, tra le pareti domestiche. Ma anche questo è lo stato di una breve stagione perché ben presto il suo carattere ha un nuovo sviluppo e si risvegliano in lui nuovissimi umori.
Il desiderio di vivere gli si fa sentire con prepotenza, la sua giovinezza gagliarda lo assale ad un tratto, liberandolo da quella tetra prigione nella quale lo aveva gettato una sensibilità di adolescente troppo acuta e allo scoperto. Ora esce di casa, è un robusto ragazzo che vuol vivere e che non pensa più.
Ma i contrasti dei primi anni, tutte le sottigliezze e le contraddizioni della fanciullezza, hanno ormai sciupato e distrutto il suo senso dell’equilibrio: ormai non farà più nulla se non per arrivare fino agli eccessi. È maniaco e volubile. Quando incomincia una cosa non vede altro che quella, ma se ne stanca subito per correre dietro a nuove avventure con uguale slancio iniziale e identica incostanza.
Il ragazzo è cresciuto, ormai quasi non è più un ragazzo.
Durante tutti questi ultimi anni ha avuto solo contatti molto superficiali colla sua famiglia e ha vissuto quasi soltanto fuori di casa. La mamma, intanto, libera dalle cure di lui, ha potuto vivere gli ultimi barlumi della sua giovinezza, prossima ormai allo sfacelo, e lo ha fatto sfrenatamente, senza ritegno, senza più nemmeno il pudore e la grazia degli anni giovanili: è una vecchia matta che si tinge i capelli, spende delle fortune per vestirsi, e della quale in città si raccontano molte storielle. Forse qualcuna è arrivata anche agli orecchi del ragazzo il quale però non ci fa più nessun caso dimostrando di non preoccuparsene minimamente.
D’altronde la città si è fatta ormai tutta un pettegolezzo; forse il desiderio di baldoria e la sfrenatezza che hanno invaso un po’ ogni paese nei tempi del dopoguerra, hanno prodotto una certa rilassatezza di costumi anche nella piccola città di provincia dove, finora, vigeva una rigidità inflessibile per la quale almeno le apparenze erano sempre state rigorosamente salvate, ma è certo che il chiacchiericcio, dal quale più nessuno può ormai salvarsi, supera di molto qualsiasi verosimiglianza e a dar retta alle infinite voci che circolano sul conto del prossimo si sarebbe portati a credere che la cittadina si sia tutto a un tratto trasformata in una novella Sodoma o Gomorra.
Nei pomeriggi estivi ed anche durante le belle giornate pure assai frequenti d’inverno, tutti si ritrovano a passeggiare pei viali alberati sulle mura che recingono la città, da dove la vista corre su una magnifica campagna popolata di ville settecentesche e tutta coltivata a vigne e oliveti. Ogni sera il sole sembra volersi indugiare più del consueto prima di rifugiarsi dietro le colline rosee, e, all’ultimo momento, manda un suo raggio stanco tra i filari di pioppi che fiancheggiano il fiume, a strappargli un ultimo brivido d’argento. Da uno dei baluardi delle mura si vede anche, alla lontana, la stazione ferroviaria, e i treni che arrivano o partono per le città vicine appaiono minuscoli, come dei giuochi da ragazzi posati a correre su un paesaggio da presepio. Qualche volta arrivano dei forestieri in automobile a visitare i monumenti d’arte e di storia che arricchiscono la città e la rendono famosa, e ripartono pieni d’ammirazione e di rimpianto.
Ma i suoi abitanti sono diventati sordi e ciechi a ogni bellezza, presi soltanto da una frenesia di maldicenza. Si conoscono uno per uno e si salutano familiarmente incontrandosi alla passeggiata pomeridiana sulle mura, poi però, appena il conoscente ha voltato le spalle e si è allontanato di tre passi, incomincia il bisbiglio. Passeggiano a gruppetti di quattro o cinque persone, un po’ goffi in quegli abiti, alcuni dei quali sono antiquati di qualche anno mentre altri riproducono i figurini dell’ultima moda in una maniera esagerata, e non fanno che raccontarsi e commentare avvenimenti scandalosi.
Anche il ragazzo ha sentito tutte le dicerie che corrono sul conto altrui e, a poco per volta, finisce per trovare tutto ciò naturalissimo e per farsi una ragione di ogni cosa; l’abitudine affoga le inquietudini di una sensibilità troppo all’erta. Eppoi nulla gli è mai stato lesinato da nessuno e ha potuto fare finora una vita comoda, a che pro guastarsela per delle complicazioni inutili? Si è fatto egoista e diventa sempre più cinico; si prepara ad affrontare la vita mettendo da parte gli scrupoli.
Giorno per giorno il suo carattere assume una fisionomia precisa e, ormai, immutabile, si fa sempre più risoluto e si libera per sempre dalle incertezze e dalle contraddizioni d’un tempo; ora è un uomo che sa quello che vuole ed è deciso a volerlo ad ogni costo. Nelle prime lotte per resistenza la sua volontà è terribile, capace di passar sopra a qualunque cosa piuttosto che doversi piegare, spietata contro chiunque si trovi ad attraversargli la strada: con crudeltà l’uomo si rifà di tutti gli scoramenti i languori e le titubanze del ragazzo che è stato.
Nessuno direbbe ormai che questo essere insensibilissimo sia quello stesso fanciullo dalla sensibilità tanto acuta che passava intere giornate a consumarsi nel rimorso di colpe che egli non aveva commesso, nessuno riconoscerebbe più lo sfiduciato adolescente in questo sicuro trionfatore di domani.
Sandro Volta.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 14.03.34

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Citazione: Sandro Volta, “Ragazzo,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1470.