Le prime "Odi barbare" (dettagli)
Titolo: Le prime "Odi barbare"
Autore: non firmato (Lorenzo Gigli)
Data: 1934-03-21
Identificatore: 1934_114
Testo:
Il fatto di cronaca nella storia letteraria
Le prime “Odi barbare"
« Odio l’usata poesia » dice il Carducci nel preludio alle Odi Barbare. Respingeva la facile poesia, la poesia rimata che a tutti si concede per scegliere la strofa dedotta dalla lirica greca e latina, difficile ad essere armonizzata di versi italiani. E quanto al contenuto, quattro versi di Augusto Platen posti a riscontro del primo libro delle Odi dichiaravano il programma del poeta in modo inequivocabile: « A versi scadenti basta un contenuto da poco, mentre la forma più nobile dimanda profondi pensieri... ». Già nell’ Intermezzo, che segna il passaggio dai Giambi alle Rime nuove e alle Barbare, il Carducci aveva espresso il proposito di trarre per l’avvenire l’ispirazione de’ suoi carmi soltanto dall’antichità serena, di riconoscere le fonti della sua poesia nel classicismo più schietto. « Si leva il sole — e canta Omero »; ed ecco fiorire il trittico delle Primavere Elleniche dove l’anima, lasciate le rive del vivere moderno privo di bellezza, naviga verso la lieta armonia della civiltà antica. Le Primavere aprono il passaggio alle Odi Barbare alle quali sono assai vicine anche cronologicamente: infatti le Primavere portano la data del 1872 e la prima delle Barbare (l’ode Su l’Adda) era compiuta il 16 dicembre 1873. Quindici giorni dopo il Carducci ripeteva la sua professione di fede nella poesia greca in una lettera al fido Chiarini: « In fondo, confessiamolo, fu la più gran poesia della terra: Omero, Pindaro, Sofocle, Aristofane, Teocrito, sono gli ultimi confini del bello di primo getto giovanile, florido, sereno. Dopo viene il riflesso, il contorto, il vecchio ». E successivamente: « Tutta questa letteratura che esiste ora è abbietta. Tutta questa società è tal cosa che non merita ci occupiamo di lei. Ritorniamo dunque all’arte pura, ai greci ed ai latini ». Di questo ritorno le Odi Barbare sono la fulgida espressione.
La testimonianza del Chiarini stabilisce che la prima serie delle Odi fu composta tra il 1873 e il ’77. Che l’ode d’apertura sia l’asclepiadea Sa l'Adda si rileva da una lettera del poeta all’amico: « Ti mando una nuova poesia: nuova in tutto, anche nel metro, che è antico e senza rima ». Subito dopo compose Ideale dove è data la ragion poetica della nuova arte a cui il Carducci aspira e che dovrebbe esprimere quella viva dolcezza e quella forte serenità che l’ambrosia di Ebe gli ha infuso: alla tazza dell’antica poesia egli ha bevuto una giovinezza nuova. È vero che il Carducci in una lettera di ventidue anni dopo a Severino Ferrari afferma che la prima delle Odi Barbare « pensata in quella forma e scrittene subito le prime strofe » è l'Aurora e la seconda l’Ideale; ma Alfredo Galletti in una nota al capitolo XV de L'opera di Giosuè Carducci avverte giustamente che forse la memoria tradì il poeta, perchè, se l’ode all’Aurora fosse stata già composta, non avrebbe scritto allora al Chiarini, mandandogli Su l’Adda, « ho voglia anche di fare delle elegie in esametri e pentametri come Goethe ».
A trasferire nella lingua italiana le forme della metrica antica l'istinto poetico del Carducci aspirava da moltissimo tempo: quello che il Galletti chiama « vapor d’ambrosia » gli aleggiava intorno, si può dire, sin dalla puerizia. Ma ad attuare quel disegno egli fu indottò dall’esempio del Goethe, dello Schiller e del Platen. Nella citata lettera a Severino Ferrari è detto: « Alle Odi Barbare io pensai fin da giovane: ne fermai il pensiero dopo il 1870, poi ch’ebbi letto i lirici tedeschi. Se loro, perchè non noi? ».
Il Carducci era allora sui trentott’anni.
* * *
La prima serie delle Odi Barbare uscì nell’estate del 1877 nelle edizioni zanichelliane. I primi rapporti con lo Zanichelli il poeta li ebbe nel 1872: a Nicola Zanichelli trasferitosi dalla nativa Modena a Bologna dove aveva aperta una libreria e s’era fatto timido editore di libri che faceva stampare nella sua tipografia modenese, il Carducci offerse un volume di scritti eruditi che l’editore non accettò. Gli pubblicò invece nel 1875 gli studi e ricerche sulle poesia latine dell’Ariosto e le Nuove Poesie e nel 1877 le prime Odi Barbare in un volumetto della collana « elzeviri » che era stata inaugurata con molto succèsso da Lorenzo Stecchetti con Postuma.
Sui rapporti Carducci-Zanichelli offre copiose notizie il fondo di lettere del poeta all’editore acquistato l’anno scorso dal Comune di Bologna: si tratta d’un complesso di oltre 500 lettere e cartoline, dal 1872 alla morte del poeta, che il Comune ha messo a disposizione di coloro che attendono alla pubblicazione dell’epistolario carducciano. Tra essi è Albano Sorbelli il quale ha offerto, del carteggio in parola, più d’una primizia.
Uscito dunque, primo degli « elzeviri », il canzoniere stecchettiano, il Carducci se ne compiacque con l’editore scrivendogli da Massa dove si trovava: « Il volumetto del Guerrini è parso a tutti d’ottimo gusto e benissimo inteso ed eseguito tipograficamente. Anche le poesie, le più, sono piaciute. Come va l’edizione delle Odi Barbare? Quando avrò le prove tutte impaginate? ».
In realtà le Barbare avrebbero dovuto aprire esse la collezione elzeviriana; ma poi, per i dubbi continui e le correzioni e limature del Carducci, uscì prima il canzoniere dello Stecchetti. Finalmente dopo la metà di luglio del ’77 anche le Barbare uscirono. Il poeta, ch’era a Perugia, ne ebbe subito due o tre esemplari. « Ho ricevuto, e varino benissimo » scrisse all’editore che aspettava ansioso.
Le prime accoglienze del pubblico e della critica furono fredde e diffidenti. Nella nota che chiudeva il volume (terminante con l’ode Alla rima che poi passò a far parte delle Rime nuove come componimento di apertura) il Carducci dichiarava le sue intenzioni così: « Volli congedarmi da’ lettori co’ versi alla rima, proprio per segno che io con queste odi non intesi dare veruna battaglia, grande o piccola, fortunata o no, a quella compagna antica e gloriosa della poesia nuova latina ». E proseguiva: « Queste odi le intitolai barbare perchè tali sonerebbero agli orecchi e al giudizio dei greci e dei romani, se bene volute comporre nelle forme metriche della loro lirica, e perchè tali soneranno pur troppo a moltissimi italiani, se bene composte e armonizzate di versi e di accenti italiani ». Ma non tutti si lasciarono convincere nè giustificarono il Carducci d’aver creduto che il rinnovamento classico della lirica non fosse sentenziato e finito coi tentativi per lo più impoetici di Claudio Tolomei e della sua scuola e nei pochissimi saggi del Chiabrera.
Le discussioni non mancarono, anche se non si può parlare d’una vera e propria polemica. Ne vedremo la prossima volta alcuni aspetti e resultati.
Giosuè Carducci al tempo delle Odi Barbare
Collezione: Diorama 21.03.34
Citazione: non firmato (Lorenzo Gigli), “Le prime "Odi barbare",” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1479.