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Titolo: L'incendio del bosco

Autore: Riccardo Marchi

Data: 1934-03-21

Identificatore: 1934_113

Testo: L'incendio del bosco
Mi trovavo con la mia famiglia ad attender l’autunno in una casupola solitaria vicino alle falde di un’importante catena montana, un discreto rifugio vezzeggiato da un panorama incantevole e dal clima per solito mite. Dormivo da circa mezz’ora quando fui destato di soprassalto. È mia moglie che scotendomi per un braccio urla a perdifiato:
— Brucia il bosco demaniale.
La mia camera è infatti abbagliata. La luce inconsueta vivida e tremolante fa uno strano effetto quando ci si desta d’improvviso in una stanza disadorna che non ci è troppo familiare.
— Brucia, brucia...
— Perché strilli tanto? Non c’è pericolo — dico senza convinzione stropicciandomi gli occhi. — Il bosco dista dalla casa tre tiri di schioppo e il vento spira in senso contrario.
Giunge fino a noi una piacevole fragranza di resina. Le piantagioni ardono lungo una superficie di forse cento metri, ma le fiamme tendono a estendersi rapidamente.
— Bello, bello — gridano i ragazzi nella camera accanto.
Sono già in piedi alla finestra, i mariuoli. La strada che divide la nostra casa dal bosco, insieme ad un campo dove sostano tutto l’anno le lodole cappellacce, sembra deserta, ma la campana della borgata vicina suona a stormo. Non mi passa per la testa l’idea di correre a rendermi utile a qualcuno, in simile frangente: càpita ben di rado nella vita godersi uno spettacolo del genere. Trovo, in questo, solidali i miei figli. Aiuto mia moglie a vestirli e, tenendoli per mano, scendiamo insieme in strada.
Non passa anima viva; evidentemente i contadini non hanno sentito bisogno alcuno di correre da questa parte dove il bosco finisce e sono corsi invece, attraverso i sentieri, laddove è necessario limitare l’azione delle fiamme e circoscriverle. Qui, sentendo vibrare le mani dei ragazzi nelle mie, partecipo alla loro gioia, — così viva negli occhi lucidi e senza cruccio per il sonno perduto — divido i loro esaltati pensieri, mi perdo anch’io nella magìa inconsueta della notte, di quel gran bracere che non la rende più fosca, del cielo le cui fastose ricchezze — quelle stesse che, null’altro avendo da fare e pensare durante la villeggiatura, mi sono qualche volta soffermato ad elencare con un piacere da novizio — sembrano oscurate da questo mezzo ettaro di terra che si disfà così violentemente delle sue vestimenta.
Stanotte tutto è diverso. Forse il fuoco si appiccò dalla carbonaia ed arsero per prime le stipe ammassate, o forse un piccolo bolide staccatosi dal cielo ha sfiorato incendiandola la chioma di un pino: è la stagione delle stelle cadenti. Saliamo un rialzo del terreno, di fianco alla strada: lo spettacolo è magnifico.
— Torna a casa — urla mia moglie dalla finestra. — I ragazzi si buscheranno un malanno.
Sono validi invece, pieni di forza c di gioia, come durante uno spettacolo pirotecnico nel quale le sorprese si succedono alle sorprese. Ecco che la vampa, dopo aver lingueggiato, scompare nel folto. Forse la borraccina, o l’edera che si attorciglia ai tronchi resinosi, o l’umidore della notte la estingueranno: cesserà più presto che non si creda lo spettacolo. Invece basta chiudere gli occhi e riaprirli dopo un attimo per accorgersi che fra pochi minuti i tre pini adulti, sopravvissuti al tempo e alle generazioni e schivati chissà perché dall’ascia dei boscaiuoli, si muteranno in tre torce ardenti. Poi un grande schianto: han voluto cedere gloriosamente alla sorte, gridando, quei veterani.
***
È stato solo verso l’alba, quando il vento ha cominciato a spirare in senso contrario, che ho giudicato colpevole il mio intimo compiacimento. Le fiamme son divenute di un colore smorto. Ho udito per la prima volta distintamente i colpi di scure dei contadini che abbattevano le piante. Mi sono accorto che le mani dei ragazzi erano gelide e tremavano. Io pure ero agitato da brividi lungo la schiena. Mia moglie avrebbe ripetuto la solita tiritera sulla mia inguaribile caparbietà e mi avrebbe rimproverato, nei giorni successivi, ogni loro starnuto.
Avvicinandomi a casa, ho pensato che scontavamo insieme — loro senza colpa — la gioia di questa notte fantastica. Ho cercato allora di eludere il mio imbarazzo con frasi che mi sembravano incongruenti, come un cattivo maestro che si ostini a ripetere una lezione appresa a memoria, quando meno è necessario: — Un bosco bruciato vuol dire migliaia di lire di perdita, sterilità del terreno per un periodo di vari anni... — Cercavo insomma di dissimulare con vane parole un dubbio che da vari minuti mi mordeva l’anima. La sera prima, procedendo solo in un sentiero del bosco e trovandomi immerso in una di quelle per me consuete assenze di pensiero che impediscono perfino di godere le bellezze circostanti, avevo lasciato cadere un fiammifero acceso sul terreno cosparso di aghi di pino secchi. Ne era arso qualcuno. Mi ero divertito a vedere il propagarsi del piccolo fuoco fino a una vasta crepa provocata dalla siccità. Poi avevo pestato sopra negligentemente, scompigliando un formicaio. Che mi importa, se avverrà un incendio, pensavo con la stessa incoscienza di mia moglie quando insiste che, in fin dei conti, si tratta della foresta del Demanio. E perché, mi domando, hai goduto tanto insieme ai bambini irridendo perfino quelli che si affannavano per estinguerlo? Deve sussistere un rapporto fra la tua negligenza di poche ore prima e la gran gioia che ne hai provato; deve esservi un fondo di perversità nella tua anima che prima di ora non conoscevi.
Ora quella vasta ferita nera nel bel corpo verde cupo del bosco che rabbrividisce ai primi sentori d’autunno, la superficie nerastra dove si ergono i tronchi carbonizzati continua a darmi una strana sensazione di colpevolezza. Non torneranno quest’anno i pettirossi a rispondersi da uno spineto all’altro col loro trillo insistente, simile al cigolio di un bindolo tirato da un quadrupede svogliato. Il vento che sibila durante la notte fra quelle rovine sembra la voce di un tale pazzo che nelle strade della mia città si confessa colpevole di tutti i misfatti che apprende nella cronaca nera dei giornali e ne ricostruisce i particolari con una esattezza che fa stupore a più d’uno.
Mia moglie dice che la mia salute non ha molto goduto dei benefici della villeggiatura. Fa sempre così, secondo lei, alle nature gracili dopo le prime settimane. Bisognerebbe prolungare la permanenza.
Ho deciso invece di anticipare di una settimana il ritorno in città con gran dispetto di lei che, a causa della mutevolezza delle mie decisioni, persiste nel credermi uomo di debole carattere, e dei miei ragazzi che si erano addestrati alla pesca delle trote lungo la riva del fiume.
Riccardo Marchi.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 21.03.34

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Citazione: Riccardo Marchi, “L'incendio del bosco,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1478.