Il fatto di cronaca nella storia letteraria: Oriani e la "Lotta politica" (dettagli)
Titolo: Il fatto di cronaca nella storia letteraria: Oriani e la "Lotta politica"
Autore: non firmato (Lorenzo Gigli)
Data: 1934-02-28
Identificatore: 1934_124
Testo:
IL FATTO DI CRONACA NELLA STORIA LETTERARIA
Oriani e la “Lotta politica"
« Il mio libro aspetterà il suo lettore »: il motto di Keplero (Armonices Mundi) accompagna il titolo della «Lotta politica in Italia» come una dichiarazione di principio. La sorte degli altri suoi libri faceva chiara all’Oriani anche la sorte di questo. Il motto kepleriano era la sintesi del suo dramma. Alcuni episodi del quale, riguardanti le trattative editoriali per la stampa della «Lotta», sono stati riesumati di recente sulla scorta di alcune lettere di Emilio Treves allo scrittore. Col Treves egli iniziò appunto nel 1891 dei rapporti che furono presto interrotti. Avrebbe voluto affidargli la « Lotta » e il Treves non disse di no. Ebbe il ponderoso manoscritto, lo esaminò, fece qualche obbiezione. Una parve all’Oriani particolarmente grave. L’editore proponeva per l’opera un titolo diverso (e qui forse l’accordo si sarebbe potuto raggiungere) ed esigeva l’omissione dell’ultimo capitolo, L'Italia in Europa, quello che chiude con le profetiche parole: «Quando l’Italia avrà conquistato intera la coscienza della sua nuova grandezza in Europa, sentendo meglio quella antica nella quale fu centro a tutto il mondo, risponderà alla Germania col mettere in Campidoglio, al posto di Marco Aurelio, l’incomparabile statua di Giulio Cesare confusa ora nel Museo Capitolino fra troppi capolavori, e vi scriverà sotto con romana brevità: Divo Caio Julio Caesari Urbs et Orbis». Il Treves dice: «S'ella accetta anche questo consiglio, potrò farle qualche proposta che spero non le spiacerà ». Ma l’Oriani non era uomo da cedere. Rispose alteramente: « Ho durato la fatica di scrivere tante pagine solo per arrivare a queste ultime ». E ritirò il manoscritto. Lo diede poi alle stampe a sue spese nel 1892, presso Roux, in Torino; tre anni dopo, non essendosi il libro venduto, gli mutò copertina e lo fece apparire in seconda edizione fittizia con la sigla Galli, Milano. Nè questa ebbe maggior fortuna. Il « lettore » si faceva aspettare. Luigi Donati, biografo di Oriani, che fu impiegato presso gli editori milanesi Chiesa e Guindani (Galli), ricorda: « Mettevo anche il massiccio volume fra le novità della stagione nei pacchi che si spedivano alle fauci voraci dei recensori e dei periodici che dovevano parlarne; senonchè « Piccolo mondo antico » assorbì da solo la pubblicità dovuta agli altri volumi che si concedevano egualmente come un’offa, perchè venisse almeno strombazzato l'immenso successo di quello... ». Alla fine del 1906, aggiunge il Donati, esistevano ancora 800 copie invendute e invendibili della Lotta. In una lettera del 1908 al fedele romagnolo Antonio Magni l’Oriani scrive: «Ieri ho venduto le ultime 300 copie di Lotta politica a un panchetto per quindici soldi la copia. Ed è la sola storia politica moderna che l’Italia abbia! ».
La giudicava bene. L’aveva giudicata subito senza ipocrisie per quel che valeva. In una lettera all’Abba appena messa la parola fine al manoscritto si confessa così: « La mia storia è finita. Fra pochi giorni tornerò in campagna per ricopiarla... L’opera non mi sembra nemmeno più mia: l’Italia intiera che tenevo sollevata con uno sforzo spasmodico di amore sulla vetta più luminosa del mio pensiero da due anni, mi era caduta come morta sul cuore... ».
L’Oriani aveva messo mano alla Lotta poco più d’un anno dopo la sciagura di Dogali. La finì nel settembre del 1890. Il calvario cominciò subito: prima la rottura dei ponti col Treves, poi l’indifferenza assoluta del pubblico. Come scuoterla? Decise di recarsi a Roma, a mettersi un poco in circolazione, a sostenere la causa del suo libro. Ma ebbe subito la sensazione ch’essa era perduta. Scriveva ancora all’Abba: « Qui a Roma il giornalismo è fermo nel più ignobile marasma: tutti sono venduti. I giornalisti, al ministero, a tutti i prezzi; il pubblico non sente, non pensa, non legge: volumi come il mio spaventano per la mole meglio che non tentino per la materia. Chi parlerà? ».
Ambiente chiuso e sordo, il mondo politico demoliberale, la Roma delle fazioni parlamentari. Uno di coloro che avvicinarono l’Oriani fu Vincenzo Morello che così ricorda l’incontro nella prefazione a Fuochi di bivacco (ediz. Cappelli delle « Opere Complete »): « Non sapevo nulla della sua vita e delle sue lotte per arrivare al dirupato monte. Avevo dinanzi un parlatore eloquente, uno scrittore esuberante, un uomo sano e robusto, fatto, all’apparenza, per dominare i mostri della selva e quelli dell’alcova, e non comprendevo quell’ombra di tristezza e la mia attenzione era tutta protesa a penetrare i motivi della contraddizione, e mi parve di coglierli qualche giorno dopo, quando, riferendogli alcuni giudizi favorevoli alla Lotta politica, ebbi da lui questa risposta che era, infine, una constatazione della sua disillusione: — Sì, bene, ma non sento l’onda! — l’onda, intendeva, della popolarità ».
Il soggiorno romano gli diventava di ora in ora amarissimo.
« Prepariamoci a un insuccesso, scrive alla sorella. A Roma non sono conosciuto affatto: provo ad ogni momento lacerazioni dolorose: in nessuna vetrina di libraio ho visto esposto alcuno dei miei libri passati. Vedrò di fare qualche relazione: al ceto giornalistico sono ignoto o odiato, al ceto politico assolutamente incognito... Ti confesso che sono in preda a una grande malinconia ».
L’editore, dal canto suo, non faceva nulla per far andare il libro; non l’aveva nemmeno distribuito ai librai. L’Oriani ne distribuì alcune copie ai giornali; Peppino Turco, il più illustre giornalista del tempo, lo lesse, se ne dichiarò entusiasta e lo mandò al ministro Nicotera. Il Turco fece buone accoglienze all’Oriani, lo invitò a casa, lo salutò con parole di intelligente riconoscimento, ma poi scrisse un articolo superficiale che l’Oriani ebbe a giudicare con severità, e che del resto, ad onta della firma autorevolissima, non valse a rompere la congiura del silenzio. Qualche notizia alla sorella: « Farmi ha preso cappello pel ritratto del padre e mi ha risposto con lagni educati; Villari, cui avevo spedito il libro, mi ha risposto con una specie di modulo da ministero colla sua soia firma: glielo ho respinto ironicamente. Non intendo mi prendano per un impiegato. Ferdinando Martini mi ha scritto una lettera gentilissima. Crispi e Cavallotti tacciono ancora... ».
Il solitario di Casolavalsenio ritornò al suo romitaggio con una delusione di più. Il suo tormento individuale, nella mediocre Roma d’allora, si fonde col suo tormento d’uomo di pensiero e di cittadino. Fugge senza voltarsi indietro: « Meglio la solitudine disperata d’orgoglio che questo pantano ove non vi si riconosce ». In certi momenti gli sembra, d’essere un maledetto cui nulla debba riuscire. Chiede desolato: « Per quale popolo lavoro dunque io da venti anni? La gloria verrà, ne sono sicuro, ma quando non saremo più ad attendere, e sarà anche questa una delle tante ironie che dalla nascita hanno frustato a sangue la nostra vita ».
Così la Lotta politica rimase senza eco nell’Italia di dopo Adua, incapace di respirare il più piccolo alito di quel clima eroico nel quale furono concepite le ultime pagine dell’opera, dove si cerca la missione storica del nostro paese nell’avvenire e la si trova come grande Potenza nel Mediterraneo equilibratrice dello slaviSmo.
Prima di lasciare Roma, l’Oriani va da Crispi, ha un lungo colloquio con l’uomo di Stato ormai declinante... » Provandogli l’impossibilità per l’Austria di coordinarsi e mantenersi nell’orbita del principio di nazionalità che informa tutta la storia di questo secolo morente e atteggerà ancora la prima metà del secolo venturo, ho affermato che la grande guerra ventura sarà russa, che l’Europa attende solamente che lo Czar sia pronto, che il campo di battaglia sarà il basso Danubio, che l’Italia compirà vittoriosa la propria integrità guadagnando Trento e Trieste ». Era il corollario della Lotta. Ma nessuno allora l’intese.
Cinque anni dopo la morte di Alfredo Oriani, la Lotta politica fu ristampata in tre volumi, vera seconda edizione, dalla Libreria della Voce, nel clima che la nuova generazione italiana aveva creato e nel quale maturavano i grandi eventi imminenti. Il movimento di rivendicazione della gloria di Oriani era in pieno sviluppo. Pure vi fu chi oppose alla Lotta l'Histoire des révolutions d'Italie di Giuseppe Ferrari e accusò l’Oriani di plagio. Ne derivò una polemica che il Donati riassume nel suo libro sullo scrittore e l’uomo avvertendo giustamente che si potrebbero indicare altri elementi tratti dal Ferrari senza scandolezzarsi « di non vedere le acque degli innumerevoli affluenti scorrere ben virgolate come brani citati in una tesi culturale alla tedesca e colla varietà del nome originario galleggiante nel fiume imponente della storia ».
La polemica ad ogni modo giovò. E, uscita l’edizione della Voce, molti si decisero finalmente a leggere l’opera, per riconoscervi una storia d’Italia quale non era stata mai scritta ancora. Conclusione che il tempo non farà che confermare.
Alfredo Oriani ciclista
(Schizzo di un amico di Faenza)
Alfredo Oriani
al tempo della « Lotta politica ».
Collezione: Diorama 28.02.34
Etichette: Il fatto di cronaca nella storia letteraria
Citazione: non firmato (Lorenzo Gigli), “Il fatto di cronaca nella storia letteraria: Oriani e la "Lotta politica",” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1489.